CONVERTITI E RIPULITI.
A Khaled-Al-Assad avrebbe fatto sicuramente piacere sapere della svolta umanitaria e moderata di coloro che nell’agosto del 2015 a Palmira l’avevano ammazzato e poi decapitato di fronte al suo museo. La stessa compiaciuta soddisfazione siamo certi avrebbe riscaldato gli animi delle centinaia di persone decapitate, lapidate e persino bruciate vive dai barbuti jahidisti dello stato islamico.

Oggi in molti si affrettano a mettere in evidenza i distinguo e le eccezioni che in questi dieci anni crediamo abbiano contribuito a smacchiare dal sangue le bandiere nere dell’ISIS. Spariti dunque i tagliagole di un tempo e dimenticati gli assassini di gente inerme, è bastata una doccia, un salto dal barbiere e un cambio d’abito per trasformarli in ribelli e in miliziani anti-Assad e presto in eroici partigiani. Avere la memoria corta serve di certo a non portare rancore e a vivere l’oggi con tranquillità, ma in questo caso prepara un domani fosco per noi come per molta di quella gente che oggi manifesta per le strade delle città siriane giustamente felice per la fuga di un altro farabutto di prima classe. Qualcuno oggi, tra un brindisi e l’altro, farebbe bene a ricordare come fu lo stesso Osama Bin Laden buonanima a esortarli ad avere pazienza, ad attendere il momento propizio per portare il jahad all’interno dell’Occidente, il “nemico lontano” ora come allora, ancora troppo difficile da raggiungere.

Meglio quindi concentrarsi sul “nemico vicino” (entrambe le definizioni sono di Bin Laden) che per i barbuti ex-jahidisti coincide con qualsiasi forma di stato sia oggi presente nell’area. L’idea, per ora neppure bisbigliata, è di riportare in vita il califfato che questa volta dai monti dell’Afghanistan potrebbe arrivare fino al Mediterraneo, passando attraverso il Caucaso ex-sovietico e l’Iraq ormai balcanizzato. In questa fase è dunque meglio stare attenti a non irritare Turchia o Stati Uniti con dichiarazioni messianiche di prossimi califfati. I convertiti sulla via di Damasco non fanno che ripetere come Il mondo, cioè noi, non abbiamo nulla da temere dalla Siria. Verrebbe da aggiungere “per ora” ma se sei curdo o armeno non dovrai neppure aspettare tanto visto che i liberatori non hanno perso tempo nel dargli addosso. Il primo a credere fino ad un certo punto all’improvvisa conversione è stato Israele il quale si è affrettato a disintegrare l’intero arsenale non più di Assad, ormai infreddolito ospite del Cremlino, ma dei nuovi liberatori. Come dire: ”prevenire è meglio che reprimere”. E di certo non sarà sfuggito a quanti ammiccano ai boia di ieri come il loro leader si sia affrettato a celebrare la fuga di Assad come un gran giorno non per la Siria, che davvero non vedeva l’ora di liberarsene, ma per la nazione islamica, vale a dire la “Hummah” dei Credenti senza distinguo di stato o di forma di governo, con buona pace di chi sogna una Siria integra e indipendente. Lo stesso aveva fatto dalla moschea di Mossul l’autoproclamato emiro Al Baghdadi, voce e capo dell’ISIS e che ora ci appare un Abu Mohammad al-Julani al quale è andata male. Prima di incoronare i nuovi padroni di Damasco faremo dunque bene ad usare una maggiore prudenza e a ricordare che un tempo avevamo chiamato eroici mujaheddin anti-sovietici quegli stessi talebani contro i quali avremmo combattuto dieci anni dopo.