E’ ARRIVATO UN BASTIMENTO CARICO DI…

Mentre sul fronte la situazione sembra essersi fossilizzata, nelle retrovie e nelle fabbriche si gioca la partita del prossimo futuro.

Cosa accade quando il piano fallisce; quando le prospettive e le ipotesi della vigilia vengono sbriciolate dall’impatto con la realtà? Il dilemma in fondo è semplice: o si abbandona l’impresa o si va avanti. Entrambe le scelte aprono a orizzonti inesplorati e a conseguenze imprevedibili. Eravamo alla fine di febbraio dell’anno scorso quando Putin aveva dato il via libera a quella che con qualche ragione era stata definita “operazione militare speciale”.  L’intervento armato che in due settimane avrebbe dovuto condurre al collasso delle strutture governative ucraine, alla sostituzione della sua classe dirigente e al festoso rientro di Kiev tra le braccia della Grande Russia non poteva infatti definirsi una vera e propria guerra.

Come spesso accade le cose sono poi andate diversamente e da dieci mesi tra Federazione russa e Ucraina si combatte una guerra vera, con migliaia di morti, distruzioni imponenti di infrastrutture, crisi economiche mondiali e il coinvolgimento per ora quasi indiretto della principale potenza militare del pianeta. Lo stesso Putin, che si era affrettato a varare una legge per punire chi avesse scambiato la sua operazione per una guerra, oggi si lascia sfuggire in pubblico che di questo appunto si tratta. Cosa succede allora quando il piano iniziale va a farsi benedire ma si va avanti malgrado tutto? Si brancola nella nebbia dell’imprevisto, urtando una volta contro lo spigolo di una logistica impreparata, un’altra contro quello di soldati insufficienti, inciampando su comandi non coordinati, disomogenei e troppo sensibili agli umori dell’inquilino del Cremlino. Nel frattempo però il tempo passa e la nebbia si alza dando modo di intravedere il panorama con maggiore chiarezza.

il Presidente Vladymir Putin e, alle spalle, il ministro della difesa della Federazione Russa Sergej Shoigu (fonte WEB)

Nei dieci mesi passati l’Ucraina ha capito che una volta assorbito l’urto iniziale avrebbe dovuto far tesoro della confusione che agitava il campo russo e dei preziosi aiuti che ne frattempo l’Occidente, vale a dire gli Stati Uniti, stava profondendo senza risparmio. A Kiev si chiedeva solo di avere il coraggio di combattere senza paura il gigante che sempre più sembrava poggiare su piedi d’argilla. E i giovani soldati ucraini l’hanno fatto con un entusiasmo e una capacità combattiva che in pochi sospettavano solo l’inverno scorso. Tuttavia anche per Kiev l’impatto con la realtà di un nemico caparbio, disposto a grandi sacrifici pur di non mollare la presa ha iniziato a intaccato il sogno di vittoria che giorno dopo giorno assume gli evanescenti contorni di un miraggio o peggio di uno slogan. E’ infatti vero che a fine estate l’intera regione di Kharkiv è stata liberata e che i russi sono stati costretti a lasciare Kherson, il cosiddetto “balcone su Odessa”, ma è altrettanto innegabile che gran parte del Donbas è ancora in mano russa, così come il corridoio di terra che lo congiunge alla Crimea passando per Mariupol, Melitopol e Berdiansk.

soldati ucraini sulla linea del fronte (foto WEB)

L’autunno ha quindi presentato a entrambi i contendenti lo stesso scenario, quello di una guerra su vasta scala, dagli enormi consumi di uomini, mezzi e materiali che al momento si è arenata su una linea del fronte lunga poco più di 500 km che riporta alla mente le Fiandre del 1915. Come un secolo fa si pensa e spera che prima o poi verrà scatenata l’offensiva che permetterà di capire chi vince e chi perde, ma per ora si è di fronte a quella che von Falkenhayn nel 1916 aveva definito la “materialschlacht”; una battaglia di materiali.

