In attesa dell’annunciata offensiva proviamo a riflettere su cosa potrebbe accadere, dove e…quando.

“Nessun piano sopravvive all’impatto con il nemico”, ammoniva von Moltke il Vecchio che di piani se ne intendeva visto che era stato padre dell’effcientissimo stato maggiore prussiano; figurarsi poi quando del piano non si sa nulla e anche sul nemico le notizie sono incerte, sospese come sono tra realtà e propaganda. E ‘il caso dell’attesa offensiva ucraina che, almeno nelle intenzioni di Kiev, dovrebbe dare una spallata durissima se non addirittura definitiva all’operazione militare speciale di Putin che dopo quattordici mesi di “speciale” ha solo il numero delle vittime e il non aver conseguito neppure uno degli obiettivi strombazzati all’inizio. In assenza di azioni sul terreno, di fughe di notizie o di altri clamorosi colpi di scena non resta che affidarci alla logica e all’esperienza per tentare di intuire che cosa avverrà – forse – nei prossimi giorni. Attenzione però, logica ed esperienza sono le due qualità che rendono un piano prevedibile; qualche esempio? Che ne pensate del D-Day. Nel giugno del 1944 l’intero esercito tedesco attendeva gli alleati tra Capo Gris Nez e Calais, lungo il canale della Manica e perché? Perché era il posto migliore e più logico. Inutile ricordare le spiagge normanne di Omaha, Utah o Sword, 500 km più a sud. E qualcuno forse si aspettava di vedere Annibale discendere con gli elefanti dal piccolo San Bernardo? Anche questa volta, c’è da scommettere, succederà la stessa cosa, ma nell’attesa possiamo divertirci a immaginare il piano perfetto.

Iniziamo come al solito con il terreno. Un immensa pianura con pochissimi rilievi, acquitrini, boschi, fiumi e fango. Tanto fango da meritare un nome proprio:“rasputitza”. Due volte l’anno la “rasputitza” paralizza ogni sentiero, ogni viottolo e ogni strada che attraversa la steppa. Solo le grandi autostrade e le statali asfaltate rimangono più o meno all’asciutto, ma sono rotte tracciate su un mare di fango, note a tutti, facilmente sorvegliabili e facili vittime dell’artiglieria o dall’aeronautica. Metterci sopra decine e decine di carri armati, i veicoli trasporto per la fanteria, i semoventi di artiglieria o gli autocarri della logistica necessari alla grande offensiva è per lo meno imprudente. E’ pur vero che anche sulle Ardenne, nel dicembre 1944, con un clima infernale e attraverso un terreno impossibile, nessuno tra gli Alleati spensieratamente diretti al Reno si sarebbe aspettato di essere tramortito da oltre 1500 carri armati tedeschi lanciati in offensiva. Aspettare l’inizio dell’estate e la fine della “rasputitza” rimane quindi solo l’opzione più logica; non necessariamente migliore.

Per il QUANDO si parte dalle date simboliche. La prima è il 9 maggio, anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista nella grande guerra patriottica. Purtroppo sia il 18 marzo, data in cui i russi si sono annessi la Crimea, sia il 24 febbraio, ricorrenza dell’infausta invasione del Paese, sono passati e il 7 ottobre, compleanno di Putin, è troppo lontano. Meglio dunque lasciar perdere le date simboliche e considerare il prossimo 9 maggio rimane un giorno come un altro.
Quindi la risposta a quando l’offensiva potrebbe partire la logica vorrebbe che si rispondesse in un periodo compreso tra il 15 maggio e il 15 agosto. Ma potrebbe anche scatenarsi domani.

La seconda domanda riguarda il DOVE. Su un fronte immobile di oltre 800 km non è facile trovare un tratto di 10 o 20 km dove il terreno sia quello giusto e dove, contemporaneamente, il nemico sia stato così babbeo da lasciare poche truppe, magari male armate, non coordinate, poco motivate e senza grossi supporti. E non basta. Questo tratto, una volta individuato e forzato, dovrebbe condurre a un obiettivo di rilevanza decisiva. Potrebbe essere una città, uno ganglio vitale per la logistica oppure il posto dove si sono concentrate le sue migliori unità o qualunque altro obiettivo in grado di sconvolgere l’intero assetto del fronte. E non basta ancora. Si tratta anche di individuare dove nel frattempo il nemico non abbia ancora predisposto delle linee difensive di una qualche rilevanza. Si parla di un sistema di trincee, di ponti demoliti, di campi minati e di tratti allagati.

