BOMBA O NON BOMBA ARRIVEREMO A…

Armiamoci e aspettiamo; qualcuno, prima o poi, ci attaccherà.

L’8 marzo 1978 usciva “Sotto il segno dei pesci” di Antonello Venditti. Otto giorni dopo, in via Fani, le Brigate Rosse avrebbero rapito Aldo Moro restituendolo dopo 55 giorni: cadavere. Noi intanto si cantava “Gianna” o “Figli delle Stelle” e alle feste ballavamo i Bee Gees, cercando di stringere forte la più carina della compagnia. Ovviamente senza fortuna.

L’improvviso amarcord mi è scaturito ascoltando le ultime dichiarazioni di EuroUrsula sull’improcrastinabile necessità che si corra tutti rapidamente al cannone.

Indossato l’elmo chiodato e impugnato il gladio l’EuroUrsula ha annunciato “Hannibal ad portas”. Su chi fosse mai Hannibal, a quale porte si annunciasse e soprattutto quando non c’è stato comunicato, ma pazienza. C’è voluto Macron per spiegarci che Annibale erano le incolte orde cosacche che a breve avrebbero abbeverato i loro cavalli alla Senna. L’ultimo a farlo era stato lo zar Alessandro I nel 1814, ma, si sa, certi traumi, per citare ancora Venditti – “fanno dei giri immensi e poi ritornano”.  Ma per tornare alla primavera del ’78, vi ricordate “bomba o non bomba”? In quella 2025, ascoltando l’EuroUrsula siamo di nuovo a:”… Manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto“. In attesa che Amazon ci consegni il nostro elmetto personale, tentiamo dunque una breve analisi.

Punto primo: cosa ha proposto l’EuroUrsula? La vigente vulgata da bar sport ripete che Leuropa (no, non è un errore) caccerà 800 miliardi di euro per comprare i cannoni. Punto. In realtà EuroUrsula – nella sua immensa magnanimità e nel tentativo di salvare la vita ai cavalli cosacchi che qualora davvero si abbeverassero alla Senna rischierebbero un’epatite fulminante – ha tenuto a specificare quanto segue: Gli stati de Leuropa che – bontà loro – decidessero di dare una svecchiata ai loro arsenali potrebbero farlo anche sforando i vincoli di bilancio imposti. Insomma, è possibile profanare il Sacro Graal dei Vincoli e se volete comprare missili e aerei a debito, ebbene, fatelo pure tranquilli. Vi rimarrà certo il debito che finanzierete come al solito aumentando le tasse alla gleba oppure reperendo soldi freschi sul mercato emettendo buoni del tesoro. D’altra parte, non si servono pasti gratis, ma almeno Leuropa non imporrà di pagare la sovrattassa prevista dalla legge a carico dei ritardatari.

Ma non è finita qui. Rimarrebbero un 150 miliarducci che andrebbero a finanziare programmi d’armamento paneuropei, ad esempio sistemi di difesa contraerea di un certo valore oppure qualche satellite per la sorveglianza, sistemi trasmissivi etc. E non basta ancora. Ci sono sempre i fondi di coesione. Certo, i fondi di coesione erano stati pensati per ridurre le distanze economiche e di benessere tra i vari paesi che compongono Leuropa, ma, d’altra parte, vuoi mettere? C’è Annibale alle porte e gli assetati cavalli di Putin stanno già galoppando.

Questo, dunque, il piano di EuroUrsula: autorizzare a sforare i vincoli di bilancio, finanziare programmi intereuropei e attingere ai fondi di coesione per quel che manca. A patto che tutto sia riconducibile alla funzione difesa&sicurezza.

Da qualche parte qualcuno ha timidamente fatto presente che sarebbe stato utile poter sforare anche per la sanità o per il rinnovamento tecnologico delle industrie o per infrastutture, ma…Nein!! I più svegli stanno comunque già pensando di passare una mano di grigio-verde sugli apparati per TAC, mettere sacchetti di sabbia davanti a pronto-soccorso e di montare una torretta sugli scuolabus che per l’occasione non saranno più gialli, e ovvio.

