
Caratteri minuti, non allineati, grassi d’un inchiostro da questura resuscitano un tempo povero, quando mio padre era un ragazzo, il nonno combatteva da qualche parte in Europa senza sapere d’essere vecchio e per chi restava, sognare era più facile che vivere.
Ora questo pezzo di ferro nero e lucida, incomprensibile meccanica è di nuovo pronto a strappare parole dall’animo e a inchiodarle sulla carta, senza pentimenti, immediate come una ingiusta parola di rabbia sputata a un amico. Devi però fare attenzione perché quel pezzo di ferro viene da un tempo in cui anche un segno sulla carta era ricchezza e sprecare caratteri e virgole era peccato come gettare il pane.
Si baciava il pane allora. E si cercavano le parole, quelle giuste e pesanti. Le si facevano girare nella mente, forse si bisbigliavano pian piano assortendole l’una all’altra come un delicato mazzo di fiori e solo allora si consegnavano alla macchina. Ora, seduto davanti al mio computer immateriale mi rendo conto a quanto garbo e educazione mi sono sottratto. Saranno ancora lì, in quel nastro d’un nero da questura.