considerazioni su una vicenda tragica che rischia il ridicolo
Il grande frigo dei gelati se ne stava in fondo al bar. Vuoto. Sebbene recalcitrante, l’autunno 2023 sembrava ormai essersi persuaso ad iniziare le consuete umide noie preannunciandole con una pioggerellina insignificante che a Roma chiamano “gnagnarella”.
Sul vetro del frigo un tempo trasparente e ora opaco di impronte e gocce di caffè stavano spiegazzati tre quotidiani: il Corriere dello Sport che parlava di Sinner, il Corriere di Viterbo che beatificava Jonny Deep avvistato al quartiere di San Pellegrino e il Corriere della Sera che raccontava del 103° femminicidio dall’inizio dell’anno. Non capendo nulla di tennis e felice che addirittura Martin Scorzese fosse stato ammaliato della fossile bellezza del nero tufo di Viterbo ho ripiegato sul giornalone. Di Giulia Cecchettin sapevo ormai tutto, anzi troppo. Che era neolaureata in ingegneria biomedica a Padova; che era si era lasciata con il suo ragazzo, tale Filippo, ma che erano rimasti amici; che poi quel bravo ragazzo del quale era rimasta amica l’aveva picchiata, rapita, accoltellata e infine buttata via dalle parti del lago di Barcis.
Di altri particolari non avevo bisogno; così, passando sopra al moto di leggero disgusto che sempre mi provocano notizie come queste, ho cercato qualche cosa di diverso. E l’ho trovato. Era la lettera aperta di Elena, la sorella di Giulia. Morta.

Inizio a leggere, tanto il caffè troppo caldo non mi è mai piaciuto. « I mostri sono i figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro…» vado avanti e trovo «…nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto » proseguo fino a quando leggo che il femminicidio è un omicidio di stato.
A quel punto non trattengo un sorriso di nostalgia. Sono nato agli inizi degli anni ’60 quando circolavano quasi solo FIAT 500 e qualche 600 Special. La Fiat 1100 e la Lancia Fulvia erano macchine per signori e i signori erano il medico, l’avvocato e il padrone del calzaturificio sull’Adriatica. Al notaio spettava la Giulia 1300, come alla polizia. Negli anni successivi sarebbe saltata in aria la Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano (17 morti e 88 feriti), poi piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 102 feriti) e poi ancora tante altre. Per molti di quei morti si parlava allora di omicidio di stato. Leggere oggi lo stesso termine mi aveva indotto un po’ di nostalgia per un tempo in cui credevamo di avere idee e valori per cui valesse la pena combattere. Ci avrebbero pensato Berlusconi, le sculettanti tettone di Drive In e lo smartphone a farci capire che ci sbagliavamo di grosso e che l’unico valore da difendere era quello del conto in banca. Alle idee, ammesso che davvero ce ne servisse una, ci avrebbe pensato un influencer tatuato come un baleniere della ciurma del Capitano Achab.

Quanta fatica sprecata a litigare fino alla faringite con Barbara, capa del collettivo femminista o a discutere se si potesse davvero stare né con lo Stato, né con le Brigate Rosse. Dilemma lacerante per me, figlio di poliziotto al quale lo Stato pagava lo stipendio che mi permetteva di frequentare un liceo dove si discuteva della legittimità di sparargli addosso. “se vedi un punto nero, spara a vista. O è un Carabiniere o è un Fascista” gridavano in tanti dai cortei rischiarati dal Sol dell’Avvenire. Per fortuna papà vestiva di blu con i pantaloni a sbuffo color carta zucchero con doppia banda cremisi della Polstrada. Non si poteva scambiarlo con un carabiniere e credo neppure con un fascista.
Adesso Elena, sorella di Giulia, la Morta, ritirava fuori l’omicidio di stato per quello che aveva fatto l’ex ragazzo della sorella. Non mi riusciva di definirlo uomo e non perché il crimine commesso fosse stato così esecrabile da non poter definire ancora uomo colui che lo aveva commesso. No, per carità. Si era già visto di peggio. Non potevo chiamarlo uomo perché a parte qualche rara eccezione si è fatto di tutto per non diventare uomini, così come per non diventare donne. Ma se non si diventa uomini e donne, non si può certo diventare mariti e mogli e quindi neppure padri e madri. Figurarsi nonno e nonna. Dai tempi degli omicidi di stato, quelli veri, si è pian piano preferito virare verso una finta e leopardata giovinezza, mimetizzata dal botox, ristretta dalle liposuzioni o dalla virilità al cialis. Ragazzi per sempre, uomini mai.

