Di solito a Roma l’inverno è una convenzione; una parentesi tra un autunno che sa di estate e una primavera da passare al mare. Ma questo è di solito. Martedì scorso, il 9 di gennaio, era invece l’eccezione. In viale delle Milizie, angolo via Carlo Alberto Dalla Chiesa, un venticello gelido soffiava tra i platani dei viali, sollevando mucchi di foglie arrugginite che nessuno si sarebbe mai preso il disturbo di raccogliere. A Prati, uno dei quartieri di Roma, se provi a chiedere della Caserma De Tommaso nessuno te la sa indicare. I più giovani guardano su google e ti rispondono che non la trovano. A me è bastato seguire un paio di anziani con la bustina blu e rossa dell’Associazione Carabinieri per trovarmi all’ingresso carraio di questa che è la sede della scuola allievi carabinieri di Roma.

Mi aveva condotto là l’innata e per fortuna immutata cortesia di un mio collega di corso che quel giorno avrebbe assunto il comando non solo di quella ma anche di tutte le altre scuole dell’Arma. Per chi non è è bene specificare che per un militare l’assunzione di un comando è un momento che si ricorderà per tutta la vita. Niente a che vedere con il sedersi in un nuovo ufficio o avere una scrivania più grande. Quelle cose verranno dopo. Noi per prima cosa al nuovo comandante non presentiamo né carte, né documenti, né calendari di impegni e tanto meno obiettivi. Per prima cosa presentiamo gli uomini. Ci teniamo infatti che per prima cosa ci si guardi in faccia. Noi guardiamo il nuovo comandante ed egli guarda noi. In quel momento è come se ci dicessimo reciprocamente “Ci siamo capiti”. Il resto, la routine, arriverà dopo, con comodo.

Sul cortile si era schierata la banda dell’Arma dei Carabinieri e un battaglione di formazione composto da allievi di tutte le scuole carabinieri d’Italia. Per l’occasione era schierata anche la Bandiera di Guerra dell’Arma dei Carabinieri. Perdonerete se mi viene da scrivere Bandiera con la maiuscola, non perché ne esistano di minuscole – almeno non del mio Paese – ma perché una Bandiera di Guerra, ognuna di esse, parla a noi militari con l’autorevolezza di una madre. Ci ricorda quanto siano stati generosi e coraggiosi i fratelli che ci hanno preceduti e che quindi è il caso di comportarsi di conseguenza, evitando di fargli fare brutte figure.

Quel giorno, un martedì freddo di gennaio, cedeva il comando un’altra persona a me cara, un esempio di stile e di capacità professionale. Nella sua carriera aveva guidato i suoi carabinieri in molte di quelle operazioni che si leggono sui giornali e ora, dopo oltre quarantacinque anni, lasciava il servizio attivo. Quello era dunque l’ultimo giorno dell’ultima missione. Ho ascoltato il suo discorso seguendolo parola per parola, compreso il richiamo a Giacomo Leopardi e compreso anche l’invito ai suoi carabinieri di essere sempre tra la gente “fermi ma umani”. Non c’era emozione, non c’era commozione o per lo meno non traspariva. Mi sono ricordato in quel momento di una lapide che qualcuno ha sistemato all’ingresso della nostra Accademia a Modena; vicino a quello che una volta era il parlatorio. Dice “Ingoiare lacrime in silenzio. Donare sangue e vita. Questa la nostra legge e in questa legge è Dio“. Mentre per l’ultima volta parlava ai suoi carabinieri sono quasi sicuro che Giuseppe stesse ingoiando in silenzio le sue. Non so se sia stato costretto a donare sangue e spero in cuor mio di no; tuttavia, dopo quarantacinque anni di servizio, riguardo al dono della propria vita all’Arma nutrivo pochi dubbi. Lo stesso potevo dire per l’altro Giuseppe, l’amico e collega che quel giorno avrebbe assunto il comando davanti alla Bandiera dell’Arma, ai suoi carabinieri e a un gelido venticello di gennaio così insolito a Roma.

In quel cortile dove neppure un’arrugginita foglia di platano aveva osato avventurarsi, avevo avuto la fortuna di ascoltare le parole sentite e giuste di due belle persone che potevo in cuor mio rallegrarmi di conoscere. Avevo rivisto i visi intirizziti, giovani e solenni dei carabinieri schierati in alta uniforme per ascoltarle. Avevo di nuovo sentito il brivido lungo la schiena che sempre mi attraversa quando una Bandiera di Guerra mi passa davanti, con il suo drappo scolorito e il tintinnare di medaglie.
La sera prima, a casa, avevo però letto un post che circolava su Facebook. Riportava le parole di una canzone di tale Lucia Federico Leonardo, in arte Fedez. A un certo punto Fedez cantava: “…Tu come li chiami Carabinieri e militari. Io li chiamo infami. Tutti quei figli di cani”. Confesso che lì per li mi ero risentito non poco. Indagando un po’ nella rete vengo a scoprire che la magistratura ha sentenziato che poteva tranquillamente dirlo. E, si sa, la magistratura parla sempre in nome del popolo italiano. Magari qualche volta con un po’ troppo di immaginazione.
Io, da parte mia, mi tengo come un dono prezioso l’invito che Giuseppe mi ha rivolto a essere con lui e con i suoi Carabinieri quella mattina di gennaio. A noi che Fedez chiama infami e figli di cani il vento freddo non fa paura. Per riscaldarci ci basta una Bandiera consumata e qualcuno che con lo sguardo ci dica “ Sono pronto”. Auguro a lui di provare lo stesso.
Non parmi il caso di dar a codesto squallido figuro l’eco a le sue parole , lasciam che si perdan ne lo vuoto che le han generate!
Bravissimo
Complimenti condivido tutto;
ogni tanto sono necessarie queste riflessioni che fanno meditare
Giorgio
Perdona loro. Non sanno quel che dicono. Xk se lo sapessero……….
Un piacere leggerLa generale, un onore aver trascorso parte dei miei anni con la stessa uniforme per quanto, certamente, senza averle concesso lo stesso Valore.
Fedez non sarà mai in grado di provare un sentimento simile….
Grazie Paolo per il tuo raccontare le emozioni. I due Giuseppe cedente e subentrante, come diciamo noi militari, sono due Fratelli, che servono la Patria con onore e a loro va tributato il plauso di tutta la Nazione, non solo dei pochi del mestiere👍🥰🇮🇹
C.te
a me non è Fedez che fa specie, lui è uno.
Quello che mi fa più paura e vedere un largo schieramento di suoi seguaci quale “miglior” prodotto della nostra attuale società.
È sempre piacevole leggerti.
Quel brivido lungo la schiena io l’ho sentito solo nel leggere il tuo racconto, FEDEZ, che ha tutto, non avrà mai questo privilegio riservato a tutti noi servitori della Patria.
Chi pronuncia la parola ” infame ” nei confronti di un carabiniere è perché vuole offendere la sua persona e anche L’Arma , sapendo che la dignità e l’onore del Carabiniere e il prestigio dell’Arma dei Carabinieri rappresentano e sono per lui il suo nemico, il nemico di chi , al contrario , è lui effettivamente infame , disonesto, privo di dignità umana e di moralità , indegno di vivere tra persone civili e capace solo di pronunciare parole offensive che sono come gas fetido fuoriuscito da una fogna putrida..
Generale mi ha commosso, lei è una persona di grande levatura morale
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