“Ma tu stavolta ci vai a votare?”. Già il fatto che una domanda del genere ti venga posta la dice lunga sull’aria che tira in quest’inizio di settembre elettorale.
“Andare o non andare a votare, e nel caso per chi?” Ogni volta che l’argomento esce fuori si rianimano Matteotti, i martiri della Resistenza, quelli uccisi dalle Brigate Rosse e tutti gli italiani che negli anni hanno dato la vita perché io potessi liberamente andare a votare. Stanno tutti lì, in bianco e nero, con la faccia incazzata e mi guardano aspettando che dica: “Mi sa che io stavolta non vado!” per farmi sentire come il bimbo che fa piangere la mamma. La mozione degli affetti non dovrebbe essere arma elettorale.

Tentiamo un’altra strada: “Bisogna andare a votare perché se no vincono gli altri”. E chi sarebbero poi gli Altri? Quelli che la pensano diversamente da me? Quelli che rubano? Quelli che non sanno mettere due parole in croce? Oppure quelli che pur sapendolo fare non hanno alcuna idea di cosa dire? Purtroppo il timore di far vincere gli Altri non mi permette per differenza di riconoscere i Miei. Chi sarebbero infatti i miei? Faccio un rapido giro tra visi e panze ma non riconosco nessuno. C’è quello che mi voleva curare con tachipirina&vigile attesa, quello che ha scelto il commissario che s’è inventato le primule e intascato i soldi. C’è pure quello del monopattino inseguito da quella con i banchi a rotelle e poi, quasi nascosto, chi con la bandiera ci si puliva il culo e anche quell’altro che ancora promette un nuovo miracolo italiano. Sarebbe già un miracolo sopravvivere. No, non riconosco nessuno come “i miei“.

Il calcio s’è inventato il prestito con diritto o obbligo di riscatto ma neppure così i nominati in pectore sono miei. Già perché, visto che si fidano così tanto, hanno deciso – tutti, nessuno escluso – che io debba votare solo un simbolo. I nomi, quelli che in teoria dovrebbero rappresentarmi, ce li mettono loro. Che carini! Certo, ad alcuni di quelli non affiderei neppure il sacchetto dell’indifferenziato che qui ritirano il giovedì, ma è solo perché sono malfidato e vecchio. Però a pensarci sono oltre dieci anni che questa legge elettorale, che essi stessi definiscono di merda, è ancora lì. Vigliacco ci fosse stato uno che c’avesse mai messo mano. Forse perchè, essendo di merda, fa un po’ schifo a tutti.
Come una zanzara di notte mi ronza fastidioso il consiglio: “Vota il meno peggio” oppure “Vota turandoti il naso”. Sul valore del voto in apnea discuterò un’altra volta, ma ora mi chiedo perché dovrei per forza scegliere tra due mali; uno supposto minore dell’altro, ma pur sempre un male. Ogni tanto, giusto per provare, non si potrebbe scegliere tra il Bene e il Male? Tra i Ladri e gli Onesti? Tra il Giusto e l’Ingiusto? No, eh… “.
A questo punto al bar della piazza dove fanno un grandioso gelato alle creme trovo quasi sempre Catone il Censore che mi intima: ”…se non voti non hai diritto poi di parlare e neppure di lamentarti!”. “Quindi – penso – chi non vota perché ammalato, perché minorenne, perché all’estero per lavoro, perché è in viaggio proprio quel giorno, per i prossimi cinque anni è condannato al silenzio? Al trappismo politico? Una interpretazione un po’ bislacca della cittadinanza, n’est pas?!
Quello che vota il parlamento diventa legge per tutti, non solo per chi ha votato e tutti hanno diritto di critica e di parola visto che la legge bussa ad ogni casa e, come recita l’adagio, “non ammette ignoranza”, significando forse che andrebbe trattata con più gentilezza. Anzi, adesso che ci penso, si possono anche raccogliere firme per cancellarla, una legge, e lo possono fare tutti, mica solo quelli che hanno votato. Argomentazione scarsa dunque.
Proviamo allora con “Non guardare ai politici, ma guarda al programma”. Una volta chiesero a Gandhi cosa ne pensasse della civiltà occidentale. “Sarebbe un’ottima idea” aveva risposto il Mahatma e anche per i programmi elettorali si potrebbe dire lo stesso.

Buona idea se ne avessero uno, anche di seconda mano, anche stortignaccolo, ma niente. Non c’è uno straccio di documento che riporti una mezza idea di come arrivare vivi al 2027. Niente. Certo, le letterine a Babbo Natale abbondano. C’è chi vuole affondare i migranti, chi regalare stipendi a fine anno, chi l’ecologia, chi il nucleare e anche chi vuole il parmigiano sugli spaghetti alle vongole. Io, ad esempio, vorrei perdere cinque chili entro cinque mesi, ma non penso che sia materia per un’elezione. Siamo quindi giunti al momento in cui ti dicono: “ma se non voti poi arrivano…” elenco nell’ordine: i comunisti, i fascisti, i democristiani, i pro-vax; i no-vax, i boh-vax, Putin con tutti i Russi, Biden con tutti gli Americani, i Tedeschi perché già sanno la strada; i Francesi che si comprano tutto, i Polacchi che ci portano un altro Papa dei loro e così via. L’avesse mai predetto Mosé al Faraone, questi avrebbe preferito di certo le classiche piaghe. Rane comprese. Malgrado le previsioni da menagramo non immagino che il non andare a votare potrebbe determinare il crollo della civiltà occidentale (a dispetto di Gandhi, ne abbiamo una), la fine del cristianesimo, l’arrivo dell’anti-Cristo e la ripresa della deriva dei continenti. E visto che in fondo un minimo di ottimismo m’è rimasto potrei anche correre il rischio di non votare e vedere se davvero un meteorite mi prende in piena fronte.
Resta infine l’ecumenico “Vai a votare anche se, voti o non voti, non cambia niente”. Vero. E proprio perché il mio singolo voto non cambierà mai una cippa di niente almeno lasciatemi assegnare al gesto un minimo valore morale e ideale; foss’altro solo per me. Guardo di nuovo verso i visi e le panze di anzi citate e di morale e ideale non scorgo alcunché.

Il 25 settembre comunque si avvicina e sempre più distinta si va formando in me un’immagine, quella di un grande ristorante, di quelli a tre stelle Michelin, dove un uovo al tegamino costa come un metro quadro in piazza di Spagna. Seduti ai tavoli con doppia tovaglia di Fiandra vedo tutti i politici che in questi anni mai si sono alzati da lì, neppure per andare al bagno. Stanno seduti e parlano, parlano. Ogni tanto ordinano altro champagne e due spaghetti alla magnòsa, tanto per gradire.
Poi in sala ci sono i camerieri. Hanno tutti la mia faccia e corrono, corrono portando questo e quello. Alla fine, dopo il caffè e la grappa, i visi e le panze si girano tutti verso di me e mi consegnano il conto. Solo contanti, no bancomat!
Se andrò a votare? Vorrei tanto fumarmi una sigaretta seduto fuori dal ristorante, anzi lontano; lontanissimo. Vedremo.
Buona cena a tutti.
P.S. Se comunque la gente si chiede se andare a votare o no vuol dire che una bella figura in questi anni non l’avete fatta.
La cena si rischia di farla al lume di candela anche se non si è in buona compagnia
Sempre molto pungente e chiaro!