Poi capita che ogni tanto uno di questi ragazzi condannati a essere forever young sbrocca e ammazza oppure si ammazza e giù tutti a piangere mentre lo Stato, come sbertucciava De Andrè, si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità. A me hanno insegnato che un omicidio è un omicidio con buona pace se la vittima è uomo, donna, vecchio, giovane, ricco o povero. E invece adesso accanto all’omicidio, reato odioso persino a Dio che insegue Caino chiedendogli dove fosse suo fratello Abele, c’è il femminicidio. Da sostantivo s’è passati all’aggettivo. Mi aspetto il brutticidio, il ricchicidio, lo scemocidio mentre per parricidio e infanticidio mi sembra che siamo già a buon punto. Ecco allora che si deve intervenire per fermare i femminicidi mentre per gli altri delitti di sangue fate un po’ come vi pare. Prendete a sprangate in testa un vecchio, investite un impiegato sulle strisce, buttate pure dalla finestra un neonato a condizione che siano tutti maschi.
Guardo la foto di quel disgraziato che ha ammazzato Giulia. E’ giovane e mi viene in mente che in fondo la gioventù, se ricordo la mia, è un’età di merda. A parte il fatto che non ti duole praticamente nulla, che puoi mangiare un vitello e poi andare a giocare a pallone, che se dormi due ore poi sei fresco come una rosa…a parte quello che la natura ha previsto che tu sia, il resto non è un gran che. Vorresti fare cose da grandi, ma le cose da grandi non sai quali sono; non hai soldi e hai un sacco di tempo per pensare al fatto che non hai soldi. Immagini, speri, ipotizzi sul domani e intanto oggi dormi fino alle undici. E poi ti innamori. A quell’età disgraziata l’amore è come il Covid; si racconta di casi letali ma nessuno cerca di salvarsi, anzi. Ci si ammala felici, si soffre felici e si ride felici e quando l’amore finisce si soffre e basta. Penso sia il sistema che la natura ha escogitato per farci sentire che in fondo in fondo abbiamo un’anima. Poi questa età disgraziata finisce e si diventa adulti, più che altro trovi un lavoro, ti danno uno stipendio e forse ti concedono un mutuo.

Il feroce assassino di Giulia, la Morta, non arriverà a questa fase. Rimarrà in galera come è giusto e sacrocanto che sia. Ma qui arriva l’accusa che Elena, la sorella di Giulia la Morta fa a tutti noi uomini, anzi, a noi maschi. È colpa vostra se l’ex-ragazzo di mia sorella l’ha uccisa. Siete voi che avete creato una società maschilista, patriarcale, sessista e misogina che non ha insegnato al ragazzo di mia sorella, lo stesso che io conoscevo benissimo, che veniva a casa quasi tutti i pomeriggi, quello con cui andavo in discoteca…si, quello là, proprio lui, non gli avete insegnato a rispettare mia sorella.

