
“MINIMO INDISPENSABILE”. Avete pensato cosa significa per noi?
Quand’è che la spia rossa s’illumina? Quando cade l’ultima goccia? Qual è la misura, il limite, superato il quale una forza interiore, incurante delle conseguenze, libera dal calcolo, ci spinge a reagire e vada come vada.
In questi tempi di policroma incertezza, mentre sibillini divieti e speranze deluse si accatastano gli uni sulle altre come foglie d’autunno, io, in pieno stile Marzullo, me lo sono domandato ma senza trovare risposta.
Forse – ma questa è solo un’ipotesi – l’abitudine a chinare il capo su tutto e tutti si è trasformata in artrosi dell’animo e i rospi, giorno per giorno, hanno preso il sapore di un sushi post-moderno. Tuttavia non so davvero dire da quando quello che capita non è più abbastanza grave, urgente o ingiusto da farmi alzare dalla sedia e agire.
“NECESSARIO VINCERE. PIÙ NECESSARIO COMBATTERE”. È inciso sulla facciata del palazzo della Gioventù Italiana del Littorio a Roma, in via Ascianghi 5. Dovremmo forse scrivere “NECESSARIO SOPPORTARE. PIÙ NECESSARIO DIMENTICARE” ?
Eppure se mi guardo indietro, agli anni dell’adolescenza, so che non è stato sempre così. Ricordo bene gli operai che scendevano in piazza; gli studenti che si prendevano a botte per un’idea. Ricordo che si parlava e si discuteva. Ci si menava anche. Ci si sparava anche. Certo erano “gli anni di piombo”, ma non mi sarei immaginato che dopo sarebbero arrivati “gli anni di fango”.
“Que reste-t-il de ces beaux jours?” Riders piegati sulle bici di Glovo, smartphone; contratti a termine, lavoro a cottimo, zone rosse, giorni gialli, banchi a rotelle, PayTV, politici dagli occhi fissi e altra immondizia in salsa anglofona.
In questi tempi di pandemenza mi chiedo dunque da quando all’immunità dal gregge abbiamo iniziato a preferire … belare.