IL TULIPANO NERO

“Il tulipano nero volteggia su di me”, così cantavano trent’anni fa i soldati dell’armata rossa mandati a combattere in Afghanistan. “Ciòrnije Tulpan – Tulipano Nero” era infatti il soprannome che la truppa aveva appioppato agli Antonov che riportavano in Russia i cadaveri dei caduti. Oggi i “tulipani neri” sono i vagoni frigorifero abbandonati nelle stazioni di confine tra Ucraina e Russia. Meglio di molte analisi sono essi a descrivere la durezza di questa campagna militare che da ottanta giorni ha investito l’Ucraina. Investita, ma non travolta è la sintesi di un conflitto annunciato che oltre a Russia e Ucraina sta coinvolgendo gran parte del mondo occidentale. E già, perché non dobbiamo dimenticare che, sebbene la nostra innata mania di protagonismo ci porta a identificare il mondo con l’Occidente, potenze nucleari come Cina, India e Pakistan non sono andate oltre un tiepido invito alla Russia a moderarsi e che gran parte del pianeta intravede il conflitto in corso come a un lontano riverbero. A chi potrebbe essere funzionale una simile situazione? A chiunque ricavi forza dalla debolezza altrui come ad esempio dalla debolezza dell’Unione Europea che malgrado i proclami di tetragona unità sta già manifestando i limiti di un’unione economica ma non politica. Oggi si blatera di spesa militare e di una politica di difesa europea, ma senza ricordare che una politica di difesa è essenzialmente la difesa di una politica. C’è qualcuno oggi, da Lisbona a Budapest, capace di indicare una politica europea su un qualsiasi argomento? Se c’è, si faccia avanti e la spieghi senza la solita retorica.

Dunque la guerra indebolisce l’Europa, ma non solo. Neppure la Russia ne uscirà bene. L’Occidente ha sbattuto la porta in faccia a Mosca e prima che si possa di nuovo socchiudere ne passerà di tempo. E intanto? Una sterminata nazione che vive esportando materie prime non può permettersi di attendere che il clima a occidente si svelenisca quando a oriente la Cina è già pronta a mostrarsi assai più comprensiva degli Stati Uniti, per tacere dell’India. Da Roma a Berlino; da Parigi a Bruxelles possiamo davvero permetterci di confinare con un gigante economico-militare di quelle dimensioni? Anche qui chi ha una spiegazione convincente è pregato di farsi avanti. Tuttavia, che la Russia vinca o che perda quelle adombrate fin qui sono dinamiche già in atto, ma l’esito del confronto sul terreno ha comunque una grande importanza per determinarne la velocità di sviluppo. Ecco perché capire cosa in queste ore tra il Donbas e il Mar d’Azov è interessante. Per questa volta non parleremo né di tattiche né di progressi o cessioni di terren, soffermandoci più da vicino sui due contendenti e sulle dimensioni del ring. Partiamo da quest’ultimo per osservare come le operazioni si svolgono attualmente su 900 km di fronte, da Kharkiv a Mykolayev, una distanza superiore all’intero fronte francese nella prima guerra mondiale. Troppo lungo per garantire una necessaria concentrazione degli sforzi. Ma non solo. Si deve anche considerare che le risorse militari disponibili non si concentrano solo lungo la linea del fronte. La guerra infatti vive e si nutre dalle retrovie, tanto più ampie e profonde quanto più l’impegno dei combattenti è duro. Così non si può trascurare che la battaglia comprende in realtà l’intera Ucraina, anche la parte a ovest del Dnepr e poi la Bielorussia, la Russia nelle sue provincie di confine e infine il Mar Nero fino all’isola dei Serpenti. E’ in questo spazio allargato dove operano i piccoli reparti delle forze speciali o le forze aree e missilistiche ed è sempre in questo spazio dove si concentra la maggioranza della popolazione civile, almeno quella che non si è unita ai circa cinque milioni di sfollati che hanno deciso di fuggire ad occidente.

