Ucraina: è arrivata la bufera…

Preferisco un generale fortunato a uno bravo”. Come dar torto a Napoleone oggi che sul fronte settentrionale ucraino sembra che per un inspiegabile allineamento di pianeti si siano contemporaneamente trovati di fronte un generale bravo e fortunato e un altro sfortunato e per certi versi incapace. Tuttavia in guerra questo succede più spesso di quanto si creda e causa sempre grandi disastri.

mezzi russi distrutti nei primi mesi dell’offensiva russa – fonte WEB

Basta ricordare i nostri di generali nell’ottobre del ’17, tra Plezzo e Tolmino, oppure Lucas, spiaggiato e immobile ad Anzio e gli esempi potrebbero continuare. Per ora non sappiamo né il nome del generale ucraino né quello del suo avversario russo. Tuttavia al primo va di certo il merito di aver fatto tracollare un terzo dell’armata russa d’Ucraina mentre sul secondo incombe la responsabilità di non essere stato in grado di impedirlo.

Dopo questa premessa sul peso che il fato ha sulla condotta della guerra, tentiamo una ricostruzione dei fatti, a partire dai pochi e confusi elementi in nostro possesso, in primo luogo dalla situazione generale al 5 di settembre, il giorno precedente l’inizio dell’offensiva .

Su un fronte lungo quasi 800 chilometri, esteso da Kharkiv, a pochi chilometri dal confine russo, a Kherson, città quasi sul mar Nero, da un paio di mesi non succede quasi nulla. L’ultima offensiva russa ha portato alla conquista delle due città gemelle di Severodonetzk e Lysichansk e alla presa di quasi tutto il Donbas, poi quasi più nulla se non incesanti e mortali bombardamenti d’artiglieria su quasi tutto il fronte, frammezzati da piccoli attacchi locali e da incursioni di missili e aerei.

Al di là del Dnepr Kherson fin dai primi giorni di guerra è occupata da una robusta guarnigione russa. Dalla città, che in molti chiamano “il balcone su Odessa”, parte una striscia di terreno larga un centinaio di chilometri in pieno controllo russo che congiunge la regione del Donbass alla Crimea. E’ il “corridoio terrestre” che ha messo in sicurezza le basi e i porti della Crimea dal tiro dei missili ucraini e che garantisce l’alimentazione tattico-logistica tra nord e sud del teatro di operazioni. Melitopol, il porto di Berdiansk e soprattutto Mariupol sono i nomi che lo identificano agli occhi di tutti.

Andamento del fronte russo-ucraino agli inizi di settembre 2022 (mappa P.Capitini)

A nord, dalle parti di Kharkiv, le attività militari si sono limitate a un costante tiro di artiglieria e a qualche lancio di missili su obiettivi ritenuti militari. La città, la seconda per importanza di tutta l’Ucraina, è ancora sotto il controllo di Kiev ma sui numerosi sobborghi come su tutte le autostrade e ferrovie che conducono in città, Mosca esercita uno stretto controllo il che fa di Kharkiv una città sotto assedio.

Nel sud-est, in quel grande spazio tagliato da fiumi e foreste, una piccola città gioca un ruolo decisivo per l’intera armata russa: Kupiansk che i russi si sono precipitati a occupare già nei primi giorni dell’operazione militare speciale.

110 chilometri a sud di Kharkiv, 70 da Izium, ma solo 50 dal confine russo, Kupiansk prima della guerra aveva circa 25.000 abitanti, ma quel che conta oggi per Mosca è il centro nodale della ferrovia che da Belgorod in Russia conduce a sud, verso il Donbas. A Kupiansk si incrociano anche l’autostrada P07 che da est a ovest congiunge il confine russo con Kharkiv e l’autostrada P79 che collega Kharkiv con Yalta in Crimea. Per il comando russo Kupiansk è la più importante base logistica avanzata che alimenta l’intero Donbas.

