
1. VALUTAZIONE GENERALE
Si sono superati i due mesi di guerra e la data simbolica del 9 maggio è ormai alle porte. Mentre da Mykolayiv a Kharkiv l’esercito russo è impegnato nell’offensiva e quello ucraino si difende con le unghie e coi denti è il momento di alzare lo sguardo e tentare di cogliere alcuni aspetti di questa guerra che, sebbene combattuta con sistemi del secolo scorso, guarda agli equilibri del prossimo. Per una volta non partirò dal protagonista ma dal suo antagonista.Di fronte a questa guerra gli Stati Uniti si trovano oggi nella stessa posizione in cui si era trovata l’Unione Sovietica in Vietnam. Come fu per gli americani negli anni ’60, l’impegno massiccio, assurdo e maldestro dei russi in questi primi due mesi ha dato agli USA chances inaspettate che vale la pena di esplorare.Gli esiti della riunione convocata a Ramstein nella gestione della crisi ucraina hanno sancito – almeno nelle intenzioni degli Stati Uniti – il superamento del dualismo NATO-RUSSIA. L’UKRAINE DEFENCE CONSULTATIVE GROUP (UDCG) – questo il nome del nuovo organismo – vede infatti accanto ai trenta membri dell’Alleanza atlantica, la partecipazione di altri quattordici paesi. (Ucraina, Finlandia, Svezia, Giappone, Corea Del Sud, Nuova Zelanda, Australia, Israele, Giordania, Qatar, Kenia, Liberia, Marocco e Tunisia).Questo Contact Group, che ha intenzione di incontrarsi ogni mese, sostanzialmente solleverà la NATO dal coordinare l’invio di armamenti all’Ucraina. Questa dunque l’idea per superare i vincoli e le limitazioni propri di un’alleanza che trova nel bilanciamento e nella continua azione diplomatica interna la sua forza, ma anche la causa della sua lentezza. Non è più la NATO ma la UDCG a gestire l’invio delle armi e tanto dovrebbe bastare a tranquillizzare Mosca. I dubbi a questo punto sono più che legittimi ma, tant’è. Ciò che è invece incontestabile è come gli Stati Uniti prendono così la direzione di una nuova coalizione, dove come ogni volta forniranno almeno il 70% dei mezzi, delle armi e dei materiali ma dove disporranno di una maggiore libertà di azione. Lo stesso si può dire per tutti gli altri quarantatré paesi coinvolti che fuori dai vincoli e dai trattati NATO potranno calibrare di volta in volta il livello e la qualità della loro partecipazione al fronte anti-russo. Tutto bene? Dipende come sempre dai punti di vista. C’è infatti da chiedersi fin dove i meccanismi di compensazione, riflessione e valutazione propri della NATO potranno influire sull’UKRAINE DEFENCE CONSULTATIVE GROUP, che di fatto è fuori dall’Alleanza. Si è sicuri di essere al riparo da eventuali accelerazioni o bruschi movimenti come auspicato da qualche paese particolarmente sensibile al fiato caldo dell’Orso russo? C’è inoltre da rilevare che si sta delineando una nuova forma di risposta a questa come forse alle prossime crisi di vaste proporzioni. Anche se paventata da più parti non si parla più di guerra come durante il Nuovo Ordine mondiale, ma di confronto. Confronto economico, pressione commerciale e finanziaria e aiuti militari. I mezzi e le strategie sembrano essere illimitate, fatta eccezione per il ricorso alla guerra aperta per ora di esclusivo appannaggio delle forze armate ucraine, il che non esclude comunque la possibilità di incidenti che non comportano un’escalation.In questa fase si nota la relativa debolezza della Russia che può contrastare efficacemente solo l’aspetto militare e locale di questa offensiva ma che si trova nella assoluta passività rispetto al suo braccio economico-finanziario. E anche riguardo alla possibilità di Mosca di replicare punto su punto alle iniziative militari occidentali molti sono i distinguo. Al di là dei proclami e delle minacce rimane infatti ancora chiuso nel cassetto il ricorso massiccio all’aviazione strategica, così come quello alla mobilitazione generale per non parlare dell’armamento chimico o peggio ancora nucleare. A questo proposito, l’appello alla minaccia, più o meno velata, di impiegare armi nucleari, puntualmente contraddetta qualche giorno dopo dal richiamo che questo tipo di arma potrebbe essere utilizzata solo in caso di minaccia esistenziale, è piuttosto un’ammissione di impotenza.La strategia americana, almeno quella di primo livello, non è certo un mistero e si ritrova nelle parole conclusive della conferenza di Ramstein quando si dichiara che … la Russia deve essere indebolita militarmente per evitare che faccia di nuovo quello che ha fatto in Ucraina…Tradotto significa che la Russia deve essere ricondotta a una potenza di seconda fascia, priva cioè di una completa libertà d’azione. Sarebbe questa dunque la fine di un ciclo?Alla Russia sovietica, impermeabile ai valori cardine della modernità, era seguita la breve e dolorosa stagione di Eltsin, regno della libertà individuale e della feroce economia di mercato. L’avvento di Putin aveva infine comportato la fine delle neonate forme di democrazia, la chiusura delle voci d’opposizione, il varo di una democrazia autoritaria all’interno e di una politica espansionistica all’estero, il recupero della grande narrazione sovietica e del mondo russo. A questa visione gli USA e gran parte del mondo occidentale sembrano determinati a sostituirne un’altra pur che sia. Se questo è l’obiettivo viene da chiedersi in quale modo s’intende conseguirlo. Anche qui ci sono novità. Ci troviamo infatti di fronte ad un’estensione significativa dei mezzi per conseguire la vittoria. Non si tratta più, come negli anni del reaganismo, di piegare Mosca imponendo costi insopportabili per un’eventuale guerra e neppure di incoraggiare e finanziare la sedizione interna, sia essa popolare o dell’oligarchia economico-mafiosa che sostiene oggi il regime. Entrambe queste linee di azione trovano un limite nella lentezza con cui potrebbero conseguire un risultato apprezzabile ecco perché accanto alle prime due linee se ne affianca ora una terza, quella di sconfiggere, se non addirittura di distruggere, l’esercito russo sul campo. L’idea ha senza dubbio qualche fondamento se è vero che nella storia di quello sterminato paese è innanzitutto la situazione militare sul terreno che condiziona il processo politico. E’ stato così nel 1917 quando il regime zarista è crollato innanzitutto a causa della sconfitta e della demoralizzazione dell’esercito così come sono state le infelici esperienze in Africa e soprattutto in Afghanistan a innescare la crisi dell’URSS. Una grave sconfitta in Ucraina otterrebbe lo stesso risultato? Non sappiamo se Putin abbia mai riflettuto su questo, né se la sua azione sia guidata anche da questa preoccupazione, fatto sta che le prossime settimane appaiono decisive per entrambi gli schieramenti. Come al solito; vedremo.