
Verità e narrazione non si sono mai piaciute.
Troppo cruda la verità, con quel sapore metallico di assoluto che la fa somigliare troppo a una sentenza. Meglio dunque la narrazione dove è più facile aggiungere un po’ di zucchero dove serve e tagliare le parti troppo dure da masticare. Sarà per questo che i popoli l’hanno sempre preferita alla verità.
Sul mito e sulla sua narrazione le genti si riconoscono come entità a sé, spesso in contrapposizione con altre narrazioni e miti, ma poco importa, l’essenziale è fornire ad ogni popolo un’immagine sopportabile del proprio inconscio. La verità, specie quando è cruda, non lo permette. Ma non esiste una sola narrazione. Accanto a questa primigenia, collettiva e fondativa se ne affianca un’altra, quotidiana ed immediata. La prima ha bisogno di secoli e di racconti per sedimentarsi e trasmettersi; la seconda, al contrario, vive dell’oggi, dell’immediato e fa dell’oblio la sua migliore virtù. Dal bilanciamento delle due narrazioni noi traiamo la capacità di muoverci nel nostro mondo con un minimo di equilibrio. E’ quindi vitale che nessuna delle due prevarichi sull’altra ma è qui che entriamo nell’attualità.
La guerra in Ucraina od operazione militare speciale che la si voglia chiamare è solo l’ultimo episodio di questo sbilanciato rapporto tra narrazione lontana e vicina. Della verità è meglio tacere, ma riflettere sulla narrazione che ci viene quotidianamente somministrata può invece dimostrarsi utile, almeno perché se mai si riuscisse a superarla si potrebbe almeno intravedere l’ombra lunga della verità. Che tipo di narrazione ci viene dunque fornita? Un’unica, sola storia volta a solleticare le emozioni, meglio ancora se negative come il disgusto, l’orrore, la rabbia. Per questa narrazione dell’oggi non occorre un nemico qualsiasi, ci vuole il Mostro. Ed ecco che il campione delle crudeltà, dell’insensibilità, dell’ottusa stupidità appare a rete unificate. Anche la fisiognomica aiuta a renderlo inumano. Mai un sorriso, un sussulto, un moto di vita, Putin appare davvero come l’archetipo dell’insensibile tiranno disposto a qualsiasi abominio. Certo la narrazione più lunga, quella che non scorre sui binari della cronaca ma della storia ci avrebbe ricordato che di tiranni così ne abbiamo costruiti a migliaia. Saddam e il Califfo dell’Isis sono solo gli ultimi di un’infinita teoria per i quali la narrazione vicina dimentica di ricordarci che il primo è stato sostenuto dall’occidente per oltre vent’anni prima di diventare il simbolo del Male e che il secondo con una pace riparatoria dei danni della seconda guerra del golfo non sarebbe neppure esistito.

Torniamo quindi alla crisi ucraina che ci viene descritta attraverso il pianto dei bambini, il lamento dei civili di fronte alle loro case distrutte, le fosse comuni, il grano fermo nei porti e la fame che invece l’ha già preceduto nel mondo povero. Sullo sfondo loro, i russi. Una sorta di razza aliena assetata non si sa bene di cosa ma disposta a qualunque efferatezza pur di compiacere il proprio bionico dittatore. A lato di questo dramma ci siamo noi, testimoni e custodi del vivere civile e del corretto modo di interpretare le relazioni tra i popoli. Certo, qualche svarione in passato l’abbiamo avuto, ad esempio quando abbiamo attaccato l’Afghanistan e anche quando da lì siamo fuggiti a rotta di collo, o quando abbiamo bombardato Belgrado con un numero di missioni quindici volte superiori a quelle dei russi su Kiev, per non parlare dei peccati veniali di omissione che ci hanno impedito di inorridirci per Siria, Curdi, Yemen, Eritrea, Mauritania e via così. Tutto questo avrebbe un senso se ci riferissimo alla narrativa lontana, ma su quella vicina che vive di oggi e di emozioni ha solo l’effetto di un’eco fastidiosa. Tutto bene allora? Non proprio. La gente, quella che adesso viene chiama audience, ha bisogno dell’equilibrio tra narrativa lontana e quella vicina e quando percepisce che questo si è infranto utilizza l’unica arma che da sempre ha dimostrato di funzionare: il dubbio. Ecco allora il proliferare di complotti, rivelazioni, bufale, interpretazione segrete. E’ il mondo di “mio cuggino m’ha detto…”. Solo che quando si preferisce credere al cuggino piuttosto che al tuo governo qualche danno è già stato prodotto, ad esempio ci si è convinti che la democrazia è ormai un prodotto scaduto, che la partecipazione è inutile, che il chiudersi nel nostro particulare sia l’unico modo per garantirci un minimo di verità.