Più a sud-est, nella grande ansa del Dnepr, i combattimenti si sono fissati attorno alla zona di Zaporizhzhia . Qui il grande fiume, in qualche punto largo più di un chilometro, ha arrestato l’avanzata russa alla sua sponda orientale. L’unico obiettivo di prestigio raggiunto dai russi è la centrale nucleare di Enerhodar, un centinaio di chilometri a sud di Zaporizhzhia e per sua sfortuna sulla sponda orientale. Prima della guerra questa che è la centrale nucleare, la più grande d’Europa, forniva di elettricità un quarto dell’Ucraina, ma da quando èfinita in mano russa la produzione è progressivamente scesa fino a cessare del tutto. La comunità internazionale a più voci ha chiesto, minacciato e a volte implorato di escluderla dal territorio di guerra, vista la pericolosità intrinseca dell’impianto, ma Mosca, pur consentendo l’ispezione dell’impianto da parte di una delegazione della AIEA, ha continuato a occuparla utilizzandola come deposito avanzato di materiali per il fronte sud.

la centrale atomica di Zaporizhzhia – Enerdohar (foto RAI PLAY)

A est del grande fiume, a partire da Izium e Severodonetz, si apre la grande regione del Donbas. Fin dall’inizio delle ostilità le due province di Donetz e Lugansk sono in gran parte in mano russa e alle milizie delle autoproclamate repubbliche. Assieme alla Crimea il Donbas è il motivo per il quale Mosca ha scatenato la guerra e in molti pensano che una volta ultimata la conquista Mosca si siederà al tavolo della pace. Ne manca una piccola porzione, qualche chilometro a est di Severodonetz, dove la linea di contatto si appoggia alle città di Sloviansk e Kramatorsk, capisaldi della difesa uscraina.

Eccoci dunque di nuovo a Kherson. L’intera città si trova sulla riva occidentale del Dnepr ed è circondata dall’esercito ucraino. Per entrare e uscire dalla città esistono, anzi esistevano, solo due ponti: il ponte Antonosky e quello sulla diga di Nova Kachowka. Entrambi da mesi sono obiettivo dell’artiglieria ucraina che li ha messi fuori combattimento. Ma non solo. Anche i numerosi ponticelli che superano la rete di fiumi e canali che circondano la città sono per la maggior parte distrutti. I genieri russi fanno del loro meglio per allestire qualche ponte di barche o rimettere in acqua delle chiatte che regolarmente vengono colpite con precisione millimetrica dai razzi HIMARS, dono degli Stati Uniti. Rifornire la città in quelle condizioni è una impresa disperata. Corre voce che i russi abbiano intenzione di abbandonare la città, ma risulta difficile crederci. In primo luogo perché alle loro spalle non c’è più una vera via di fuga e a meno di un accordo di “cessate-il-fuoco” una ritirata equivarrebbe a un massacro. Secondariamente perché Kherson e ancor più Nova Kachowka controllano il grande invaso e il primo tratto di quel grande canale nord-Crimea che assicura il rifornimento d’acqua dolce alla Penisola.

“Il nastro giallo” – simbolo della resistenza ucraina -sul muro di un’abitazione in territorio occupato

A completare il quadro, alle spalle della linea del fronte, nelle città come nelle campagne, l’attività di “zheltaya lenta”, il nastro giallo simbolo della resistenza armata ucraina diventa giorno per giorno più incisiva. Sabotaggi, imboscate a veicoli isolati, uccisioni di collaborazionisti, propaganda e spionaggio rendevano impegnativo per i russi il controllo delle aree conquistate.

Questa dunque la situazione all’inizio di settembre, pochi giorni prima del cataclisma.

Il presidente ucraino Volodymir Zelensky (foto WEB)

Per tutta l’estate il presidente ucraino Zelensky non aveva perso occasione per annunciare l’imminente avvio della grande offensiva che avrebbe portato alla liberazione di Kherson e poi della Crimea, ma come tutti sanno le offensive si fanno, non si annunciano.

