Ucraina. Passata è la tempesta?

L’autunno è alle porte e la polvere dei giorni ha iniziato a posarsi sulla travolgente offensiva ucraina contro Kharkiv e Kupiansk. E’ tempo di approfondire lo stato dell’arte su ciò che sembrava o si auspicava essere l’offensiva che avrebbe rapidamente portato al collasso dell’esercito russo e, perché no, alla caduta di Putin.

Quella che inizia a intravedersi è invece una situazione in cui l’esercito ucraino continua a spingere in vari settori del lunghissimo fronte, ma senza per ora conseguire risultati decisivi. Dall’altra parte i russi resistono e si riorganizzano se pur con grandi difficoltà. Entrambi i contendenti sanno che la finestra temporale utile a raggiungere qualche obiettivo significativo si chiuderà a partire dalla seconda metà di ottobre quando – cambiamenti climatici permettendo – inizierà a piovere.

resti di un missile per le strade di Kherson (fonte WEB)

Con sempre maggiore chiarezza appare che la fortunata puntata nel sotto-settore di Kharkiv è stata una appendice della grande offensiva che dagli ultimi giorni di agosto l’esercito ucraino sta sostenendo nel sud, tra Kherson e Zaporizhzhia. Potrebbe dunque essere definita come il tentativo, peraltro brillantemente riuscito, di provare qualcosa di diverso da un’altra parte. Tuttavia per una visione complessiva della situazione è bene gettare uno sguardo su quanto sta accadendo sul resto del fronte a cominciare da Kherson, il punto più caldo.

Tra il porto di Mycholayv – baricentro dell’offensiva ucraina – e Kherson, suo obiettivo finale passano una sessantina di chilometri che prima della guerra si potevano coprire in poco più di mezz’ora, percorrendo l’autostrada M14. Oggi partendo dal centro di Mycholayv si arriva più o meno all’altezza del villaggio di Blahodatne, a metà strada tra la città e Kherson. Qui inizia il territorio genericamente controllato dai russi.

La città sul Dnepr è ancora lontana, oltre la linea dell’orizzonte, anche se le granate ucraine la raggiungono facilmente. Meglio ancora le bombe a guida GPS lanciate dagli HIMARS che da oltre un mese bombardano il chilometro e mezzo del ponte Antonevsky e quello della diga a Nova Kakhovka, sessanta chilometri a nord-est. Ci sarebbe anche il ponte ferroviario di Prydniprovske, sei chilometri a nord del ponte Antonevsky ma non sembra più percorribile se non a piedi.

il ponte Antonevsky a Kherson qualche giorno prima dell’offensiva ucraina di fine agosto (fonte WEB)

Da questi tre ponti passano, o meglio passavano, tutti i rifornimenti per la guarnigione russa di Kherson e gli stessi sono o potrebbero essere anche le uniche vie per l’eventuale ritirata dalla città di cui si hanno voci in queste ore. Per il momento tra la prospettiva di rimanere schiacciati dall’attacco ucraino a ovest e un fiume ormai intransitabile a est i russi resistono, cosi come resiste e sopporta la popolazione civile rimasta in città.

Di giorno si vivono gli allarmi dell’antiaerea e le esplosioni dell’artiglieria ucraina. Alla notte appartengono le raffiche e le bombe dei partigiani, giorno per giorno più audaci e agguerriti. Solo di qualche ieri il ferimento di Tetiana Tomilina, nuova rettrice fio-russa dell’università di Kherson che si è trovata la macchina imbottita di esplosivo. Da mesi in città le nuove autorità russe stanno tentando di organizzare un referendum per l’annessione alla Russia, ma al momento la gente sembra avere in testa tutt’altro.

