I MOSTRI INNOCENTI.

Può la tecnologia e la distanza disumanizzare ancor di più la guerra?

“ La vita qui è durissima. Nella trincea il tanfo della morte regna ovunque. I ratti ci danno il tormento mentre i pidocchi ci divorano la pelle. Viviamo nel fango che ci inghiotte, ci serra le gambe. Un vento glaciale ci gela le ossa senza darci tregua. Essere pronti! Pronti in ogni momento. Pronti all’assalto. Pronti a morire. Uccidere! Questa è la parola d’ordine della nostra storia…a presto mia adorata”.

Museo di Piana delle Orme, LT (foto P.Capitini)

Quello che avete appena letto è uno stralcio di una delle migliaia di lettere con le quali durante la prima guerra mondiale gli uomini delle trincee tentavano di raccontare al mondo della pace quale fosse il loro: quello della guerra. Cento anni fa l’Occidente scopriva così l’orrore della guerra industriale, ma lo faceva con i paradigmi culturali del secolo precedente. Negli occhi dei giovani che nell’agosto del ’14 marciavano sorridenti verso la frontiera franco-belga non c’erano il fango, né il filo spinato; i gas asfissianti o l’artiglieria. In quel mese d’euforia vivevano, o forse solo si illudevano, di vivere ancora la pericolosa avventura di una guerra d’estate, colorata e breve; la guerra giusta decisa dalla Patria contro un nemico brutale e sconosciuto. Il risveglio traghettò l’Europa intera in nuovi territori, poveri e incerti, dove uomini sulfurei e affascinanti, anch’essi abortiti dalle trincee, si sarebbero dimostrati capaci di terminare il massacro iniziato vent’anni prima.

Mentre scriveva alla sua Edith, sepolto in qualche buco a Verdun, il soldato Pierre D’Augustin era certamente inconsapevole di quanto quel mondo alieno di sangue e fango l’avrebbe trasformato per sempre in qualcosa d’altro. Cento anni fa era stata proprio la guerra tecnologica, il massacro industriale a partorire la nuova umanità, pronta o forse rassegnata ad accettare la guerra di annientamento. In quel tempo era stata la metallurgia delle nuove leghe iper-resistenti, la chimica degli esplosivi e dei gas, la meccanica dei camion e degli aerei a modernizzare l’atavico bisogno di uccidere. E oggi? Quali sono i riferimenti culturali profondi con i quali proviamo a decodificare le guerre di oggi, compresa quella russo-ucraina di questi giorni.

Museo storico dell’Aeronautica militare – Vigna di Valle, Bracciano (Roma) . (Foto P.Capitini)

Nei vent’anni compresi tra il collasso politico e militare dell’Unione Sovietica, l’anarchia predatoria di Eltisin e la successiva pacificazione imposta da Putin il mondo si era convinto non solo della fine della storia, ma anche della guerra relegata a qualche operazione di polizia contro qualche malintenzionato signore della guerra o qualche stato canaglia. La guerra, quella vera, poteva essere forse derubricata ad incidente. Tutti al tempo credevamo possibile la separazione tra lo spazio della guerra e quello della pace. La dottrina NATO della Air-Land-Battle e dello shock and awe dominavano il primo; la CNN e l’inizio di internet il secondo. Entrambi gli spazi si tenevano ben a distanza come nel 1916 era stato per Edith e Pierre.

Museo di Piana delle Orme – Latina. Camionetta FIAT -SPA AS37 (foto P.Capitini)

Sul campo di battaglia “i magnifici cinque” vale a dire il carro Abrams, il cingolato per fanteria Bradley, il lanciarazzi multiplo, l’elicottero Apache e il cacciabombardiere A 10; dominavano lo spazio della guerra. Tuttavia, pur nell’enorme divario tecnologico e nell’incomparabile potenza distruttiva che li separava dalle armi di cento anni prima, si era comunque mantenuto un legame tenace con quei campi di battaglia. Che fosse una mitragliatrice minimi o una schwarzlose, un biplano Bleriot o un A10 dietro ciascuna di esse c’era comunque un soldato, un uomo che non poteva fare a meno di guardare in faccia il volto insanguinato della battaglia. Stime del dipartimento della difesa americano stimano che una percentuale variabile dal 14 al 16% tra gli ex-combattenti in Afghanistan e in Iraq siano stati colpiti da sindrome post-traumatica, segno di quanto quella visione abbia lasciato solchi profondi nelle loro anime.