Già eccola di nuovo la verità. Prima che la storia si incarichi di dimostrarci nel dettaglio i meccanismi e gli interessi che questa ultima guerra hanno governato forse facciamo ancora in tempo a tagliare il velo opaco della narrazione quotidiana e intravedere alcune ombre se non vere almeno verosimili. Ad esempio si riuscirà ad intravedere le ragioni che stanno spingendo la più importante nazione del mondo libero e infischiarsene della metà dei conflitti in corso per scendere in campo a sostegno di una nazione che, con tutto il rispetto, nessun americano a giugno dello scorso anno avrebbe saputo collocare sulla carta geografica. Sarà forse perché nel confronto tra Cina e USA, che questi ultimi riconoscono come il vero scenario strategico di riferimento per i prossimi decenni, una Russia indebolita significherà anche una Cina più debole? La Russia come arma per indebolire Pechino? Perché no. E dove andare a premere? Non certo sull’economia che di sicuro non è il punto forte di Mosca, ma sulla sua capacità di essere ancora un formidabile avversario militare. Consumare e consumarla diverrebbe quindi imperativo fino a quando i costi di questa guerra infinita in territorio ucraino avranno reso la Russia più mansueta e meno pericolosa e soprattutto più bisognosa di aiuto da parte di Pechino. C’è qualche pericolo in questo ragionare all’ombra di una possibile verità? Certo che c’è, ed è quello di arrivare al punto che la Federazione russa sia così debole da non rimanere più una federazione. Lo spettro di migliaia di testate nucleari sparse nei silos sotterranei di qualche nuovo paese del quale oggi non siamo in grado di pronunciare il nome è di certo terrorizzante e deve essere gestito con estrema cura.

L’Ucraina in questo senso non può vincere né perdere. Deve semplicemente continuare finché può. Mosca cadrà in questo schema che ricalca abbastanza da vicino la strategia romana al tempo dell’invasione di Annibale in Italia? Questo è da vedere e si vedrà tra non molto. Nel frattempo si riesce a intravedere qualcos’altro. Ad esempio che la granitica unanimità della NATO tanto granitica poi non è. Difficile infatti far convivere convintamente la Turchia di Erdogan con le tre repubbliche baltiche o la Francia di Macron il quale passa più tempo al telefono con Putin che con sua moglie e la leadership polacca che sogna di far sfilare la propria cavalleria sulla piazza rossa. L’ambito dove questi sogni possono essere raccontati con maggiore libertà non è la NATO, ma l’Unione europea. Qui, al di fuori dal più stretto controllo di Washington, la Germania si scopre senza un esercito ma pronta ad assumere di nuovo il ruolo di potenza regionale ed ecco allora che trecento miliardi di euro si trovano perché una potenza dal peso strategico un esercito ce lo deve avere. E poi c’è l’Italia che una volta tanto cosa pensa l’ha fatto capire. Vuole che la guerra finisca presto perché non è in grado di tollerare il peso delle sanzioni che essa stessa ha votato. In questo ha validissimi alleati nella Francia, nella Spagna, nel Portogallo e, non ultima, nella Germania stessa. Paesi insomma che non possono essere considerati proprio l’ultima ruota del carro. Si potrebbe continuare ma in conclusione sarebbe sufficiente che ogni tanto si sollevasse il velo della narrazione vicina per scoprire quanto ancora siano valide le parole di un vecchio filibustiere quale fu Winston Churchill per il quale “… non esistono alleanze permanenti, ma solo interessi permanenti”.