Tetiana Tomilinova, rettore dell’università di Kherson e gravemente ferita in un attentato della resistenza ucraina (foto WEB)

Alla città assediata serve tutto ma la logistica russa, dopo la distruzione dei ponti, può fare affidamento solo su piccoli convogli di chiatte fluviali, precari ponti di barche e imbarcazioni di varia natura, il più delle volte centrati dai colpi dell’artiglieria ucraina. A parti invertite sembra di rivivere quanto accaduto a Severodonetzk all’inizio dell’estate. Insomma la situazione per i russi non è delle migliori; tuttavia l’armata ucraina è ancora molto lontana dall’essere penetrata in città e qualora la facesse il possibile combattimento urbano che ne scaturirebbe costerebbe un elevatissimo prezzo in vite umane.

Per ora l’offensiva ucraina oscilla quindi attorno al chilometro 30 della M14 e all’interno di una fascia di terreno compresa tra il porto fluviale di Olesandrivka, affacciato sull’immenso delta del Dnepr, e la P 81, la strada che da Kherson porta a Sniurivka. Si tratta di una fascia larga poco più di un’ottantina di chilometri e profonda si e no trenta. Qui al momento dicono siano morti circa diecimila soldati ucraini. Un po’ meno i russi, ma sono cifre che non trovano conferma ufficiale in nessuno dei campi.

Il secondo sotto-settore è più a nord anche se rientra sempre nel perimetro della sacca russa di Kherson. Da queste parti l’area coinvolta dall’offensiva di fine agosto si appoggia all’enorme bacino del Dnepr e si spinge verso sud per un centinaio di chilometri. Qui, tra i campi una volta coltivati a girasole e grano, scorre un piccolo fiume, l’Inhulet, affluente di destra del Dnepr che segna più o meno l’attuale linea di contatto tra russi e ucraini. Si tratta di una fascia ampia circa 150 km e profonda 30/40 chilometri dove si può dire che le forze ucraine esercitino un certo controllo.

Tra il minuscolo villaggio di Ternivka e Arkanhelesk, la sponda sinistra del fiume Inhuletz, è invece territorio russo. Anche in questo caso qualche piccolo risultato l’offensiva l’ha ottenuto. Kiev è riuscita a liberare e ora controlla Vysokopillia, Osokorivka, Novovorontsovka e una serie di piccoli villaggi rurali, tuttavia la sacca russa d’oltre-Dnepr è ancora lì e il prezzo pagato per minimi progressi territoriali è stato elevato.

Anche qui, senza ponti e con un fiume immenso da attraversare i russi devono affrontare complessi problemi di logistica e le truppe, da oltre un mese sotto attacco iniziano a logorarsi. Tuttavia è ancora presto per prevederne il cedimento.

ponte ferroviario distrutto nelal oblast di Kherson (foto WEB)

Ma perché i russi si ostinano a mantenere una testa di ponte oltre Dnepr che, verosimilmente, li logorerà per molto tempo? Se escludiamo le ragioni politiche e di prestigio e anche quelle legate a una possibile benché poco probabile offensiva russa contro Mykolayv e Odessa, mantenere il “balcone su Odessaper Mosca significa avere le mani sul rubinetto che permette alla Crimea di sopravvivere. Proprio da Nova Khakovka e dal suo martoriato ponte sulla diga nasce infatti il grande canale artificiale che dopo 400 chilometri porta acqua dolce e costante alla penisola di Kerk in Crimea. Nel 2021, un anno prima dell’invasione, senza quell’acqua la superficie coltivata in Crimea si era ridotta da 130.000 ettari a soli 12.000. Questa è una buona ragione per tener duro.

ponte di barche gittato dal genio russo nel corso di un’esercitazione (fonte WEB)

In sintesi da fine agosto la costosa e sanguinosa offensiva ucraina nel sud, pur avendo impegnato la maggior parte delle forze operative di Kiev non ha prodotto gran che.

Un effetto a ben guardare l’ha comunque ottenuto, quello cioè di costringere il comando russo a concentrare qui oltre il 70% delle proprie unità. Più nel dettaglio in quest’area ad oggi operano circa 20 o 25 gruppi tattici e altrettanti sono tenuti in riserva per alimentare le unità a contatto ed eventualmente per reagire nel caso le cose si mettessero male. Costringere a sguarnire il settore del Donbas e quello di Kharkiv sembra dunque essere stato l’unico risultato davvero significativo finora raggiunto sul piano tattico.

