Di seguito pubblico un estratto dal mio lavoro dedicato alla campagna del Belgio del 1815 e al suo epilogo di Waterloo. Un omaggio a quella data davvero storica. E’ la mattina che precede la battaglia. Buona lettura

“…a metà giugno un’alba così fredda era davvero rara perfino in quella parte del Belgio, da sempre abituata ai capricci del tempo. Dopo il diluvio della notte la terra aveva risposto ai primi raggi di sole invadendo boschi e campi d’una nebbiolina ostinata che man mano si era mescolata al fumo basso dei fuochi, a centinaia dispersi intorno allo stradone.
Sull’ondulato saliscendi che da Genappe conduceva a Mont-Saint-Jean, tutto sembrava galleggiare in una foschia lattiginosa, dove uomini ed animali si intuivano appena. Qualche sparo o il nitrito di un cavallo bucavano l’ovattato brusio che da un paio d’ore aveva preso ad animare la valle.

Alla piccola fattoria detta di Le Caillou, ultimo quartier generale di Napoleone, nelle loro eleganti uniformi blue de ligne, anche i Cacciatori a Piedi della Guardia Imperiale erano fradici, ma l’acqua non aveva fatto perdere loro la compostezza. Durante la notte appena trascorsa avevano protetto il breve sonno dell’imperatore mentre lo scalpiccìo dei battaglioni in afflusso verso la locanda de La Belle Alliance spariva coperto dal fragore dei tuoni.

Poco dopo le sei del mattino aveva finalmente smesso di piovere, ma il fiume di uomini continuava a scorrere imponente sul pavé impastato di fango. Durante la notte tutta l’Armée du Nord si era messa in movimento in direzione nord inseguendo l’armata di Wellington.
All’alba, il Corpo d’Armata di d’Erlon si era fermato tra Plancenoit e la fattoria di Monplaisir, ad eccezione della 4a divisione di Durutte, che l’avrebbe raggiunto in mattinata. La fronte ed il fianco destro del I Corpo erano stati coperti dalla 1a divisione di cavalleria di Jacquinot.
I Corazzieri del IV Corpo di Milhaud, la 3a divisione di cavalleria leggera del generale Domon, la 5a divisione di Subervie insieme alla cavalleria della Guardia avrebbero bivaccato in seconda linea, all’altezza della fattoria di Rossomme. Da dietro il muretto che circondava il piccolo orto della fattoria di Le Caillou, gli Chasseurs non avevano ancora visto passare gli imponenti Corazzieri di Kellerman né le giubbe verdi dei Dragoni di Milhaud. Insieme al II Corpo d’Armata di Reille e al VI di Mouton, si erano fermati attorno a Genappe, circa sei chilometri a sud.

I reggimenti a piedi della Guardia Imperiale, che come al solito si sarebbero sistemati attorno all’Imperatore, avevano preferito abbandonare lo chaussé ingombro di carriaggi ed artiglierie per proseguire attraverso i campi fino al quartier generale di Le Caillou, ma per via dell’oscurità, della pioggia e del fango solo due o tre reggimenti erano riusciti ad arrivare fin là verso le dieci del mattino del 18 giugno, gli altri sarebbero giunti più tardi.
Per ciascuno degli uomini a ridosso della cresta di Mont-Saint-Jean, che fosse un fante della Ligne, un granatiere della Guardia o un artigliere, il sollievo di non dover più marciare si era comunque ben presto dissolto nel patire di una notte trascorsa sotto una pioggia fredda e interminabile.

Come quella di migliaia di soldati senza nome, anche la marcia del soldato Albert Cussac e dei suoi camerati del 72° Reggimento di Linea si era esaurita nei pressi di una collinetta dominata da una grande fattoria abbandonata da poco, simile in tutto a quelle che si incontravano spesso da queste parti. Gettati a terra zaino, bisaccia e moschetto, Albert s’era guardato intorno rendendosi conto che all’appello mancava quasi la metà della compagnia.
Il battaglione era partito da Fresnes poco dopo mezzogiorno ed aveva continuato a camminare fino a notte inoltrata tra campi allagati e sentieri inghiottiti dal fango. Era stato tutto un fermarsi e ripartire per via dell’intasamento prodotto sulla strada e in quelle condizioni marciare era stato un vero tormento.
In quel fango scuro e gelato alcuni avevano perso le scarpe e altri avevano deciso di proseguire scalzi o calzando un paio di vecchi zoccoli che saggiamente si erano portati dietro. In molti, specie i più giovani, non avevano retto e si erano lasciati cadere ai lati dello chaussée in attesa di riprendere le forze. Era quella dunque la guerra? Una marcia infinita, senza nulla da mangiare, sotto la pioggia e senza poter riposare per giorni.

Da quando s’erano mossi non avevano incontrato l’ombra di un inglese, a parte quelli che giacevano non lontano da un incrocio due o tre leghe più indietro. Laggiù ce n’erano parecchi. Tutti morti. Qualcuno indossava addirittura una ridicola gonna a quadri. Per Albert era la prima volta che vedeva un uomo con la sottana, se si escludeva Padre Lessart, il curato del paese. Si ricordava d’averne riso con i camerati, ma la pioggia e il passo imposto dai sergenti non gli avevano consentito di vedere altro e nemmeno di controllare se sui cadaveri di quei disgraziati fosse rimasto qualcosa di buono.
Passato l’incrocio, il soldato Cussac aveva continuato a marciare in silenzio, piegato in avanti, un piede avanti all’altro come un mulo da miniera, mentre dal bordo dello shakò la pioggia gli colava direttamente nel collo.
Quando finalmente il capitano Feuillet s’era deciso a dare l’alt, la notte era scesa già da un paio d’ore. Anche il sergente Cunat sembrava sfinito e dopo aver abbaiato qualcosa, era sparito sotto un telo cerato rimediato chissà dove.
Erano trascorsi due giorni dalla loro partenza da Charleroi e tre da quando avevano lasciato Beaumont attraversando la Sambre. Da allora nessuno aveva più distribuito le spettanze, un “pan de munition” o qualche galletta da zuppa ed era troppo buio anche per mettersi a cercare qualche rapa o una cipolla. Ma anche avesse avuto qualcosa da mettere in pentola, in tutta la provincia non era rimasto un solo pezzo di legna asciutta per accendere un fuoco.

Prima gli inglesi in ritirata e poi i reggimenti che li stavano inseguendo avevano fatto piazza pulita di tutto: porte, mobili e finestre comprese. Albert stava imparando a sue spese che per sopravvivere nella fanteria dell’imperatore bisognava avere le gambe di un mulo, il cuore di un leone e lo stomaco di un passero. Tuttavia, in fondo allo zaino, avvolto in un pezzo di carta oleata, Albert custodiva un tesoro: un pezzo di lardo un po’ rancido ma ancora buono, che intendeva tenere per la mattina.
A una ventina di passi da lui la terra si era improvvisamente animata. Qualcuno aveva pensato di trovare un po’ di calore stringendosi ad un camerata e coprendosi con la misera coperta azzurra spalmata di fango, che sembrava garantire un riparo dalla pioggia…”