Per tornare comunque ai 900 chilometri di fronte è qui che troviamo 27 brigate ucraine. Si tratta di grandi unità composte da tre a cinque battaglioni, vale a dire dai 2 ai 3.000 uomini con carri armati, veicoli corazzati per il trasporto delle truppe, artiglierie, lanciarazzi e tutto l’armamentario che fa di quello ucraino uno degli eserciti meglio equipaggiato, addestrato ed efficiente d’Europa. Sorpresi? Certo l’immagine dei cittadini di Kiev che sbriciolavano polistirolo per fabbricare bottiglie molotov e dei tanti signor Giovanni che si addestravano con il fucilino di legno hanno intenerito il mondo intero. E’ però ora tempo di dirsi che quello ucraino è un esercito potente, ben prima che ricevesse gli aiuti occidentali di cui ancora si discute. Non dimentichiamoci infatti che per Kiev la guerra è iniziata otto anni fa, nel 2014, ed è iniziata malissimo. Le rivolte a Donetz e Lugansk avevano infatti evidenziato come Kiev disponesse di un sacco di soldati e di mezzi ma niente di più. Da allora, e certamente non solo per merito del solo governo ucraino, l’esercito del tridente ha cambiato e migliorato la logistica, gli equipaggiamenti, le armi ma soprattutto la dottrina, le procedure di combattimento, le apparecchiature per il comando e il controllo, etc. E’ questo l’esercito che le sta quasi suonando a Mosca e non basta. Alle brigate regolari si sono infatti affiancate quelle della Guardia nazionale/territoriale che ora sono schierate lungo la linea di contatto o nei centri abitati. Questa, che in gergo militare si definisce “forza di manovra”, è sostenuta dal fuoco di reggimenti o brigate di artiglieria. Insomma, un osso duro.

E dall’altra parte cosa troviamo? Delle armi sconosciute e terribili minacciate da Putin non c’è traccia. Per ora le divisioni e le brigate russe, sui 140 disponibili, allineano circa 95 gruppi tattici. Per chiarezza un gruppo tattico è un’unità costituita da mille, millecinquecento uomini che costituiscono un battaglione corazzato rinforzato – in altri termini carri armati e veicoli blindati –  e un gruppo di artiglieria, vale a dire una ventina di obici semoventi. A questi 95 vanno aggiunti altri due Corpi d’Armata reclutati nelle repubbliche separatiste che forniscono un’altra quindicina di gruppi tattici. A queste “forze di manovra” si affiancano i supporti vale a dire i reggimenti del genio, quelli che costruiscono strade e ponti, altre brigate di artiglieria dotate di obici semoventi, lanciarazzi e missili tattici e anche gli “spetsnaz” la cui “telnyashka”, la famosa maglietta a righe bianche e blu, è nota dai tempi dei film di Sylvester Stallone.

Questo esercito può infine beneficiare di 2-300 sortite di cacciabombardieri al giorno, missioni condotte sia per sostenere le unità a contatto, sia per colpire obiettivi in profondità come snodi ferroviari, ponti, officine di riparazione armi, depositi di munizioni o caserme di cui i telegiornali forniscono quotidiano censimento. A questo punto qualcuno potrebbe pensare che i russi dispongono di un esercito coi fiocchi e che quindi la lentezza dell’offensiva e l’inconcludente avanti e indietro siano dovute all’impreparazione o all’incapacità, o magari a entrambe. Forse sì, ma solo in minima parte. Quello che si percepisce è infatti che i russi sono troppo pochi per vincere e gli ucraini sono troppo pochi per ricacciarli oltre confine. Ai due non resta quindi che massacrarsi a vicenda lungo i 900 chilometri della linea di contatto. Le forze sono infatti sostanzialmente bilanciate su tutto il fronte con qualche piccolo distinguo. Negli abitati e attorno ai piccoli centri dove principalmente si concentra la lotta, la fanteria ucraina appare infatti superiore e più determinata dei russi che però compensano con una maggiore potenza di fuoco, in particolare di artiglieria. Entrambe le parti, ma soprattutto quella ucraina, hanno il vantaggio difensivo di posizioni molto ben organizzate, vale a dire trincee, ricoveri, campi minati etc. In queste condizioni è quindi difficile poter progredire e ottenere effetti strategici. In tale prospettiva generale vanno quindi interpretati i successi ucraini a nord, nei pressi di Kharkiv e quelli russi a sud, dalle parti di Severodonetzk. Nulla di decisivo se non per il “tulipano nero” che da oltre ottanta giorni volteggia là sopra. Come andrà a finire? Vedremo.