Più a nord, nel Donbas, nessuno parla più di liberare Severodonetsk e Lysichansk. Almeno non a breve. Da Donetz, su fino a Horlivka e a Lysichansk, il fronte si è più o meno stabilizzato, anche se la linea di contatto è ora molto più vicina alle cittadine ancora controllate dai russi.

Resti di un carro russo bruciato nei pressi di Kromatorsk (foto WEB)

Qualche buon progresso è stato fatto dalle parti di Lysychansk dove le forze ucraine hanno liberato Bilohorivka, dieci chilometri in linea d’aria dalla città gemella di Severodonetz. Si tratta però di una conquista di scarso valore tattico visto che l’autostrada T13-40 che collega quest’ultima con il sud del Donbas, così come la ferrovia per Popasna e Donetz sono ancora saldamente in mano russa sebbene battute dall’artiglieria ucraina e sotto il costante pericolo di sabotaggi e imboscate da parte della resistenza.

Strade, autostrade e ferrovie sono infatti tra i principali obiettivi tattico-operativi dei due contendenti. In un territorio pianeggiante, in larga parte coperto da campi pronti a trasformarsi in pantani intransitabili, punteggiati da foreste e paludi, attraversato da fiumi che a tratti sembrano mari, il possesso e il controllo delle strade asfaltate, dei ponti e delle ferrovie è vitale.

un tratto della autostrada ucraina M 03 (foto WEB)

Siamo dunque in quello che già dal 2014 era stato definito il cuore della posizione difensiva ucraina: il confine orientale tra il Donbas e le regioni (oblast) di Dnipripetovsk e Zaporizhzha, soprattutto nel tratto a nord di Sloviansk fino a Izium e da Kramatorsk a sud verso Horlivka. Qui la linea di contatto corre a una decina di chilometri parallela al tracciato dell’autostrada M03 fino a sfiorare Lyman, cittadina e importante scalo ferroviario che prima dell’offensiva si trovava quasi nelle retrovie. E’ proprio di fronte a Lyman che gli ucraini hanno avuto un buon successo riuscendo a superare il fiume Seversky Donetz poco ad est di Raihorodoc dove i russi non sono riusciti o non hanno voluto far saltare i ponti sul fiume. Si tratta di un viadotto stradale sulla statale T05-14, di un ponte ferroviario della linea Lyman-Sloviansk e di un attraversamento sopra una diga.

la linea del fronte nei pressi di Lyman (foto WEB)

Lyman è dunque ancora in mano ai russi e sarebbe per loro una buona notizia considerando il grosso scalo ferroviario dal quale si possono raggiungere Izium, Balklya e infine Kharkiv, ma queste sono ormai città in mano ucraina. A che serve dunque tenere Lyman? Verso nord davvero a poco, ma verso sud la ferrovia corre ancora in territorio controllato dai russi e in tempi di crisi logistica è una buona notizia. Si tratta infatti della possibilità di organizzare convogli ferroviari che possono ancora raggiungere il Donbas settentrionale, distante appena un centinaio di chilometri. Se invece Mosca perdesse anche questo snodo le possibilità di garantire un minimo di approvvigionamenti al sud decadrebbero drammaticamente, visto che l’altra linea ferroviaria corre circa 40 chilometri più ad est.

In quella direzione si è infatti indirizzata la seconda spinta delle forze ucraine in questo sotto-settore che ha puntato diretto verso Pryvillia e Novodruzhesk, villaggi a soli sei o sette km dall’autostrada P66 per Severodonetzk e la sua ferrovia. Per ora qui gli ucraini si sono sistemati a Bilohorivka, contendendo ai russi la grande ansa che il Seversky Donetz fa poco più a est.

Soldati ucraini nei pressi di Kupiansk (foto WEB)

A nord, il settore di Kharkiv rappresenta il maggior successo per i soldati di Kiev dall’inizio dell’operazione militare speciale. Si tratta indiscutibilmente di una bella vittoria sia sotto il profilo morale, sia per il consistente spazio liberato e sia, non ultimo, per aver gravemente danneggiato le linee di rifornimento russe che dalla Russia alimentavano tutto il Donbas.