Il secondo elemento di riflessione riguarda i tempi del risveglio. Sarà stata forse la primavera ma fino a due mesi fa, con i russi sempre in offensiva su Petrowsk, Zelensky sempre in felpa simil-decathlon e EuroUrsula sempre in impeccabile messa-in-piega, nessuno sentiva l’esigenza pressante di far debiti per comprare armi. Certo, Leuropa ad ogni pié sospinto ripeteva il mantra “L’Ucraina trionferà, la Russia sarà sconfitta e saranno ripristinati i confini del 2014” , ma a parte, una consistente bonifico di miliardi a Kiev, la donazione di ogni ferraglia d’arsenale ancora giacente nelle quasi deserte armerie di casa e la liturgica ripetizione del Canto di Vittoria, la furia nibelungica del Vecchio Continente finiva qui.

Nel frattempo sono arrivati Donaldo e Elonio i quali, senza tanti giri di parole, c’hanno dato gli otto giorni. “o vi date una mossa e vi adeguate al programma, o sono affari vostri! Anzi, da oggi in poi saranno dazi vostri”. Questo il nient’affatto ermetico messaggio.

In quel momento i sogni di EuroUrsula, popolati di tappi verdi attaccati alle bottiglie e automobiline elettriche che nemmeno la polistil, s’è svegliata sudata e trafelata con un orribile dazio che l’osservava maligna dalla testiera del letto. Come tutti quelli che si svegliano d’improvviso s’è guardata intorno disorientata, sperando che qualcuno gli dicesse cosa pensare. E l’ha trovato. Ha riascoltato le parole di Donaldo e ha marzialmente ha risposto “Signorsi”.

Quel signorsì ha forse momentaneamente tranquillizzato Donaldo che non vedeva l’ora che la solerte EuroUrsula dirottasse una buona parte di quei fondi verso la già straripante industria bellica americana. D’altra parte, Donaldo l’aveva promesso: “Make America great aganìn” e chi se ne frega se dall’altra parte dell’oceano Leuropa poteva calzare un cappellino con scritto “Make Europe Poorer”.

Intendiamoci, dopo oltre trent’anni di missioni di pace, di peacekeeper, di pacchi viveri e di sorridenti soldati che regalavano mazzi di fiori c’era bisogno che qualcuno ricordasse che un esercito serve, sostanzialmente, per combattere e vincere una guerra. Per servire pasti caldi c’è la Caritas. Tuttavia, un simile mutamento di fronte avrebbe avuto bisogno di un’approfondita, dettagliata e soprattutto onesta analisi della minaccia da fronteggiare e con quale priorità. Abbiamo paura del terrorismo islamico? Dei pirati cibernetici? Dei migranti usati come armi? Dei cosacchi? Bene. Una volta stabilito qual è la minaccia comune – tenete a mente l’aggettivo – più pressante e più pericolosa si sarebbe dovuto stabilire che cosa fare, a chi farlo fare e in che tempi. Nulla di tutto questo. Stante all’idea di EuroUrsula ogni stato de Leuropa dovrà invece compilare la sua lettera a babbo natale scrivendo cosa desidera. Un portaerei? Un scatola di elicotteri? Un migliaio di carri armati? A quel punto dovrà cacciare i soldi e comprarli, a debito preferibilmente al negozio di Donaldo che ci ha chiesto proprio questo: comprate tante belle cose nuove e compratele da me.

Ad essere maliziosi viene poi un pensiero. È chiaro che presentarsi al proprio elettorato che sia italiano, francese, spagnolo o britannico spiegando che questo e quello non si potrà più fare perché s’ha da comprare la portaerei nuova non susciterà scene di delirante entusiasmo, tutt’altro. Una simile politica indebolirà qualsiasi classe politica dovrà bere l’amaro calice con il risultato che Leuropa – sommatoria di ogni debolezza nazionale – sarà ancora più debole e, se fosse possibile, insignificante.

Ma chi ci vuole male fino a questo punto? Semplice: Donaldo.

L’ha anche detto in ripetute occasione tacciandoci si approfittatori, sfaticati, truffatori etc. Quello che più infastidisce Donaldo e metà dell’America che lo segue non è però la ritrosia europea a spendere quanto il modello di vita europeo. Un modello dove la sanità pubblica esiste, la scuola pubblica esiste ed è tutto sommato buona, le università aperte a tutti sfornano ancora premi Nobel, dove la gente in pensione mediamente campa ancora decentemente. Insomma, l’Europa è un modello antagonista all’America e questo Donaldo non lo può tollerare. Soprattutto non può tollerarlo ora che s’è reso conto che l’onnipotenza del paese dei liberi e dei forti non è così onnipotente come credeva e che prima o poi dovrà fare i conti con gli altri stati-civiltà. Cina in prima battuta. Leuropa con i suoi 500 milioni di ricchi e vecchi abitanti, pieni di risparmi custoditi nelle banche e privi di una qualsivoglia guida politica potranno prima essere spolpati e quindi abbandonati al loro destino.