I numeri della guerra sono infatti impressionanti, almeno se vengono letti alla luce di quell’illusione che per tre decenni ha cullato i sogni dei governi e degli stati maggiori del mondo occidentale e che andava sotto il nome di “missioni per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. Sulle pianure e nelle balke di Ucraina per dichiarare “mission accomplished” non bastano più qualche migliaio di blindati leggeri, un centinaio  di elicotteri multiruolo, qualche mortaio per autodifesa e un manipolo di forze speciali per i lavori sporchi. Qui ogni mese si macinano decine di migliaia di granate di artiglieria, centinaia di carri armati, tonnellate e tonnellate di carburante, montagne di pezzi di ricambio, centinaia di missili e di droni lasciando volutamente per ultimo il computo delle vittime che ormai hanno superato le decine di migliaia. Almeno nei numeri quella russo-ucraina non è un’operazione speciale; è la guerra che per ora si è allontanata dalle mappe dei tattici per appoggiarsi ai calcoli della logistica. Per ora non sembra che sarà un redivivo Napoleone a risolvere la faccenda quanto invece la capacità di una delle due parti di sopraffare l’altra in termini di armi, materiali e uomini. Iniziamo dunque da questi ultimi.

soldati ucraini (foto WEB)

Vi ricordate quando a settembre Putin aveva proclamato la mobilitazione parziale? In occidente l’iniziativa era stata presentata come una mossa disperata per mettere una pezza a colori su una campagna fino a quel momento fallimentare. Le immagini di centinaia di renitenti in fuga, di giovanotti catturati appena fuori dai bar come quelle dei coscritti ubriachi sui camion che li stavano conducendo al fronte avevano fatto il giro del mondo, almeno del nostro, dando l’illusione di una mossa del tutto inutile. Dopo qualche mese bisogna invece riconoscere che il provvedimento qualche effetto l’ha prodotto. In primo luogo ha consentito all’esercito di Mosca di contenere la controffensiva ucraina un Donbas e in secondo luogo ha dato il tempo di addestrare migliaia di nuovi soldati per la spedizione putiniana. Quanti? Da una stima generica si parla di circa 300.000 uomini che potrebbero affiancarsi a quanti da mesi si trovano al fronte, in pratica raddoppiando gli effettivi di Mosca.

Carro armato russo T90M (foto WEB)

E l’Ucraina come ha reagito? Stando alle parole di Valerij Fedorovyč Zalužnyj, il 49enne generale a capo della difesa ucraina, si potrebbe dire con maggiore realismo di quanto abbiano fatto molte cancellerie occidentali. Zalužnyj ha infatti esortato a non prendere sottogamba gli effetti prodotti nel medio e lungo termine dalla mobilitazione russa auspicando a breve un analogo provvedimento da parte di Kiev. Se infatti questa prima parte del conflitto ha visto l’Ucraina prevalere nel rapporto uomo-contro-uomo con Mosca, l’immissione di questa nuova imponente massa di personale porterebbe ad un suo rapido ribaltamento dei valori che passerebbero dall’1 a 1 attuale ad un possibile 3 a 1 per Mosca. In altri termini, per riequilibrare la bilancia, a Kiev serviranno presto nuove reclute addestrate ed equipaggiate da spedire in prima linea. Viene poi da chiedersi come un’eventuale nuova chiamata alle armi potrebbe essere presa da quei giovani ucraini che finora l’hanno scampata.

Caccia bombardiere russo SU 57 – negli ultimi due mesi ai reparti di volo ne sono stati consegnati circa 20 (foto WEB)

Soprattutto da quanti – e sono decine di migliaia – che per svariati motivi hanno trovato rifugio all’estero. Infine Si presenta infine un ulteriore aspetto che non può essere trascurato. Infine l’Occidente sarà ancora disposto ad accollarsi l’onere dell’ulteriore potenziamento dell’armata ucraina? A questo riguardo Mosca scommette che prima o poi ci stancheremo di aiutare Kiev e spingeremo il governo ucraino ad accettare una trattativa con l’aggressore, fatto che avrebbe il sapore di una resa. Per il momento in questa partita a poker con Mosca, Biden e la sua amministrazione continuano a rilanciare anche se a fatica. La guerra in Ucraina infatti costa a Washington miliardi di dollari e ne sta intaccando a fondo le scorte di materiali, armi e munizioni e anche se Biden ha dato prova di sostenere Zelensky senza “se” e senza “ma”, qualche voce in dissenso inizia a farsi sentire. Tra tutte quella di Mark Milley, capo di stato maggiore generale delle forze armate USA, che già nel novembre scorso invitata Kiev ad avviare trattative di pace ora che si trovava in posizione di relativo vantaggio, sottintendendo che questo momento felice non sarebbe durato per sempre. Finora l’invito è caduto inascoltato anche se ormai appare sempre più evidente che qualcosa è cambiato nell’economia della guerra e non si tratta di cose di poco conto. Se infatti è vero che Mosca ha finora dovuto incassare pesanti sconfitte e ingenti perdite è altrettanto vero che non è giunta al punto di rottura. Nel frattempo è invece riuscita in gran parte ad adeguare il proprio apparato industriale ai ritmi della guerra. Oggi dagli arsenali e dalle fabbriche russe escono migliaia di proiettili di artiglieria ogni giorno (si stima quasi 5 milioni di granate in un anno) e nuovi veicoli da combattimento stanno man mano prendendo il posto della vecchia ferraglia post guerra fredda che si era vista all’inizio.