La ferrovia e la grande autostrada M03 per Mosca ora non esistono più. Inutile quindi ostinarsi a difendere un terreno che persi gli incroci e gli scali non ha più alcun valore tattico-logistico. Meglio è stato per l’esercito di Mosca ripiegare oltre il fiume Oskyl che da nord a sud attraversa tutto il settore.

Quella dell’Oskyl è infatti una posizione molto più forte e difendibile di quelle abbandonate pochi giorni orsono. Per di più la nuova linea consente una significativa riduzione della lunghezza del fronte con il conseguente vantaggio di dare un po’ più di densità alle poche forze che il comando russo ha lasciato a presidio di questo settore.

Per correttezza e per correggere l’immagine diffusa in occidente di una fuga precipitosa è doveroso ricordare come la piccola guarnigione a presidio di Balaklya, località che sembra essere stata investita per prima dall’incursione ucraina, ha resistito per due giorni prima di ritirarsi, a piedi, protetta dagli elicotteri d’attacco. Questo, come molti altri presidi, erano composti non da iper addestrati spetznaz e neppure da truci mercenari del Gruppo Wagner ma da miliziani del Donbas e dai soldati della Rosgvardiya, la Guardia Nazionale Russa, in cui sono confluiti un po’ tutti i corpi con qualche addestramento militare della Federazione .

Il rapido abbandono della posizioni a sud e attorno a Kharkiv e l’altrettanto veloce arretramento del fronte dietro il fiume Oskyl, oltre a testimoniare della ottima tattica di combattimento messa in atto dagli ucraini sulla quale torneremo tra poco, ha reso altresì evidente come le forze russe assegnate al settore, in tutto una quindicina di gruppi tattici, fossero di gran lunga inadeguati al compito.

Posto di fronte alla scelta se tenere il terreno e sacrificare uomini o consentire agli ucraini di espandersi preservando il capitale umano sembra che il comando russo non abbia avuto esitazioni. Preserviamo gli uomini e sul perché torneremo più avanti. Per ora concentriamoci invece sulla tattica messa in campo dagli ucraini.

Per avere un’immagine quanto più possibile vicina ai fatti si possono riesumare Guderian e la campagna di Francia del 1940. Vale a dire una rapida e decisa puntata corazzata, concentrata in un settore molto limitato e disposta a proseguire quanto più avanti possibile.

Carro T90 russo (foto WEB)

A differenza di quanto si era tentato e si continuava a tentare a sud, il comando ucraino ha infatti preferito costituire una piccola forza completamente meccanizzata e corazzata, lanciata su una sola via di penetrazione e sostenuta da un fuoco di artiglieria estremamente preciso e concentrato su obiettivi selezionati.

Invece di una spallata di fanteria si è dunque pensato a un pugnale corazzato da far penetrare nel cuore della difesa russa; cuore peraltro già molto indebolito.

Voci sempre più insistenti e diversificate indicano infine che tra queste truppe non fossero pochi i volontari polacchi e statunitensi, gente addestrata alla guerra corazzata e spesso dotata di esperienza pratica, magari maturata nel Golfo o in Afghanistan. Va ricordato infatti che già dall’inizio del conflitto la Polonia ha consentito all’arruolamento di suoi militari nell’esercito ucraino, concedendo loro una sorta di “congedo temporaneo”.

In analogia con il Gruppo Wagner anche Washington dal canto suo ha reclutato non pochi veterani da inviare in teatro in forma volontaria e inseriti in compagnie di sicurezza private. Si tratta non solo e non sempre di istruttori o addetti alla logistica di aderenza, ma spesso anche di uomini da prima linea. Analogo discorso può essere fatto per i britannici anch’essi tutt’altro che rari tra le trincee e sui carri in Donbas.

