“Parassita di stato”. Due parole in risposta all’on. Di Maio.

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“…A Falconara il liceo scientifico “L. Cambi” è al 20 di via Ippolito Nievo. A quel tempo la mia famiglia abitava al 21 e, a parte qualche gita a Roma o a Firenze, non mi ero mai mosso da quella strada che sembrava risalire direttamente dal mare. Questo almeno fino al 12 settembre 1980 quando mamma e papà mi accompagnarono alla stazione a prendere il direttissimo per Bologna. Allora i Frecciarossa e gli Eurostar erano ancora di là da venire; i treni erano grigio topo e si chiamavano “Accelerati”, “Direttissimi” o “Rapidi”. Per arrivare a Modena avrei dovuto cambiare a Bologna e prendere il “Diretto” al binario 4.Un mese e mezzo prima qualcuno aveva messo una bomba al binario 1 ammazzando 85 persone. Lo stesso giorno di metà settembre arrivai all’accademia militare. Come tutti gli altri aspiranti al 162° corso entrai dalla porta carraia, quella che da su corso Canalgrande. Si sentiva un forte odore di stalla e di cavalli misto a un profumo di caffè appena tostato. Da quattro giorni avevo compiuto 19 anni e di certo non immaginavo che dopo 37 anni sarei stato nominato “parassita di stato”. Pensi un po’, onorevole Di Maio. che io mi sentivo già orgoglioso di essere semplicemente tenente dei Bersaglieri. Lì conosce i Bersaglieri, no? Quelli che corrono, suonando la tromba con le piume sul cappello… Chi l’avrebbe mai detto che sarei stato nominato addirittura “parassita di stato”, impresa che sembra essere riuscita a pochi. Ad essere sincero, stimatissimo Vicepresidente del consiglio dei ministri io la tromba non la so suonare, ma ancora corro e guardo con orgoglio al mio cappello con le piume, la sua bella coccarda tricolore e il fregio in ottone con il numero “8” di un bel nero brillante. Forse per lei l’8 è il bus che collega piazza di Porta Maggiore a Casaletto, per me e per altri “parassiti di stato” è invece il numero di un reggimento, nel mio caso un reggimento di bersaglieri che ho immeritatamente avuto l’onore di servire. Le confido, caro il mio onorevole Di Maio che se oltre trent’anni fa avessi saputo – anzi avrei saputo come dice Lei – che avrei guadagnato l’ambito titolo di “parassita di stato”, avrei scelto un’altra carriera. Che ne so, avrei forse tentato di iscrivermi a ingegneria e quindi a giurisprudenza e avrei magari deciso che non valeva la pena completare gli studi. A quel punto, invece di sentire il capitano Ratti che in un nebbioso Bellinzago novarese mi urlava nelle orecchie, avrei optato per divenire giornalista pubblicista e a quel punto perché no webmaster e steward allo stadio San Paolo. Allora si che sarei stato pronto per guidare il cambiamento, per dirigere una nazione, per litigare con mezzo mondo e insegnare all’altra metà come si deve campare. A ripensarci credo che mi terrò il mio titolo di “parassita di stato” del quale non smetterò mai di ringraziarla, così come ringrazio della squisita sensibilità del ministro delle difesa che non ha voluto aggiungere parola. Mi terrò il mio cappello piumato, continuerò a correre perché come dicevano i miei vecchi “bersagliere a vent’anni, bersagliere tutta la vita” e forse mi metterò a suonare la tromba. Per il trombone ci pensa lei?