Distolgo lo sguardo dal giornale, mi giro e incontro gli occhi di Pino, il barista, marito e padre di due figli. Chissà se lo sa di essere complice di un assassino. Non glielo chiedo. E visto che non posso chiederlo a lui e neppure a Nando, contadino che si lavora un poderetto lungo la strada degli orti che porta a Ronciglione, Nando che nel frattempo è entrato maledicendo il tempo e i reumatismi, allora lo chiedo a me. Ti senti un complice per omissione di un assassino? Sei parte di una società patriarcale neppure fossimo a Papua Nuova Guinea o in un clan scozzese ai tempi di Guglielmo il plantageneto? No. Non mi sento colpevole e neppure responsabile e non mi piace che si spinga per farmici sentire. Io mi ritengo un uomo, uno come tanti, con scelte di cui andar fiero e molte altre di cui dispiacermi, ma sono responsabile di quel che faccio e dico, non di quel che dice o fa qualcun altro.
Non sono perciò responsabile del dolore che oggi Elena, la sorella di Giulia, la Morta è costretta a sopportare. Non sono responsabile delle decisioni del suo ex-ragazzo. Lei e lui e le loro disgraziate famiglie non possono scappare da questo peso, non c’è strada, non c’è aiuto; non c’è comprensione. Disgraziato vuol dire colui che non ha più grazia, che non ha equilibrio e forza.
Arriverà il momento in cui anche il loro dolore ritroverà la sua grazia, cioè la sua forza perché il dolore, come la gioia, è una pietra che ciascuno è chiamato a portare da solo. Con grazia.
Una riflessione assolutamente condivisibile perchè talmente “ovvia” da dover essere implicita. Eppure non è così per molti, per i media e per i “raffinati” pensatori! Ed è proprio quest’ultima considerazione che dovrebbe aprire una reale e pubblica riflessione collettiva sul fenomenno dei femminicidi e su tanti altri fenomeni differenti nell’aspetto….apparentemente non attinenti e questo triste fatto di cronaca…..eppure tutti quanti derivanti da medesimi presupposti da identiche cause e da stesse carenze sociali legati ai disvalori (o peggio, alla totale assenza di valori) delle società contemporanee.
Bellissima analisi che ricalca, almeno credo, i principi di “un Mondo al contrario” e mi riferisco non al pianeta ma a una infinitesima parte di chi lo popola. È giusto per i più maturi ascoltare i giovani nelle loro esternazioni, anche se a volte rabbiose e non ragionate, non fosse altro per “dovere di esperienza” e cultura maturata da decenni passati a distillare per sopravvivere la realtà che è ben diversa dall’utopia. Per poter, appunto, trovare la via più giusta occorre avere dei valori, valori che sono alla base della civiltà e della comunità di intenti; in questo sistema di convivenza umana la natura ha imposto parametri e ruoli che sono ben diversi da Eva che imbufalita per le sofferenze del parto va alla ricerca di Adamo imutandogli di aver mangiato una mela di troppo.
Forse Elena Cecchettin, dovrebbe riflettere maggiormente sul messaggio umano della sorella sorella Morta piuttosto che fare propri luoghi comuni oggi sempre di più presenti su i social.
Buonasera Generale. L’ho conosciuta da Grieco e da Parabrllum e le sue analisi mi paiono molto ponderate e interessanti, e in questa mi ci ritrovo e sono completamente d’accordo con Lei.
Analisi perfetta,come sempre
Non mi sento complice di un assassino , ma sento il dolore di un padre che gli hanno assassinato una figlia
Come non essere daccordo. Sempre perfettamente chiaro e puntuale nelle analisi.
Posso comprendere Elena, sorella di Giulia, pietrificata dal dolore e troppo giovane per padroneggiare determinati concetti: una tragedia come quella è talmente grande che un solo colpevole non basta, è necessario una pletora da colpire risucchiati dal gorgo della correità presunta. E chi meglio dello “Stato” non può fungere a capro espiatorio, questo povero “Stato” colpevole di tutti, se piovve, grandina od esce il sole. Del resto Elena è una ragazzina immatura ed arrabbiata, la comprendo perchè non è in grado di muovere un’analisi lucida e semplicissima: risolvere che l’unico assassino della sorella si chiamava “Filippo”; lui e nessun altro è responsabile dell’orrendo misfatto. Più grave è la caciara politica che la gentaglia politicante ha imbastito per la solita caccia al consenso. Ma questa è un’altra storia: è l’espressione geografica che si chiama “italia”.