Sul grande viale di cemento che l’attraversa c’è una statua in bronzo mezza nascosta. Raffigura una ragazza un po’ in carne con in testa una corona repubblicana che si appoggia ad un cannone. E’ la Defense, il monumento che i parigini si sono dedicati per la loro resistenza durante la guerra franco prussiana del 1870 e che da il nome a questo quartiere modernissimo e affascinante e l’Europa produce questo: la capacità di reinventarsi e di pensare ad un futuro diverso, che non replichi necessariamente un passato confortevole. C’è però qualcosa che gli europei si portano dietro da sempre; il senso della loro appartenenza ad una famiglia, poi ad una tribù infine ad un popolo e ad una nazione. Un europeo capisce istintivamente qual è il suo gruppo e quale è il gruppo a lui estraneo e a questi contrasti abbiamo sempre dedicato monumenti e costruito politiche. La storia degli ultimi settanta anni ha voluto convincerci che queste differenze non esistono e quand’anche esistano sono qualcosa di brutto. E ci abbiamo anche provato, da bravi scolaretti, ad imparare la lezione dandogli il nome di apertura, di integrazione di globalizzazione e di ogni altra …zione possibile, ma in fondo siamo sempre rimasti quelli che erigono monumenti per la vittoria sul nemico. E il nemico è sempre uno straniero. Milioni di persone che abbiamo accolto in nome di quei sentimenti si stanno rendendo conto che semplicemente non saranno mai come noi, o almeno non lo saranno nell’arco della loro vita. Non avranno mai un cancelliere della repubblica, un principe ereditario, il comandante dell’esercito, insomma non gestiranno mai il territorio che li ha accolti ed a qualcuno questa mancanza di prospettiva genera disperazione e rabbia. Non è un fenomeno esterno, non è un virus o un batterio sociale che ci aggredisce dalla Siria o dall’Afghanistan, certo esistono anche quelli, ma quello di Nizza ieri, di Parigi e Bruxelles quest’inverno sono neoplasie della nostra società. Siamo noi stessi che le generiamo e siamo destinati a conviverci con l’unico conforto che, malgrado tutto, siamo ancora in grado di immaginare, di sognare e, cosa non comune, di realizzare i nostri sogni senza distruggere necessariamente quelli degli altri.
















