KHERSON – per l’orso è tempo di letargo?

L’inverno è alle porte ed è tempo per gli orsi di cadere in letargo. Sarà così anche per l’orso russo? Per tentare una risposta è necessario partire dall’ultima sconfitta di questa guerra: Kherson.

Come al solito Putin ha inviato i suoi gregari a mettere la faccia su questa ennesima figuraccia e i due – Shoygu e Surovikin – lo hanno fatto con l’imbarazzo del bimbo che recita la poesia di natale. A guardarlo meglio l’annuncio del ritiro sembra però rivelare alcuni aspetti interessanti.

vignetta satirica sulla ritirata russa da Kherson apparsa sulla stampa ucraina (foto WEB)

Il primo riguarda i 25.000 russi chiusi a Kherson per i quali passare l’inverno in città sarebbe stata una tragedia. Serrati alle spalle dal fiume e pressati da ogni lato dall’esercito ucraino quella che si andava delineando non sarebbe stata una semplice sconfitta, ma una disfatta. Bene hanno dunque fatto i militari a spingere per abbandonare la città, decisione che, oltre a recuperare migliaia di uomini per le campagne future, ha pure consentito alla guida politica della Federazione di uscire con classe da una brutta figura. Chi non ricorda i proclami su Kherson russa, i referendum di annessione, i piani per impadronirsi di Odessa? Tutto finito? In linea teorica e politica no, ma per fortuna le recenti e impellenti necessità militari hanno obbligato a rivedere temporaneamente la tattica con la quale il Cremlino otterrà, a suo dire, l’inevitabile vittoria.

Carro armato russo distrutto – foto WEB

Quindi la narrativa è ora siamo andati via da Kherson perché così hanno suggerito i militari, ma ritorneremo! Il generale Surovikin, nuovo comandante russo del teatro ucraino, è riuscito ad imporre a Putin di avvallare una scelta tattico-operativa che si stava facendo giorno dopo giorno più impellente. “Armagheddon” – questo il soprannome di Surovikin – sa bene che dopo la rinuncia a Kherson da lui ci si aspettano vittorie, non ulteriori ritirate. Tuttavia oggi immaginare l’esercito russo di nuovo all’offensiva sugli oltre seicento chilometri di fronte è un esercizio di imprudente ottimismo.

Kherson – il ponte Antonovsky sul fiume Dnepr reso inutilizzabile dai russi nella ritirata dalla città (foto RAI News 24)

A Mosca come nei comandi dei gruppi d’armata o nei posti comando delle brigate appena uscite dalla sacca di Kherson a un’offensiva invernale non crede nessuno. Pensare di riattraversare il grande Dnepr, riconquistare la città e magari spingersi fino a Mycholayev e poi a Odessa e magari in Transnistria è fuori discussione. Non basteranno i 500.000 riservisti mobilitati a fine estate e neppure nuove armi e munizioni, sembra infatti che Mosca si sia decisa infine a prendere atto della situazione e a passare alla difensiva.

C’è da credere che i russi si cercheranno un posto lungo la linea di contatto in Donbas e a ridosso delle le rive paludose del Dnepr dove trascorrere i prossimi mesi. Tanto per stare tranquilli, già da tempo si è iniziato a scavare una lunga fila di trincee, disposte su tre linee parallele che, quando ultimate, costeggeranno il corso inferiore del Dnepr dal grande invaso di Nykopol e Zaporizhzha fino al mare. E non basta. Le ruspe sono al lavoro anche più a sud, attraverso l’istmo che collega l’Ucraina alla Crimea. Anche qui altri campi trincerati, caposaldi e opere difensive come nella Francia del 1915 a sottolineare che in un ipotetico negoziato di pace si potrà parlare di tutto ma non della restituzione della Crimea. Il messaggio dei russi è chiaro: ci fermiamo qui e non abbiamo alcuna intenzione di arretrare ancora.

un ponte secondario distrutto dai russi nella zona di Kherson

Si può essere certi che il messaggio è arrivato chiaro anche a Kiev. Le possibilità di successo per un attraversamento in massa del Dnepr in un’ipotetica, futura offensiva da Kherson sono quasi nulle e se possibile ancora minori quelle di superare il sistema difensivo russo a protezione del sud Ucraina e della Crimea. La liberazione di Kherson ha dunque messo in reciproco scacco un segmento di fronte lungo quasi 200 km, aprendo però a nuove, possibili alternative.