Tutte predisposizioni che rendono la difesa più forte e in grado di assolvere il proprio compito che non è vincere, ma guadagnare tempo, facendo consumare all’attaccante il massimo delle energie umane e materiali per passare a propria volta all’offensiva. Sempre ad averne la forza.
Di una cosa si può essere certi: dalla foce del Dnepr a Kharkiv i russi hanno perfettamente chiaro che per far fallire l’offensiva è sufficiente “assorbire il colpo”; rallentare la punta di lancia ucraina prima che questa raggiunga un punto vitale.
Quali sono allora questi “punti vitali” russi nei territori occupati? Dipende da cosa si guarda. Ad esempio la rete ferroviaria che collega la Russia alla zona di combattimento. Da lì passa la quasi totalità del flusso logistico che non solo alimenta l’armata di Putin, ma anche sei o sette milioni di civili che nel Donbas, nella regione di Zaporizhzhia o in Crimea ci vivono. Sostituire i treni con i camion non è pensabile, vuoi per la scarsità e la poca affidabilità dei vecchi Ural o dei KamAz, vuoi per lo stato generale delle strade, vuoi infine per le distanze da coprire.

La rete ferroviaria può quindi essere un obiettivo per lo meno operativo, soprattutto i suoi punti nodali, gli snodi, i ponti e così via. Qualcuno però potrebbe ricordare che una rete di trasporti, sia essa stradale o ferroviaria è più che altro un facilitatore. Non basta quindi colpire i binari perché sostituirli è questione di poche ore. E’ necessario impossessarsi fisicamente delle stazioni, come ad esempio quella di Backmut dove prima che la Wagner la occupasse arrivava una buona parte dei rifornimenti ai difensori della città. Insomma per bloccare le ferrovie ci vogliono non solo i missili ma anche i soldati che dopo averli conquistati difendano gli snodi principali.
Altro obiettivo significativo è l’acqua, non quella degli acquedotti, ma quella che consente alla Crimea di sopravvivere. Mi riferisco al lungo canale nord Crimea che da Nova Kackovka dirotta un fiume di acqua dolce alla Crimea assetata. Non a caso, nella prima fase dell’invasione russa il controllo del canale era stato l’obiettivo principale delle forze russe provenienti dalla Crimea. Privare la penisola crimeana di gran parte dell’acqua potrebbe inoltre innescare un fuggi-fuggi generale verso la Russia oltre che uno smacco per Mosca e questo senza dover metter un solo piede da quelle parti.

Si potrebbe pensare anche di tagliare in due il cosiddetto “corridoio crimeano”, quella striscia di terreno occupata dai russi che da Mariupol arriva fino all’imbocco della Crimea con un’ampiezza di circa 200 km. Se si volesse perseguire questo disegno si potrebbe seguire l’autostrada M 18 che da Vasylyvka porta a Melitopol oppure passare per Tokmak, percorrendo la statale 30 e puntare su Mariupol.
Perché infine non considerare di sferrare un robusto contrattacco dalle parti di Bakhmut, magari approfittando della confusione che certamente accompagnerà la possibile e assai probabile caduta della città nei prossimi giorni?
Guardando al terreno le opzioni, anche se non illimitate, non sono dunque poche; tutte logiche e ragionevoli e, come si è detto, prevedibili.
Si può invece pensare di non porre il terreno come obiettivo ma l’uomo. Certo non il povero Sacha preso dalla Russia profonda e spedito a combattere il Donbas, ma il sistema-esercito che da tempo Putin tenta di rafforzare e potenziare.

Se da oltre sei mesi i generali russi non possono vantare alcuna vittoria, se a Backmut a spingere sono solo i tagliagole della Wagner; se il girotondo di sostituzioni di comandanti non sembra essersi interrotto, vorrà pur dire qualcosa, anche perché un esercito efficiente, ben armato e ben guidato di solito non scava buche per difendersi, ma cerca di vincere la guerra attaccando. Sotto questa prospettiva è la struttura stessa della forza militare russa a rappresentare una vulnerabilità.
Quando si parla di “esercito-russo” ci si dimentica spesso che in realtà si tratta di quattro entità diverse e spesso contrapposte. La parte del leone la gioca l’esercito vero e proprio, quello erede dell’Armata Rossa di sovietica memoria. Accanto all’Esercito si trova la Vozdušno-Desantnye Vojska meglio nota come VDV che inquadra i ragazzoni dal basco azzurro e dalla maglietta a righe delle truppe aviotrasportate e delle forze speciali.