Come hanno reagito i russi a questo pugnale che ora per ora penetrava sempre più in profondità? Cercando di lasciare il vuoto, barattando spazio con vite. E’ questo infatti il principale vulnus dell’armata russa in ucraina: la mancanza di uomini.

L’operazione militare speciale non è infatti solo un trucco di cosmesi lessicale per nascondere la guerra, ma è l’unico modo per tenere l’esercito russo – quello vero – fuori dal conflitto. Finché il Cremlino non dichiarerà la mobilitazione generale e quindi la guerra all’Ucraina, non sarà possibile per Putin attingere alle centinaia di migliaia di soldati, quasi tutti di leva, che compongono oggi l’esercito russo di stanza in patria.

Nessuno, neppure Putin può infatti obbligare un giovane coscritto moscovita a combattere sul Dnepr a meno che la Russia non dichiari ufficialmente guerra. Per un’operazione militare speciale si può infatto attingere solo alla parte professionale dell’esercito che riguarda poco più di un terzo della forza terrestre di Mosca.

Ai reparti regolari russi si sono dovute affiancare le milizie separatiste di Donetsk e di Lugansk, i ceceni di Kadirov, i mercenari del Gruppo Wagner, un pugno di volontari stranieri e qualche centinaio di soldatini di leva a cui comunque ritrovarsi in Donbas non spaventa. Alla fine si è arrivati a meno di 200.000 uomini. Pochi per una campagna che dura da oltre sei mesi.

Quel che è accaduto a Kharkiv e dintorni è dunque il risultato di errori e di problemi irrisolti in seno all’esercito russo. Guai che possono essere sintetizzati in primis nella eterogeneità dell’armata e nella mancanza di un vero comando unificato dell’operazione. Secondariamente in un’organizzazione e in strumenti logistici non adeguati a un teatro così vasto e a una durata tanto lunga. Non vanno poi dimenticati la mancanza di un adeguato numero di rimpiazzi cui si aggiunge lo scarso addestramento al combattimento delle reclute per concludere con qualche inevitabile errore tattico che dei fattori elencati finora rappresenta l’unico a cui ci si deve rassegnare.

Sul primo fattore, l’eterogeneità dell’armata, è bene soffermarsi.

Negli ultimi tre o quattro mesi è apparsa con sempre maggior evidenza la mancanza o per lo meno la debolezza dell’azione di comando, controllo e soprattutto coordinamento sull’operazione. Al di là delle capacità dei generali e dei loro stati maggiori e al netto delle interferenze del Cremlino sulla pianificazione e sulla condotta, è innegabile come l’armata russa di Ucraina si presenti non come un solo compatto meccanismo ma piuttosto un’antologia di eserciti diversi, ciascuno con un proprio comandante e proprie ambizioni, alcuni pesantemente armati, ben pagati e motivati, altri che, al contrario, non hanno neppure di che sopravvivere.

Le diverse formazioni che compongono l’armata, siano essi i contractors di Wagner, i miliziani, i Ceceni o le truppe regolari non si fidano molto l’uno dell’altro e hanno la tendenza dura a morire di operare a compartimenti stagni mandando avanti il fesso di turno.

Procedure tattiche, disciplina, comportamenti nei confronti di civili e prigionieri variano quindi e molto a seconda di chi ci si trova di fronte e su questo il vertice militare non sempre è in grado di esercitare un adeguato controllo.

miliziani del Lugansk posano per una foto ricordo (foto WEB)

Ad esempio c’è una forte differenza tra i battaglioni e i reggimenti della autoproclamata “repubblica di Lugansk” e quelli della gemella repubblica di Donetsk. I primi sono formati in larga parte da profughi interni provenienti dai territori occupati; gente poco motivata, male armata e peggio equipaggiata che si trova spesso a combattere da tutt’altra parte rispetto ai territori d’origine. I secondi dimostrano uno spirito combattivo e un coordinamento nell’agire di tutt’altro livello. Come mai? Difficile a dirsi ma la differenza in campo si sente. Accanto a questa armata abbastanza scalcinata si trovano i reparti di “wagneriani”, gli oltre 5000 contractors che dipendono dalla “Gruppo Wagner s.r.l.”.

contractors del Gruppo Wagner (foto WEB)

Si tratta di ex-militari, in gran parte provenienti dai corpi speciali che hanno già combattuto in Siria contro l’ISIS o magari in Repubblica Centroafricana o in Libia. Insomma gente con il pelo sullo stomaco che prende ordini solo dal proprio manager-presidente Evgenij Viktorovič Prigožin che li paga profumatamente e da nessun altro.

