“Est la guerre qui nourrit la guerre”. Bei tempi quelli in cui Napoleone poteva permettersi di dire che era la guerra a dover nutrire la guerra stessa. Di quei giorni rimane valido solo l’adagio che è “l’argent qui fait la guerre”, per il resto ci pensa la logistique, anzi la logistica, branca dell’arte militare che riguarda gli organi, i mezzi, i materiali, le attività e l’organizzazione in grado di permettere a un esercito di vivere, muovere e combattere e possibilmente anche vincere. In altri termini al logista spetta l’ingrato compito di ridimensionare, reindirizzare e limitare i sogni napoleonici di ogni tattico. La formula in questo caso è sempre la stessa: “comandante, mi spiace, ma non ce la facciamo a sostenere questo piano, a meno che…” scoprendo una verità semplice quanto negletta, quella per la quale ogni carro armato, pezzo di artiglieria e non certo ultimo, soldato non ha solo bisogno di un buon piano, di una robusta motivazione e di comandanti capaci, ma soprattutto di cibo, cure mediche, carburante, pezzi di ricambio, munizioni, officine e via dicendo. In sintesi ha bisogno della logistica.

In questi dieci mesi di conflitto russo-ucraino si è sentito parlare un po’ di tutto; dall’ipotetica pazzia di Putin, ai siluri in grado di affondare la Gran Bretagna; dalla bomba sporca, alla guerra lampo, ma poco di logistica. Tuttavia, ora che l’inverno inizia a stringere uomini e mezzi che si fronteggiano nelle pianure d’Ucraina e che la prospettiva di rapide e decisive offensive si allontana a pari velocità, il tema di come far sopravvivere e combattere i due eserciti appare sempre più come uno degli elementi decisivi per l’esito del conflitto.
Partiamo da una prima costatazione. Lungo i quasi 600 chilometri di fronte, mezzo congelati dentro una trincea, seduti su un rugginoso sedile di un carro o nel fango di una postazione di artiglieria si fronteggiano oggi circa 400.000 uomini che prima di avanzare o ritirarsi, consumano. Per immaginare il livello del problema logistico è sufficiente osservare uno dei materiali più consumati in ogni guerra moderna: le granate di artiglieria. Ce ne sono certo di calibri diversi ma qui basterà soffermarci su quelle più comuni, vale a dire su quelle da 152 mm di produzione sovietica e quelle da 155 mm fornite all’Ucraina dai contributori occidentali. La differenza tra le due non è significativa. Si tratta infatti di un oggetto di ferro riempito di esplosivo ad alto potenziale dal peso di circa 40 kg e dal diametro di circa 15 cm, sparato dalla maggior parte delle artiglierie dell’una e dell’altra parte.

Secondo stime attendibili dall’inizio delle ostilità, il 24 febbraio scorso, fino ad oggi l’artiglieria di Putin ha sparato circa cinque milioni di queste granate, vale a dire 200.000 tonnellate e questo solo per quelle da 152 mm. Le munizioni da 122 mm, i razzi per i lanciarazzi multipli, le bombe da mortaio e via discorrendo, fanno un conto a parte. Dal punto di vista logistico si è trattato di reperire, trasportare e distribuire queste centinaia di migliaia di tonnellate fino all’utilizzatore finale, vale a dire a pochi metri dalle centinaia e centinaia di pezzi di artiglieria che costellano l’intera linea del fronte. La faccenda si complica ulteriormente allorché ci si ricorda come ogni movimento avvenga in zona di combattimento; lungo itinerari limitati a pochi assi stradali spesso colpiti dall’artiglieria nemica o muovendo convogli lungo linee ferroviarie che si contano sulle dita di una sola mano. Non bastasse tutto ciò, c’è da considerare che la gran parte di queste munizioni è stivata in depositi dispersi a qualche migliaio di chilometri dal fronte, nell’immenso territorio russo. Analoghe riflessioni possono valere per il carburante dei carri o l’olio dei motori, come per il cibo e il vestiario dei soldati o i pezzi di ricambio di questo o quel veicolo. Il rifornimento e il trasporto sono solo due delle diverse attività logistiche necessarie all’esercito di Putin. Degli approvvigionamenti, della manutenzione del parco veicoli, del recupero dal campo di battaglia di quanto è momentaneamente inutilizzabile o della cura dei malati e dei feriti non ne parleremo ma ognuna di queste attività assorbe energie in termini economici come di personale e di tempo.