Tuttavia un qualche fondo di verità il comando russo doveva avercelo trovato visto che durante quasi tutta l’estate aveva iniziato ad ammassare truppe tra Kherson e Zaporizhzhia, pronte a parare il colpo ed eventualmente contrattaccare.

Per avere un’idea più precisa è bene tenere a mente qualche numero. Nel sotto-settore nord, quello per intendersi che verrà poi travolto dall’offensiva ucraina, il comando russo aveva posizionato dai 17 ai 20 gruppi tattici a presidio di un fronte di circa 140 km i cui punti nevralgici erano Izium e la richiamata Kupiansk. Per intenderci un gruppo tattico è una formazione di combattimento formata da 800 – 1200 uomini e da unità di carri armati, genio, artiglieria, trasmissioni in grado di condurre autonomamente azioni di combattimento in un settore limitato.

Immediatamente a sud, nel Donbas vero e proprio le cose non andavano un gran che meglio, visto che per controllare un tratto di fronte di 240 km c’erano dai 13 ai 15 gruppi tattici. Le cose cambiavano nel profondo sud, lungo il citato “corridoio terrestre”.  Qui tra Mariupol e Melitopol, su 200 km di linea di contatto, erano presenti 17 gruppi tattici; 27 erano quelli assegnati all’area di Kherson e alle loro spalle, altri 27 componevano la riserva operativa. Insomma tra il settore di Kahrkiv e il Donbass erano stati ritenuti sufficienti non più di una trentina di gruppi tattici, mentre a sud ce n’erano quasi settanta, il che sembrava dirla lunga su dove i russi si aspettassero l’offensiva. Rimaneva un dubbio se gli ucraini avrebbero attaccato direttamente Kherson oppure avrebbero preferito partire dalla zona di Zaporizhzhia. Sulla possibilità di un attacco massiccio al nord nessuno sembrava crederci.

Questo almeno fino al 6 settembre.

andamento della linea di contatto nel settore nord il giorno dell’inizio dell’offensiva ucraina (carta p.Capitini)

Qui per completezza devo accennare alle due opinioni che descrivono le ragioni del successo della offensiva in corso. La prima sostiene che l’attacco a nord faccia parte di un complesso piano di depistaggio, studiato, pianificato e organizzato con grande anticipo secondo le tecniche operative proprie della maskirovska. Vale a dire un gigantesco piano di inganno che attraverso un sapiente dosaggio di azioni, dichiarazioni, piccoli atti tattici e spostamenti di truppe alla fine aveva convinto i russi che Kiev avrebbe davvero attaccato al sud mentre invece il piano era sempre stato di partire con un deciso attacco a nord.

L’altra corrente di pensiero, invero minoritaria ma alla quale mi associo, ritiene invece che ci fosse ben poco di pianificato nell’attacco che sta portando quasi al collasso l’esercito di Mosca.

Secondo i sostenitori di questa tesi gli ucraini non stavano conducendo alcuna vera controffensiva e neppure un contrattacco, ma un semplice test per saggiare la possibilità di condurre qualche azione un po’ più fortunata di quelle condotte a sud e regolarmente respinte dai russi. Si voleva cioè testare un cambio di tattica che invece di puntare a manovre coordinate su ampia fronte, concentrasse il fuoco chirurgico dei razzi HIMARS su bersagli di alto valore tattico su un fronte ampio 3 o 4 km e una profondità di 10 km. Aperta una breccia si sarebbe quindi avanzato, visto e valutato il da farsi. Tutto qui.

A indiretto sostegno di questa tesi di minoranza si può portare il fatto che destinare tre sole brigate a questa che è ora definita “la grande offensiva”, sembra davvero un po’ poco. Sta di fatto che sono stati i reparti esploranti della 80a e della 25a brigata aviotrasportata insieme a quelli della 93a brigata meccanizzata a iniziare l’azione nei pressi del villaggio Milova. Il loro movimento era stata preceduto per circa 12 ore dal fuoco di preparazione di artiglieria eseguito con lancio di razzi HIMARS a guida GPS utilizzati in modo intermettente su obiettivi pianificati e su altri di opportunità svelati durante il bombardamento.