Difficile quindi per il comando russo inserire questa gente in un piano di battaglia coordinato con esercito regolare, milizie popolari e magari i barbuti ceceni di Kadirov. Compiti diversi, rischi diversi, armi e materiali diverse e non ultime paghe diverse non contribuiscono certo a fare dell’esercito di Mosca in Ucraina una sola schiera.

E dall’altra parte? Qual è la situazione tra i militari di Kiev e quali le differenze con i soldati dell’altra parte?

Ce n’è una che salta immediatamente all’occhio: gli ucraini, a differenza dei russi, combattono per la libertà e l’integrità del loro paese, cioè per casa loro. Il fatto non è da sottovalutare.

forze speciali italiane (foto WEB)

E’ pur vero che le provenienze regionali fanno la differenza anche tra l’esercito di Kiev per il quale un reggimento galiziano che parla solo ucraino o polacco è molto diverso da uno delle pianure del Donbas. Inoltre Kiev, decretando la mobilitazione generale all’indomani dell’invasione, ha messo il suo esercito al riparo dalla mancanza di personale.

I giovani ucraini in età di leva e i riservisti sono infatti tutti mobilitati per le esigenze dell’esercito. Tutti? Magari proprio tutti no. Come al solito chi poteva vantare qualche aderenza o aveva un buon conto in banca ha fatto in tempo a trovare il modo di espatriare in Polonia, Germania o nei Paesi baltici. E non dovevano essere pochi visto che Kiev già da mesi ha chiesto alla Polonia di fornirgli l’elenco dei giovani in età di leva rifugiatisi oltre confine e eventualmente di rimandarli a casa a difendere la patria. Le reclute quindi non mancano. Il problema è dar loro un grado di addestramento e di coesione sufficienti a poter essere impiegati poi in combattimento.

A parte i campi di addestramento nella Ucraina occidentale e al confine con la Polonia c’è da ricordare come Stati Uniti, Canada, Danimarca, Polonia e persino l’Italia  si sono dette disponibili ad addestrare centinaia se non migliaia di reclute alle moderne tecniche di combattimento e all’utilizzo di armi ed equipaggiamenti fino a qualche mese fa del tutto sconosciuti. Il Regno Unito di Boris Johnson si è addirittura preso l’impegno di sfornare ogni tre mesi 10.000 nuovi combattenti. Obiettivo molto ambizioso ma che i britannici perseguono con tenacia in quattro basi all’uopo dedicate in Gran Bretagna.

centro di addestramento al combattimento negli abitati in Gran Bretagna (fonte WEB)

Esiste poi un aspetto economico che non va certo dimenticato. La massa della povera gente che non ha avuto la possibilità di fuggire o che ha scelto di rimanere a combattere sta trovando nel mestiere delle armi un modo di sopravvivere. Almeno finché un colpo di artiglieria non li uccide.