Limitarsi al solo munizionamento per artiglieria è comunque più che sufficiente per comprendere come colpire l’organizzazione logistica russa sia uno degli obiettivi vitali per lo stato maggiore di Kiev. Qualche esempio? La perdita mesi fa del nodo ferroviario di Izium che ha costretto i russi a una lunga deviazione ferroviaria per alimentare le brigate nel Donbas, come pure il brivido dell’attentato al ponte di Kerch che ha dimostrato che colpire quell’arteria di rifornimento non è impossibile. Ogni ponte, ogni scambio ferroviario, ogni tratto autostradale distrutto rallenta o interrompe l’alimentazione logistica e quindi impedisce ogni azione tattica. In termini più tecnici va ad impattare sull’autonomia logistica di uomini e unità. Contrariamente a quanto si può pensare quando si parla di autonomia logistica non ci si riferisce alla libertà di rifornirsi come meglio si può, ma ad un tempo: quello intercorrente tra un rifornimento e quello successivo. Per garantire ai reparti al fronte la loro autonomia logistica, espressa in termini poniamo di tre giorni, vuol dire che si deve fare in modo che dopo tre giorni dall’ultimo rifornimento ne arrivi un altro di pari livello, pena il decadimento o la perdita della capacità di combattimento dell’unità.

In questi giorni si è molto discusso della possibilità per i russi come per gli ucraini di vivere a breve una grave crisi nei rifornimenti di munizioni. Si tratta di situazioni molto diverse ma accumunate dallo stesso livello di preoccupazione. Iniziamo con i russi.
Chi sperava che Mosca stesse per finire le munizioni è andato deluso. L’Armata Rossa prima e l’esercito della federazione poi ha accumulato depositi pressoché infiniti di munizionamento convenzionale, soprattutto da 152 mm. Il problema per loro è il trasporto e la distribuzione in un territorio dove le strade sono poche, le ferrovie ancor meno e i camion a disposizione non sono certo un esempio di efficienza. Per gli ucraini il discorso è diverso. Le scorte iniziali di munizionamento ex-sovietico si sono in gran parte esaurite e quelle fatte arrivare dai paesi NATO un tempo appartenente all’ex Patto di Varsavia, come la Polonia non coprono certo il fabbisogno come quasi ininfluenti sono i depositi russi caduti in mano ucraina a seguito delle fortunate offensive della scora estate. Il grosso del munizionamento in uso oggi dall’esercito ucraino è dunque di origine NATO, o meglio americana. Si tratta delle granate da 155 mm, sostanzialmente analoghe a quelle russe da 152 mm che l’artiglieria ucraina macina a ritmo di 6000 colpi al giorno, vale a dire circa 180.000 colpi al mese. Nessuno si aspettava consumi di questo livello per un tempo così lungo e per gli ucraini si che il numero dei colpi disponibili sta diventando un problema.

Fin’ora l’Occidente ha rifornito Kiev con all’incirca un milione di granate. Di queste circa 900.000 sono partite dai depositi USA; 20.000 da quelli britannici, 13.000 sono tedesche, circa 6000 francesi e il resto provengono da altri paesi. L’Italia? Non si hanno dati pubblici, ma è certo che la richiesta di munizioni da 155mm per l’Ucraina è andata a cadere in una situazione più che precaria delle nostre scorte. Se si è voluto aggravarla non è dato sapere. Tornando però al ritmo di consumo ucraino di 180.000 colpi/mese viene da chiedersi chi sia in grado di mantenere questo ritmo di rifornimento.

Di certo gli Stati Uniti potrebbero. Dispongono infatti di scorte strategiche stimate tra i 2,5 e i 4 milioni di colpi, ma come dice la parola stessa, sono scorte strategiche e quindi che Washington se ne voglia privare appare davvero difficile. In America ne vengono prodotte si e no 100.000 al mese con la possibilità in futuro di portare la produzione sui 150.000 colpi, ma ci vogliono tempo e anche molti soldi. Sulle capacità produttive europee per ora è meglio non contarci troppo. Quindi mentre per Mosca il problema è far arrivare le munizioni sotto gli obici schierati tra la Crimea e il Donbas, per Kiev si pone il dilemma di sparare meno o di concentrare il consumo su obiettivi ritenuti particolarmente importanti. Per entrambi l’inverno sarà un utile momento per limitare i consumi e prendere un po’ di tempo, ma a primavera c’è da immaginare che la faccenda si riproporrà drammaticamente. Per ora di drammatico c’è – almeno in campo russo – la disponibilità di materiali di equipaggiamento individuali. Molti reparti al fronte lamentano di non aver ricevuto giacche a vento e indumenti in grado di resistere al freddo e all’usura dell’impiego in campagna. Non sono pochi i video in cui soldati di Mosca si lamentano di essere stati costretti a comprare di tasca propria qualcosa per non morire di freddo e questo non solleva certo il morale delle truppe. Come pure per Surovikin, comandante delle truppe russe in Ucraina, la mancanza di pezzi di ricambio, ma soprattutto di personale tecnico in grado di eseguire riparazioni e manutenzioni inizia a diventare un problema serio. Insomma se davvero, come voleva Napoleone, la guerra deve nutrire la guerra sembra che per entrambi si profilino tempi di dieta.
Paolo sei un fuori classe!!👏👏👏
Letto con grande attenzione. Lei spiega in modo veramente chiaro. Ho avuto per la prima volta chiara contezza di quanti mezzi, quanti uomini, quanta energia e intelligenza serve per organizzare la distruzione ..e ho visualizzato l’immagine di “un carro armato verde oliva sparava cuoricini muovendosi su un prato arcobaleno”