Carro tedesco Leopard 2 (foto WEB)

I moderni carri T 90 M non sono più una fugace apparizione e convogli con decine e decine di questi carri giungono ogni giorno alle retrovie del fronte, lo stesso per altri materiali d’armamento. Anche l’impiego dei missili balistici non sembra risentire dell’embargo occidentale imposto dall’inizio della guerra, per non parlare dei droni acquistati in Iran per qualche migliaio di dollari l’uno. Il divario è anche maggiore se si guarda all’aeronautica dove Mosca dispone di velivoli che per numero e avionica surclassano la malandata aeronautica di Kiev. Ecco cosa serve oggi a Kiev: carri armati moderni, aerei da combattimento e munizionamento d’artiglieria, peccato che tutti o quasi i governi occidentali sembrano finora restii ad equipaggiare Zelensky con il meglio del loro arsenale. Nei mesi scorsi per equipaggiare le unità corazzate ucraine si è provveduto a rastrellare ogni T64, T80 e T72 ancora disponibile nelle caserme polacche, ungheresi, slovacche e addirittura cipriote.

Carro T84 OPLOT ucraino (foto WEB)

A questi si sono aggiunti quelli catturati o abbandonati in gran numero a Kharkiv, Kherson e in altre zone del fronte, ma ormai quel pozzo si sta prosciugando, come in via di esaurimento sono le scorte di parti di ricambio e i materiali per le manutenzioni. Certo, nei mesi scorsi l’Occidente ha fornito anche materiali di pregio come il sistema missilistico HIMARS o gli obici leggeri M777 o ultimo il sistema antimissile PATRIOT, ma il resto è rappresentato ancora da blindati, qualche pezzo controaereo o vecchi arnesi anni ottanta e novanta non in grado di reggere il confronto con una nuova generazione di armi russe. In questo clima non si può certo chiedere all’industria ucraina di colmare il divario, anche se qualche T84 OPLOT esce ancora dalle fabbriche malgrado la fornitura a singhiozzo di elettricità, ma è impensabile che senza un intervento deciso degli americani e di noi europei la situazione possa risolversi. Per ora il primo a pronunciarsi è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha chiarito di non aver alcuna intensione di rifornire di moderni Leopard 2 l’arsenale di Kiev. Biden per ora non si è pronunciato ma si sa di forti resistenze nel concedere robuste forniture di carri M1A2Abrams o di M60A3. Sarebbero invece disponibili a concedere veicoli da combattimento per la fanteria IFV M2 Bradley, ma non è quello che serve davvero.

C’è infine da riflettere su quale incubo organizzativo possa essere il mantenere, riparare e tenere in efficienza mezzi così tanto diversi con catene logistiche tra loro incompatibili. Ad oggi la maggior parte delle riparazioni e delle manutenzioni più importanti devono essere svolte fuori dall’Ucraina con ovvie conseguenze sulla capacità operativa dei reparti. Tutto ciò vuol dire che l’Ucraina è destinata a perdere la guerra? Certamente no, ma è innegabile considerare come si sia giunti ad un momento importante della campagna dove il solo coraggio e il solo morale potrebbe non bastare più. Occorre che USA e altri Paesi riflettano e decidano alla svelta se e quanto rilanciare. Per ora a noi non resta che seguire gli eventi e attendere.

Un pensiero riguardo “E’ ARRIVATO UN BASTIMENTO CARICO DI…

  1. Analisi lucidissima alla quale ben poco c’è da aggiungere sotto il profilo militare e logistico, sostegno peraltro affidato agli US e ai Paesi europei sempre meno convinti di svuotare i propri arsenali appunto “nel tempo dell’ormai”. Non resta che attendere gli eventi anche se la logica potrebbe dare una risposta.

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