
Non posso dire se allora abitassimo ancora in via Piave o ci fossimo da poco trasferiti in via Nievo, ma ricordo che natale era vicino.
In salotto, tra la TV e la finestra, c’era un bell’albero che odorava di pino e di terra, con le “pallucche” di vetro già appese seguendo la geometria di ricordi che mamma evocava ogni volta ne tirava fuori una dalla carta di giornale.
Per casa c’era odore di soffritto: burro, olio, cipolla, carota, sedano e un goccino di vino. Odore di domenica.

Nel pomeriggio o forse domani papà mi avrebbe portato “in Ancona”, come diciamo noi da queste parti. Avremo preso l’enorme filobus blu che passava sulla statale adriatica. Per me, che avevo orgogliosamente bambino di quasi otto anni, quello era un viaggio ai confini dell’impero.
Alla fermata del Disco, poco dopo l’angolo con via Quarto, il filobus si sarebbe annunciato con sibili misteriosi. Altissimo e blu. Dall’altra parte della statate, l’infinita cancellata di cemento della ferrovia, vaiolata dalla salsedine e oltre gli scogli e la linea del mare.
Si saliva da dietro. I posti sarebbero stati quasi tutti occupati ma con un po’ di fortuna mio padre ne avrebbe trovato uno per me vicino al finestrino. Il filobus mi avrebbe accolto con il solito sentore di fumo di sigaretta, dopobarba ed elettricità; era l’odore del mondo dei grandi e io ci stavo seduto sopra.
Da lassù si vedeva il mare che in quei mesi era d’un colore d’acciaio e sabbia, un colore d’inverno. Sarebbe durato almeno fino alle giornate di Pasqua per trasformarsi poi nel mare color smeraldo dell’estate con tanto di pizza al rosmarino e gassosa.
Improvvisamente sulla linea del mare sarebbe transitato il treno. Facevo sempre una grande attenzione al treno ma ogni volta mi fregava col suo lampo di velocità marrone. Papà ci teneva a dirmi dove era diretto. Aveva un interesse tutto suo per la geografia e aggiungeca che sarebbe arrivato dietro al “linea gotica”. A sapere io dove fosse mai la misteriosa “linea gotica”, ma nel 1969 papà se la ricordava bene.
L’Adriatico color sabbia dalle mareggiate d’inverno avrebbe comunque continuato a sfilare ininterrotto fino alla stazione d’Ancona. Da lì la STANDA – destinazione finale della spedizione – sarebbe stata a pochi passi.
Niente giro fino alla nave affondata quel giorno. Non importa.

Per me la Standa voleva dire odore di pollo arrosto e di vestiti nuovi. Come ogni anno avrei comprato cinque o sei pecorelle in plastica, magari anche un maialino. Mamma non sopportava le pecore. Lei faceva il tifo per i pastori, ma con 200 lire di pastori ce ne veniva uno solo e di pecorelle ben cinque. Insomma una questione di economia presepiale.
Questo sarebbe forse successo nel pomeriggio, o forse domani. Chissà. Per ora c’era la pioggia, l’odore di soffritto e la battaglia tra soldatini. Senza che me ne accorgessi avrebbe fatto buio.

Fu allora che le trombe del telegiornale interruppero la “TV dei Ragazzi”.
“Ci sono state esplosioni questo pomeriggio a Milano e a Roma. La più grave è avvenuta a Milano, nel salone centrale della sede della banca nazionale dell’agricoltura. Per lo scoppio 14 persone sono morte e un’ottantina sono rimaste ferite o….”
Dietro di me mamma guardava la TV. Aveva già sentito la notizia alla radio, in cucina.
“Oh Madonna mia!” mi sembra fu l’unico commento rivolto a me che guardavo senza capire.
Alla fine i morti sarebbero stati 17, i feriti 88.
I colpevoli nessuno.