Una di queste, forse la più promettente, è dalle parti di Zaporizhzha. Con buona probabilità sarà lungo gli oltre 250 chilometri che separano in grande invaso di Zaporizhzha da Kramatorsk che portrebbe giocarsi la successiva partita. L’accorciamento della linea del fronte conseguente alla cessione di Kherson ha permesso a entrambi i contendenti di recuperare migliaia di uomini e parecchio materiale e soprattutto per Mosca Kherson ha smesso di essere una ferita aperta, un luogo capace di drenare per mesi migliaia di soldati e tonnellate su tonnellate di materiali. Sulla linea di contatto tra Zaporizhzha e Kramatorsk già da ora si stanno concentrando molte delle unità finora impiegate a Kherson, una maggiore densità che fa facilmente pensare a combattimenti più duri e a maggiori perdite.

difese passive contro carri (denti di drago) nel Donbas. Analoghe difese sono in via di completamento anche nella Crimea settentrionale (fonte WEB)

Per comprendere l’importanza di questa nuova area di combattimento basti pensare che dalla linea del fronte al mare ci sono si e no 150 km. Una tentazione davvero forte per il vittorioso esercito ucraino per spingersi verso Melitopol o addirittura verso i porti di Berdiansk e Mariupol. Se questa ipotetica offensiva riuscisse l’intero settore russo si troverebbe divise in grandi sacche isolate. A nord il Donbas a quel punto minacciato non solo da nord ma anche da sud e da ovest; a sud l’ipotetica nuova sacca si troverebbe logisticamente isolata e compressa tra l’esercito ucraino e il mare, mentre la Crimea diverrebbe un’isola assediata. Il pericolo è troppo grande perché i comandi russi non sappiano che proprio qui potrebbe giocarsi la battaglia decisiva di tutta questa guerra insensata.

Dintorni di Khersone – Militari ucraini nei pressi della diga di Nova Kakoska (fonte EPA)

Se questo è il possibile, futuro piano viene da chiedersi quando sarà possibile metterlo in atto. L’inverno è alle porte e i due contendenti lo attendono con speranze diametralmente opposte. Kiev non vorrebbe interrompere il momento a lei favorevole che dura ormai da metà estate, proseguendo l’offensiva dove e come si può. All’opposto Mosca spera proprio nell’inverno per fermare la catena di gravi insuccessi che finora ne ha costellato l’azione e magari riprendere l’iniziativa in primavera. L’inverno è quindi per entrambi un fattore decisivo, ma per un approccio corretto all’argomento è bene interrogarsi su cosa è l’inverno da quelle parti e quali vincoli pone alla manovra degli eserciti. In realtà in Ucraina la lunga stagione fredda è suddivisa in tre periodi ben distinti, ciascuno dei quali favorisce o preclude le attività militari. La stazione inizia con un lungo periodo autunnale delle piogge, la cosiddetta stagione del fango o rasputitza che rende impossibili i movimenti fuori strada, obbligando uomini e veicoli a rimanere sulle principali strade asfaltate o in cemento. In altri termini questo periodo è in grado di fermare quasi ogni possibilità di manovra terrestre e pone severi vincoli anche all’impiego dell’aeronautica. La rasputitza copre circa una quarantina di giorni tra ottobre e novembre e si ripresenta poi con caratteristiche identiche in primavera con il disgelo. Nel mezzo è il tempo dell’inverno.

un tratto di strada distrutto e minato dai russi in ritirata (fonte WEB)

Sebbene negli ultimi decenni anche da quelle parti la temperatura media invernale sia aumentata di alcuni gradi rispetto ai decenni precedenti questa oscilla ancora tra i meno quindici e gli zero gradi sempre che l’anticiclone russo-siberiano non ci metta lo zampino facendola precipitare a trenta sottozero. Ciò significa che per tutto l’inverno il suolo rimarrà ghiacciato e coperto di neve permettendo a veicoli e carri armati di muovere di nuovo fuori strada senza più correre il rischio di essere inghiottiti dal fango.

Dunque in linea teorica l’inverno permetterebbe la ripresa di operazioni terrestri su scala medio-piccola, ma a quale prezzo? In quelle condizioni non solo combattere è molto difficile ma anche ogni attività logistica è più costosa e complessa. Si consuma più carburante; i mezzi sono sottoposti a sollecitazioni maggiori; le manutenzioni sono più difficili così come il personale ha bisogno di equipaggiamenti decisamente migliori senza contare che l’intero campo di battaglia sarebbe avvolto dal buio per gran parte del tempo.

2^ guerra mondiale – Militari tedeschi tentano di liberare un autocarro leggero dal fango nel periodo della “rasputitza

Di fronte a questo scenario l’esercito russo non si presenta certo in buone condizioni. Dopo le sconfitte e gli arretramenti dell’estate e dell’autunno sembra aver preso consapevolezza di quanto sia necessario interrompere questa spirale di eventi sfavorevoli, bloccando la situazione così com’è. Ecco quindi la decisione di organizzarsi per tenere una linea del fronte robusta e difendibile. Da settimane nella regione di Luhansk come sulla riva sinistra del Dnepr e in Crimea si stanno scavando trincee, ripari e bunker dove trascorrere l’inverno. Certo non è come starsene in una città o in un villaggio, ma Mosca non si può permettere di lasciare agli ucraini alcun varco. Alcune delle migliaia di coscritti arruolati con l’ultima mobilitazione trascorreranno già il loro primo natale in trincea. Forse si pensa che impegnarli per qualche mese in compiti di sorveglianza e in combattimenti a bassa intensità sia un buon sistema per renderli davvero pronti per l’offensiva futura. Questa sorta di “training-on-the-job” non è una novità e potrebbe anche funzionare a patto che i soldati nelle trincee del Donbas, come a Zaporizhzha o sul fronte del Dnepr non si sentano abbandonati. Rifornimenti costanti, buoni equipaggiamenti, addestramento mirato, cibo di qualità, turni di riposo regolari, una disciplina non vessatoria sono la chiave per mantenere il morale a livelli accettabili e sperare a primavera di avere soldati veri. Il resto dell’esercito sembra che si stia preparando e addestrando nelle basi e nei poligoni messi a disposizione da Lukaschenko in Bielorussia.