Torniamo per un attimo alla questione del riarmo perché non è certo finita qui. Come avvenuto per il Covid 19 la risposta europea è sempre la stessa: cacciamo i soldi e superiamo l’emergenza. Giusto, ma non sufficiente.

È vero che occorre comunque spendere, ma occorrerebbe altrettanto agire anche nella direzione dei cittadini che ora abitano Leuropa ponendogli una semplice domanda: “tu saresti disposto a farti ferire, amputare o morire per gli ideali de Leuropa? Saresti poi disposto a uccidere in nome e per conto de Leuropa”. Bella domanda. Provate a farla in una qualsiasi classe delle superiori e vedrete la risposta. Occorre infatti riflettere innanzi tutto su noi stessi, su cosa siamo davvero, sul nostro grado di coesione, su quale sia il sistema valoriale ammesso che ne abbiamo ancora uno. Teniamo conto 11,2 milioni di ragazzi residenti nell’Unione Europea soffrono di disturbi psichici e che nella fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni, circa l’8% soffre di ansia e il 4% di depressione. Dopo gli incidenti stradali, il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani e questo non lo dico io ma il rapporto dell’Unione Europea “ The State of Children in the European Union 2024”. Del fattore-uomo però non si parla, o per lo meno non se ne parla ancora.

Se poi guardiamo a cosa c’è rimasto in dispensa dopo trent’anni di peacekeeping, tagli alla difesa e giuste elargizioni all’Ucraina c’è davvero da spaventarsi. Consiglio la pallosissima lettura dell’accuratissimo rapporto del Kiel Institute tedesco sullo stato degli armamenti nell’UE. Scopriremo di avere una forza corazzata complessiva ridicola rispetto a quella russa, marine piccole ed efficienti ma ormai logore, un’aeronautica eccellente dal punto di vista tecnico ma piccola e uomini ormai vecchi. In Italia l’età media dei soldati è di 37,8 anni. Ed è la media. Su questa realtà Macron e Starmer vorrebbero costruire una forza di 100.000 uomini da spedire nella steppa ucraina. Perché non 200.000?

L’altro mantra che sembra ora pronto a sostituire quello sulla immancabile vittoria ucraina riguarda l’esercito comune europeo. Come l’araba fenice “che esiste ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Certo che non c’è e non ci potrà mai essere, almeno finché non ci sarà un governo comune, un parlamento comune, un corpo giuridico comune, un sistema sanitario comune, una tassazione comune, una politica estera comune. In altri termini uno Stato. Senza Stato, che sia federale, confederale, centralizzato, autonomo, sotto forma di regno o di teocrazia, non c’è esercito. Inutile parlarne ancora. Si potrebbe invece parlare e con maggiore realismo del rafforzamento del “pilastro europe della NATO”. Quella si che c’è e da quasi ottant’anni. Si obietterà che nella NATO Donaldo è il socio di maggioranza, ma davvero Leuropa pensa di avere ora o in futuro uno spazio autonomo e d’indipendenza rispetto al Ciuffo biondo che fa impazzire il mondo? Tanto vale far buon viso a cattivo gioco e intanto irrobustirsi utilizzando quello che già esiste – la struttura politico militare della NATO – e andare avanti.

Tante domande quindi, molte della quali non sono neppure state poste, preferendo porre l’orecchio al rombo degli zoccoli dei cosacchi che caracollano verso Parigi. A Roma direbbero: “Core de mamma, magna tranquillo!

LA PIU’ BELLA DEL REAME

Perché l’Europa sembra contare come il 2 di coppe quando la briscola è a denari.

Quello che sta venendo a galla con la presidenza Trump più che una modifica di una politica è l’esaurirsi di un lungo ciclo storico.