Lancio di razzi HIMARS a guida GPS (foto WEB).

Il 6 settembre, 2000 soldati ucraini, con si e no una trentina di carri armati e il doppio di veicoli da combattimento per la fanteria, con tutta la prudenza del caso si erano dunque presentati in quella che poi si rivelerà essere una breccia di 3×10 km. Certamente in una situazione come questa avere a disposizione il quadro completo e aggiornato delle posizioni e delle attività dei russi non è stato fattore da sottovalutare e in questo il ruolo della NATO e degli Stati Uniti nel garantire un continuo e attendibile flusso di informazioni di situazione è stato fondamentale, tuttavia non giustifica la mancata reazione russa, specie nelle prime ore. Nessuno sparava; nessuno richiedeva missioni di supporto aereo ravvicinato; nessuno comandava un concentramento di artiglieria. Nessuno insomma che nelle prime ore avesse provato a richiudere la breccia, sebbene a meno di qualche chilometro fosse posizionata un’intera brigata russa.

Qui è necessario introdurre un elemento che fa sempre fatica a trovar spazio nei resoconti di battaglia: il fattore umano. Cosa è successo ai russi e perché?

Cosa sia accaduto è ormai chiaro a tutti: il panico. Più interessante è riflettere sul perché una parte dell’esercito di Mosca abbia iniziato a fuggire anziché reagire e qui i fattori da considerare iniziano a essere parecchi. Partiamo ad esempio dalla qualità della truppa, dal livello di addestramento ricevuto, dall’esperienza di combattimento maturata, dalla percentuale di veterani nelle minori unità. Si potrebbe poi passare alla qualità dei comandanti anche ai minori livelli. Avevano in mano i loro reparti o no? Poi si potrebbe parlare degli ordini ricevuti, della pianificazione dei comandi, del morale e di mille altre cose che messe tutte insieme fanno dire a un soldato “prendo il fucile e combatto” oppure “ lascio tutto e scappo”.

Per evitare di indulgere in facili ironie immaginate per qualche momento di essere soli in un avamposto sperduto, dopo tre mesi che fate sempre la stessa cosa, senza aver effettuato nessuna esercitazione di allarme e magari con il vostro capitano o il sergente che giocano a carte con voi oppure postano video su Telegram. D’improvviso sentite sparare, rumore di cingoli, altri spari. Chiedete alla radio che sta succedendo e vi rispondono che non ne sanno nulla. Qualcuno inizia a parlare di battaglioni di assassini che vengono a tagliarvi la gola, a spararvi sulle rotule…Se a questo punto non avete qualcuno che vi sveglia dall’incubo e vi ricorda che avete munizioni, armi, addestramento e coraggio per resistere, l’unica cosa che farete sarà fuggire. E questo sembra essere successo in un generale “si-salvi-chi-può” che rischia di essere mortale per l’intero esercito russo d’Ucraina.

Tutti gli eserciti hanno sperimentato quest’agghiacciante psicosi. Noi a Caporetto, quando le seconde e le terze linee si dissolsero al solo grido de “Arrivano i tedeschi” mentre la prima linea combatteva ancora. Successe anche a Verdun nel ‘16 dove i francesi arrivarono a un pelo dal collasso ma per loro fortuna trovarono un capo che disse ai fanti smarriti l’unica cosa che volevano sentirsi dire: “tranquilli, gliele daremo!”, e non dimentichiamoci poi dei fanti di Saddam Hussein dallo sguardo allucinato o dei marines argentini alle Falklands. Insomma, la casistica è lunga e da oggi si aggiungerà il caso del collasso del sottosettore nord del fronte russo-ucraino nel 2022.