Certo l’aspetto morale conta molto, il richiamo alla difesa della patria forse anche di più ma a fronte di un salario medio da operaio di circa 14.000 grivnia (meno di 400 euro/mese) riceverne 30.000 (800 euro) per fare il soldato di certo non dispiace. E meglio va a un giovane diplomato o laureato che arruolato come sottotenente o sergente maggiore si vede corrispondere una paga di oltre 2.000 euro. Un capitale a Kiev dove mezzo chilo di pane costa 50 centesimi di euro. Bastano i soldi per farsi ammazzare? Di certo no, ma sapere di contribuire a far star meglio la propria famiglia aiuta. Ci sono infine le nuove armi occidentali che ormai arrivano con una certa regolarità e soprattutto i soldi del patto anti-Putin a velocizzare e lubrificare la macchina operativa e logistica di Kiev. D’altra parte lo sanno tutti che c’est l’argent qui fait la guerre  Sulle perdite di entrambe le parti invece non si hanno notizie anche perché le stragi dall’una e dall’altra parte entrano da protagoniste nella continua guerra di propaganda, per cui si gioca a chi la spara più grossa. Tuttavia, se si prendono per buoni i dati dell’ONU e quelli indirettamente forniti dal governo ucraino si sono già abbondantemente superati i 50.000 caduti e si parla dei soli soldati regolari. Dei civili e dei volontari invece sembra essersi perso il conto. Dal lato russo si sa ancora meno.

Veicolo trasporto fanteria BMP 3 russo in operazione in Ucraina (fonte WEB)

Nel frattempo la guerra va comunque avanti macinando molte più vite di quante se ne riescano a rimpiazzare o ad addestrare.

In conclusione quali auspici si possono trarre dalla vittoriosa offensiva ucraina al nord? Di certo che l’esercito russo, con tutti i suoi guai e i suoi limiti, è ancora lontano dall’essere distrutto e di converso quello ucraino non è certo rassegnato a perdere. In particolare la vittoria della armi di Kiev a nord sembra aver convinto Mosca a passare ad una fase successiva dei combattimenti. Non si tratta più di colpire solo o preferibilmente gli obiettivi militari, ma di allargare la distruzione anche a quelle infrastrutture civili ritenute vitali per la resistenza ucraina. Centrali elettriche, cabine di derivazione, stazioni ferroviarie, ponti e dighe sono ora divenute bersagli per i missili e i cacciabombardieri con la Stella Rossa. Qualcuno ha iniziato a ventilare addirittura l’impiego selettivo e limitato di ordigni nucleari tattici, ma siamo ancora a livello di propaganda catastrofista. Si sta accelerando anche sui referendum per l’annessione alla Russia dei territori occupati. Su due piedi viene da chiedersi come mai in mezzo a mille difficoltà si organizzano referendum. A pensarci bene e con un pizzico di malizia si potrebbe immaginare che una volta che Donbas, Zaporizhzhia e Kherson diventano territorio della Madre Russia risulterà più facile spedirci sopra l’esercito che attende dietro la frontiera.

E l’Ucraina nel frattempo che fa? Da molte parti si ipotizza una nuova, limitata offensiva condotta da Zaporizhzhia verso sud. Il sogno sarebbe quello di raggiungere e liberare Mariupol di cui ancora si ricordano i giorni dell’assedio alla AZOVSTAL. Da quelle parti però i russi sono numerosi, ben sistemati e con la base logistica della Crimea a due passi. Dunque l’impresa si presenta dura già in partenza, ma mai dire mai. Si potrebbe anche assistere da qualche parte all’azione di un nuovo pugnale corazzato, ma ora che i russi si sono ritirati oltre il fiume Oskil e hanno rinforzato le difese ritentare la carta vincente a Kharkiv è sempre più difficile.

Con ogni probabilità la guerra quindi continuerà ancora, almeno fino alle piogge di autunno alle cui malinconie Verlaine aveva dedicato i versi “Il lungo singhiozzo dei violini d’autunno ferisce il mio cuore con monotono languore”. Erano i versi che davano il via libera allo sbarco in Normandia, ma questa è davvero solo una coincidenza.

(per la stesura di questo articolo non posso non citare ringraziandolo di cuore MAX BONELLI, autore del prezionso volume ANTIMAIDAN che troverete anche qui tra i suggerimenti di lettura. Più di un’ora di confronto con Max mi hanno aperto a nuovi sguardi su questa complessa realtà che sto tentanto di raccontarvi con il massimo della onestà di cui sono capace. Max Bonelli infatti, oltre ad avere una solida preparazione militare ha anche conoscenza diretta e pregressa dei luoghi e della gente che abbiamo imparato a conoscere da Febbraio. Grazie ancora Max)