L’America sembra, infatti, aver smesso di vedersi come un impero e fatica sempre più a comportarsi come tale. Al contrario Trump con i suoi variopinti, multiformi e numerosi seguaci, si interpretano come Grande Nazione: la più grande del mondo, certo ma con i limiti che l’essere nazione e non più impero comportano.

Sotto lo sgualcito Boss of the Plain e con al fianco uno dei revolver di Samuel Colt, lo sguardo dell’America sembra rivolto di nuovo alle praterie e alle Montagne Rocciose. I tempi della costante espansione della bandiera a stelle e strisce verso l’esterno sembrano finiti così come il controllo militare, economico e valoriale verso l’esterno e l’assimilazione di quell’esterno a sé. Badate bene, non è che l’America si sia ritirata dalla competizione mondiale, tutt’altro, solo che vuole giocarsela senza avere la responsabilità e il peso delle decine e decine di clientes che in settant’anni ha racimolato in giro per il mondo.

È la fine di un ciclo politico-strategico che inizia ai tempi di Wilson[1], il presidente della prima guerra mondiale, e arriva fino a Biden, passando per Kennedy, Reagan, Bush – padre e figlio – e da ultimo Obama.

Quello di Trump è il ritorno alla “fortezza America” dei tempi del presidente McKinley; uno stato-continente che accoglie ma poi obbliga all’assimilazione nel modello protestante e anglosassone.

Alla luce di questa impronta culturale e quasi etnica le dichiarazioni del presidente Trump riguardo al Canada come possibile 51° stato dell’Unione o della Groenlandia come pertinenza territoriale statunitense sono meglio interpretabili. Il Canada è infatti un’estensione oltre il confine settentrionale della popolazione bianca e protestante degli USA; insomma i canadesi sono quanto di più simile ad un americano si possa trovare da quelle parti. La Groenlandia è invece assimilabile per il semplice fatto di essere disabitata.

Il Messico, così vicino e popoloso così come gli altri paesi dell’America latina, al contrario, non hanno alcuna attrattiva in quanto, appunto “latinos” e come tali non assimilabili al modello WASP. Peggio, i latinos sono potenziali portatori del batterio della sostituzione invece che dell’assimilazione.

Piazza San Pietro (Roma) Monumento ai migranti – Particolare. (foto P.Capitini)

Tra una chiamata alle armi di Macron, una video conferenza tra amici e una riunione di qualche comitato europeo, quello che si deve constatare è che le classi dirigenti europee che saltellano di fronte all’incurante sguardo del Donald sono figlie dell’America di Wilson in tutte le sue declinazioni e non capiscono per nulla questa che gli sta abbaiando addosso. Le élite europee sono spiazzate in quanto frutto della fase storica precedente, quella dell’America globale e imperiale. Quella di Clinton per intenderci.

Lumaca con bossolo al poligono di Candelo Masazza (Biella) – Foto P.Capitini

L’attuale amministrazione americana non ha dunque alcun interesse a mantenere i rapporti con questa classe dirigente europea che considera e percepisce come altro-da-sé. Al contrario, sta lavorando per favorire ogni movimento politico e sociale che riconduca il Vecchio Continente ad una narrativa più simile a quella americana.

Museo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle – Roma (foto P.Capitini)

Ecco dunque il sostegno aperto di Elonio – che caspita di nome – alla tedesca AfD, il rammarico per la mancata elezione del nuovo presidente rumeno, il sostegno aperto al governo italiano e al Front National di Marie Le Pen così come lo scioccante discorso di pochi giorni or sono del vice presidente Vance alla 61ª Conferenza di Monaco sulla sicurezza. In questo nuovo scenario l’amministrazione Trump intente relazionarsi all’Europa con un modello bilaterale dove, giocoforza, gli USA sarebbero sempre e comunque prevalenti e in aggiunta intende disporre di interlocutori europei, per così dire, trump-compatibili.

La fortezza America ha dunque preso coscienza del fallimento dell’idea globalista del secolo americano che ha sostenuto tutte le amministrazioni dalla caduta del muro di Berlino fino a poco tempo fa. In altri termini l’America si è resa conto di non aver forze a sufficienza per essere l’unica potenza mondiale e che, al contrario, questa iper-estensione, la stava portando al collasso economico prima che militare e politico.