Manifestazione nazionalista del movimento NASHI a Mosca nel 2007. (foto WEB)

C’è però un’altra ragione, questa volta interna alla Federazione, per la quale un rallentamento invernale sarebbe benvenuto. Il governo di Mosca ha sempre più bisogno di mobilitare le energie morali e di consenso del popolo russo verso questa guerra che finora è vissuta con relativo distacco. Per dirla con Clausewitz si tratta di stimolare una volksbewaffung, la guerra di popolo, che sostituisca quella di Putin e dell’establishment. In questo caso i mezzi sono diversi dai carri armati e dai droni. Si guarda infatti alla narrativa delle ragioni e dei pericoli della guerra dipingendo l’Ucraina come un luogo ormai preda del Male, manipolato e contaminato dai disvalori occidentali e in grado di portare un attacco letale alla dusha velicoy materi rusi, l’anima della grande madre dei russi. La guerra come esorcismo, dunque. Far arrivare il messaggio sarà dura perché da qualche parte inizia a trapelare il fatto che le cose non vadano poi così bene come era stato annunciato all’inizio dell’avventura; tuttavia il Cremlino conta di riuscirci entro quest’inverno.

soldati ucraini in inverno (foto WEB)

C’è un ulteriore aspetto da considerare per meglio comprendere l’attuale passaggio alla difensiva e le prospettive per il futuro immediato. Si tratta della inviolabilità della Terra russa che i discussi referendum dei mesi scorsi hanno formalmente ribadito. Sebbene qui in Occidente essi siano stati giustamente bollati come ignobile farsa non è da sottovalutare l’impatto che la decisione ha avuto all’interno della Federazione. Dichiararli parte della Russia e pertanto non più cedibili ha indicato infatti lo scopo finale dell’intera operazione speciale, derubricando a semplice necessità tattica il temporaneo abbandono di alcune città e territori. “Temporaneo” è quindi l’aggettivo su cui concentrarsi anche se, al momento, la situazione dell’apparato militare russo non fa prevedere la possibilità di riprenderli. Liberare i territori russi dalla mano malvagia dell’Occidente rientra perfettamente nella costruzione del pathos popolare alla guerra.

Fuori dai confini della Federazione russa l’inverno, in Europa declinato attraverso la lente della montante inflazione e l’aumento dei costi dell’energia, potrebbe rendere qualche servizio a Putin producendo un’incrinatura del blocco Euro-americano e conseguentemente l’indebolimento del sostegno al governo di Kiev.

soldato ucraino in una trincea del Donbas nell’inverno scorso (foto WEB)

E da parte ucraina? E’ facile immaginare come per Kiev l’obiettivo dell’inverno è impedire che tutto ciò si realizzi ad iniziare dalla stabilizzazione dal rafforzamento della linea del fronte. Per lo stato maggiore di Kiev non c’è alcuna ragione per concedere a Mosca una pausa nei combattimenti; tutt’altro. Combattere nel periodo della rasputitza come in pieno inverno è certo difficile ma non impossibile. D’altronde la storia è piena di campagne militari invernali di grande successo, per cui perché non tentare? Si tratta di scegliere gli obiettivi giusti e quali migliori della malandata rete logistica russa. Colpire gli assi viari, i depositi, le officine, le ferrovie e ogni luogo o attività logistica anemizza le possibilità dei russi di presentarsi pronti all’ipotetica offensiva di primavera. Tuttavia per raggiungere questo obiettivo Kiev dipende quasi essenzialmente dal supporto occidentale in termini di copertura informativa e, soprattutto di missili e artiglieria, senza comunque sottovalutare gli attacchi partigiani e delle forze speciali. Contrariamente a Mosca, Kiev sta dunque lavorando per un inverno ad alta intensità il cui carburante è però nelle mani dell’amministrazione Biden e degli altri alleati. E’ di queste ore il vertice G20 in Indonesia dove oltre alle attese condanne della guerra sta emergendo una minima e condivisa volontà di concludere presto il capitolo Ucraina. Significa parlare di compromesso e di concessioni che andranno comunque di traverso ai due protagonisti di questa scellerata avventura, ma come diceva il vecchio cancelliere Bismark, la politica non è forse l’arte del possibile? Come al solito, vedremo.