Nelle retrovie del fronte troviamo la Guardia Nazionale o Rosgvardija, una via di mezzo tra la Guardia Nazionale e la “Celere” alle dirette dipendenze di Putin e infine i mercenari del Gruppo Wagner di Prigozin. I “wagnericoli” non sono però i soli soldati privati che occupano le trincee del Donbas. Accanto a loro troviamo ad esempio quelli dei battaglioni “Urals” reclutati e finanziati dal magnate del rame Igor Altushkin, i gruppi cosacchi di Konstantin Malofeev o anche la Redut di Gennady Timchenko senza dimenticare l’esercito privato di Gazprom. Tanta gente, reclutata tra gli strati più indigenti della popolazione che per 240.000 rubli al mese (circa 3.000 euro) è disposta a giocarsi la pelle in Ucraina.

Esercito, VDV, Rosgvardijia, e paramilitari, o meglio i loro capi, perseguono obiettivi diversi, spesso personali e in contrasto e il livello di coordinamento tra loro è al minimo. Tutto questo non rappresenta certo per l’armata russa in Ucraina un punto di forza; tutt’altro. Non dimentichiamoci però della marina e dell’aeronautica. La prima, dopo l’affondamento del Moskva e qualche altra disavventura se ne sta rintanata nei porti della Crimea attenta a non farsi affondare qualcos’altro da qualche intraprendente drone ucraino. L’aeronautica, pur vantando una schiacciante superiorità di velivoli su quella ucraina, non si spinge oltre il supporto ravvicinato alle unità di terra a ridosso della linea del fronte. Il sistema contraereo ucraino è ancora troppo pericoloso per azzardare qualcos’altro.

E non si tratta solo di questo. Sono infatti note le lacune del sistema addestrativo russo, specialmente per gli incarichi tecnici come meccanici, tecnici elettronici, addetti alla manutenzione dei velivoli, armaioli e così via. Anche la situazione dei comandanti di minori unità – tenenti e capitani – è precaria e la burocrazia che pervade e rallenta ogni attività non fa che rendere il quadro più fosco. Ecco allora che un colpo ben assestato contro una parte selezionata di questo eterogeneo esercito potrebbe indurre tutto il resto a pensare che ormai sia inutile continuare a combattere. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Dopo undici sanguinose e durissime offensive sull’Isonzo bastò infatti un buco di qualche chilometro tra Plezzo e Tolmino per causarci quasi 300.000 prigionieri e portarci ad un passo dalla resa.
In queste ore scopo dello stato maggiore ucraino potrebbe forse essere individuare il ventre molle dell’armata di Mosca; capire quali siano quelle unità che per mille ragioni non sono così entusiaste di dare la vita per la Madre Russia e lì colpire duro.

In tutta questa riflessione non possiamo però prescindere dal considerare anche lo stato dell’attaccante. L’esercito ucraino è pronto per l’offensiva? A sentire il presidente Zelensky e i suoi ministri non vedrebbe l’ora mentre a dar retta ai documenti trafugati da Jack Texeira come pure al generale Mark Milley, capo di Stato maggiore degli Stati Uniti, sarebbe meglio aspettare ancora.
Geolocalizzazioni, filmati Tick-Tock, video Telegram ci hanno convinti di sapere ormai tutto dell’arsenale ucraino, delle sue condizioni e delle sue vulnerabilità. Pochi i carri armati, niente F-16, sistemi controaerei con il contagocce, crisi negli arruolamenti e così via. Eppure Zelensky si dichiara pronto all’offensiva e indica obiettivi ambiziosi; molto ambiziosi. “Certo” – si obbietterà – “che cosa potrebbe dire se non indicare l’inevitabile vittorio finale?”.

Diceva von Bismark, il baffuto cancelliere padre dell’unificazione tedesca che non si mente mai così tanto come prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia. E allora perché non credere che si stia mentendo anche ora – ovviamente a fin di bene – quando si sbandierano sconfortanti dati relativi ai Leopard 2 o a M109 L che non si mettono in moto. Siamo proprio sicuri che in questi mesi, giorno per giorno, notte dopo notte non sia arrivato in Ucraina occidentale molto più materiale di quanto pensiamo? Non sarebbe certo la prima volta. E cosa ci sarebbe di strano se compagnia dopo compagnia, senza dare troppo nell’occhio qualche reggimento non fosse già da oggi a Kherson o a Zaporizhzhia o, perché no, già pronto dalle parti di Kramatorsk o Sloviansk.
Esaurito in parte il computo delle possibili opzioni a noi non resta che attendere e restare sorpresi ricordando della massima di un altro famoso generale, George Patton per il quale “un buon piano messo in pratica subito è decisamente migliore di un piano perfetto che verrà avviato la prossima settimana”.
Una ottima disamina dello scenario generale; prudente e di buon senso.