Situazione nel settore di Kharkiv a un giorno dall’inizio dell’offensiva. Gran parte delle guarnigioni russe stanno già abbandonando le posizioni.

Gli stessi attaccanti ucraini sono rimasti sorpresi della facilità con cui percorrevano senza combattere le strade contese al costo di decine di vite nei mesi precedenti. Sembra che quando nelle sale operative ucraine la situazione è iniziata a farsi più chiara l’unica indicazione ricevuta sia stata “Andate avanti finché avete carburante”. Nel frattempo anche la 3a brigata corazzata si era unita a quella che da una ricognizione in forze si stava trasformando in un’offensiva vera e propria.

Situazione a tre giorni dall’inizio dell’offensiva. Kharkiv, Kupiansk Izium sono liberate, si combatte a Lyman (carta P.Capitini)

Nel giro di due o tre giorni Kharkiv e tutti i suoi sobborghi, Balklijia, Izium, Lyman e Kupiansk e persino la periferia di Serodonetsk sono state liberate. Dei fuggitivi si hanno ad oggi poche notizie, così come ancora non si ha traccia di una coordinata reazione russa. Si sa che il 3° corpo d’armata ancora in via di allestimento e di addestramento, è stato inviato di gran carriera a contenere l’enorme sacca che si è realizzata. Allo stesso modo alcuni reparti dislocati al sud sono stati inviati in tutta fretta al nord, ma il controllo ucraino delle principali autostrade e di tutte le linee ferroviarie nord-sud del Donbas rende molto lento il rischieramento.

situazione al 14 settembre Lyman è caduta, si combatte nei sobborghi di Severodonetzk, si presume una reazione russa a breve (carta p.Capitini)

Potrebbero essere inviati altri reparti direttamente dalla Russia che dista solo qualche decina di chilometri dal luogo del disastro. Si potrebbero di certo fare e organizzare molte cose, ma al momento non si avverte la presenza di nessuna iniziativa davvero concertata in grado realisticamente di contenere il disastro, congelare la situazione almeno fino all’inizio delle piogge di autunno atteso per la metà di ottobre.

Nel frattempo un aiuto indiretto potrebbe venire a Mosca proprio dall’ampiezza del successo di Kiev. Non va sottovalutato infatti che gli ucraini nella sacca sono troppo pochi per controllare e tenere uno spazio così grande. Certo, si può essere sicuri che Kiev stia facendo di tutto per inviare altre unità per consolidare il successo e che queste, muovendo per linee interne, impiegheranno molto meno tempo di quelle che Mosca sta verosimilmente destinando a contenerle.

Carro russo in combattimento (foto WEB)

C’è da immaginare che in pochi giorni la situazione si riequilibri, ma al prezzo di perdite territoriali molto significative da parte russe. Izium, Lyman ma soprattutto Kupiansk erano infatti nodi vitali per la organizzazione logistica russa, senza i quali far arrivare un litro di gasolio, un proiettile o un uomo in Donbas inizia ad essere difficile.

Cosa succederà a breve? L’esercito russo collasserà? Putin avvierà trattative oppure scatenerà una risposta ancor più violenta? Si tratta di una disfatta o di un diabolico trappolone teso ai danni degli ucraini?

Come si vede a oggi le domande superano di gran lunga le risposte. Potremo infatti essere di fronte al punto di svolta del conflitto, oppure solo a una brutta sconfitta, dipenderà da come sapranno reagire nei prossimi giorni sia l’esercito ucraino sia, soprattutto, quello russo. Di una cosa si può però essere certi, che i russi hanno davvero bisogno di generali fortunati e bravi.

2 pensieri riguardo “Ucraina: è arrivata la bufera…

  1. Analisi molto chiara, grazie Generale. Spero tanto che questa brutta sconfitta dell’esercito russo sia l’inizio di trattative che portino finalmente alla pace.

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