Saint Marie Eglise -Normandia (FR) Museo dello sbarco (foto P.Capitini)

Dal febbraio 2022 mentre nei campi di Ucraina si combatte una guerra d’altri tempi, nei cieli di quella terra e nel buio dello spazio extra-atmosferico si muovono nuove armi. Si tratta del primo affacciarsi del nuovo spazio della guerra, quello definito del multidomain; uno spazio che ha definitivamente inghiottito lo spazio della pace, partorendone uno nuovo, quello della competizione permanente. La guerra non sarà più una faccenda militare, ma una condizione costante dei rapporti tra stati e coalizioni di stati. Un combattimento aperto a nuovi campi di battaglia- nuovi domini appunto- sovrapposti o integrati a quelli terrestre, aereo e marittimo. Sono i domini dello spazio extra-atmosferico popolato dai satelliti e quello cybernetico su cui transita la vita economica, politica e di relazione dell’intero pianeta. Su un campo di battaglia così allargato iniziano a comparire nuove categorie di armi e nuove truppe. Tra i primi si stanno definitivamente affermando i velivoli senza pilota, i cosiddetti droni; tra i secondi giovani hacker e le nebulose possibilità offerte dall’intelligenza artificiale. Era il 1984 quando il regista James Cameron immaginava Terminator, un cyborg guidato da un’intelligenza artificiale e ostile a caccia di umani in un allora lontano 2029.

MIRAGE francese sulla base aerea di ABECHE, Ciad (Foto P.Capitini)

Ora, nel 2023, droni armati di missili, pilotati da qualcuno seduto a qualche centinaia o migliaia di chilometri ripropone la stessa caccia. L’idea di una guerra che costi sangue e vite solo al nemico si riaffaccia ancora una volta. Combattere senza dolore, distruggere senza dover provare emozioni. Questo sembra essere la novità rispetto alla guerra di Pierre e della sua fidanzata Edith, dei marines sulla spiaggia di Iwo Jima ma anche dei legionari romani nella selva di Teutoburgo: la separazione del dolore e della emozione dall’atto di combattere.

Nella guerra da remoto che sembrerebbe essere il nuovo scenario l’atto dell’uccidere non è più una questione tra uomini, ma una faccenda tra uomo e qualcuno derubricato a bersaglio o a “target” come si usa dire in un ulteriore tentativo di edulcorazione. Tuttavia, quando si interrompe il legame umano tra soldati che si fronteggiano correndo i medesimi rischi, si interrompe anche uno dei possibili interruttori che da sempre hanno consentito alle guerre di avere una qualche sorta di mitigazione. Parlo dell’orrore, della repulsione a commettere violenze oltre un determinato limite che si intende come accettabile. Parlo di quella sensazione che impedisce di uccidere il soldato che esce dalla sua buca con le mani in alto. Questo sentimento deriva unicamente dall’aver condiviso tra combattenti le stesse sensazioni ed emozioni del proprio nemico, di considerarlo quindi umano e non un semplice bersaglio o uno punteggio da video-game. E’ ancora nella profetica capacità del cinema di intravedere il futuro che troviamo una perfetta sintesi di questo pericolo. In Apocalypse Now sono le parole pronunciate dal colonnello Kurtz davanti a un ammutolito capitano Willard a chiarire perfettamente il significato del condividere lo stesso campo di battaglia: ”..Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi…ma non ha il diritto di giudicarmi”.

La nuova guerra combattuta a distanza, lontano da quell’orrore che consente comunque di sentirsi soldati e non assassini, potrebbe essere la nuova frontiera superata la quale si entrerà in un paese di mostri innocenti.

4 pensieri riguardo “I MOSTRI INNOCENTI.

  1. Grazie per i suoi commenti Generale, le sono molto grato. Le vorrei chiedere però se il legame tra combattenti non si sia già, parzialmente infranto, in maniera più significativa da quando esiste l’aereo. I piloti inglesi, solo per esempio, che bombardavano obiettivi civili (che però erano essenziali per sostenere lo sforzo bellico tedesco) non avevano un legame diretto con l’orrore che provocavano. Il “pilota” di droni che colpiva obiettivi in Afghanistan aveva un rapporto visuale con i suoi target ( da cui molti problemi psicologici). Infine un cenno alla guerra ideologica, ovvero a quella della Germania contro l’Unione Sovietica dove la pietà fu molto presto smarrita, e dove le waffen SS, pur valorose nel combattimento, consideravano i russi come sottouomini e come tali li trattavano, anzi, peggio. Tutto questo sproloquio per dirle che ora si il combattimento si disumanizza, ma credo ci fossero già prima robusti semi per queste malepiante. Mi scusi per la confusione e la pica chiarezza, la saluto e la ringrazio ancora.

  2. Tutto vero, e funzionale ad andare avanti con la mera logica dell’azione e reazione. La morte della politica e della diplomazia, il trionfo della mera tecnica.

  3. Da leggere e meditare.uno scritto profondamente rispettoso dell’umano costretto fare cose… che di umano ne son l’antitesi ma nel contempo per ironia di una sorte piegata alla morte la vita rinasce piu’ forte.

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