Nel frattempo si è resa conto che la Cina da docile “fabbrica del mondo” era diventata se non ancora il nemico almeno il principale competitore e che la Russia, in qualche modo sopravvissuta al terrificante decennio eltisiniano, non solo non si era dissolta, ma dava anche segni di ripresa, reclamando a gran voce – sempre inascoltata – di voler rioccupare il posto che credeva le spettasse tra le grandi potenze planetarie.

Elicottero Super puma francese in volo sul Ciad (foto P.Capitini)

È bene al riguardo ricordare come dal 1999, quando Vladimiro salì al potere, la Federazione russa persegue con costanza tre linee strategiche. La prima è di restaurare e consolidare la sua influenza nell’ambito dello spazio ex-sovietico, includendo in questo non solo i giganteschi “stan” dell’Asia centrale o il turbolento Caucaso, ma anche quello occupato dagli stati dell’Europa orientale nel frattempo divenuti membri della NATO e della UE. Mi riferisco a quello che la buon anima di Gianfranco Funari indicava in litania ponendo l’accento sull’ultima sillaba: la Polonìa, l’Ungherìa, la Romanìa, la Bulgarìa e … via dicendo. La seconda linea vuole contenere l’espansione della NATO a oriente che da Mosca, a torto o a ragione, è percepita come una minaccia incombente e mortale non solo alla sicurezza dello stato, ma alla sua cultura e alla sua storia. La terza linea strategica vuole infine far tornare la Russia a giocare un ruolo rilevante non solo nel rapporto con gli USA, ma anche con i diversi poli che in questi 20 anni di ipertrofia statunitense si sono comunque sviluppati. Si parla certo di Cina e di India, ma anche di altri paesi dei BRICS e non ultima dell’Africa.

Sant’Oreste – Monte Soratte (Roma) Interno del Bunker Soratte (foto P.Capitini)

Se dunque gli Stati Uniti si scoprono Fortezza America delineando con chiarezza la loro zona di influenza esclusiva, come possono negare ad altri di volerne o mantenerne una loro? Peraltro dopo un’iniziale anarchia in cui Stati grandi o piccoli hanno sgambettato per ricavarsi un loro spazio indipendente sta emergendo chiaramente l’addensarsi di molti di essi attorno a poli ben precisi la cui massa di attrazione è rappresentata da quelli che possono essere definiti come “stati-civiltà”. Ecco quindi gli USA essere lo stato polarizzatore della civiltà occidentale; liberista, democratica, capitalista e individualista accanto ai quali si pone però lo stato-civiltà cinese o quello indiano senza trascurare potenze di seconda o terza fascia, come, ad esempio la Turchia o l’Iran.

Cesano – Scuola di Fanteria (Roma) Poligono in galleria (foto P.Capitini)

Cos’è dunque uno stato-civiltà? Sono gli stati possessori di una propria cultura, di un proprio modo di stare nel mondo e di definire con chiarezza e perseveranza il posto da essi occupato nel contesto mondiale. Sono quelli che possiedono una loro visione strategica, avendo una idea ben chiara del loro futuro o, se si preferisce, del loro destino. Sono soprattutto quelli che alla luce di tutto questo sono capaci di azione per modellare gli spazi del mondo adattandoli alla loro visione.

Obice 155 mm francese “Cesar” (foto P.Capitini)

In questa visione non è compresa l’Europa, né tantomeno l’Unione Europea, per il semplice fatto che essa non ha alcuna delle caratteristiche appena richiamate. Cosa diversa è e soprattutto è stata per gli Stati e le nazioni che la compongono. Si tratta però ormai di storia, anche gloriosa, che non ha più la vitalità indispensabile per poter agire nel contesto attuale. L’Europa in quanto tale non è infatti mai stata un soggetto politico cioè un’entità capace di individuare autonomi interessi, stabilire linee di azione strategiche proprie per perseguirli, individuare e reperire i mezzi necessari e infine attuarle.

Si dice che tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine. Quello europeo ha iniziato ad aggrovigliarsi la notte di natale del 1991 quando la bandiera con Falce e Martello venne ammainata per l’ultima volta dalle cupole del Cremlino.

Quell’atto aveva fatto calare il sipario su gran parte del ventesimo secolo. La rivoluzione del 1917, la vittoria sul nazismo, il primo uomo nello spazio, i Gulag, i carrarmati a Budapest e a Praga, il muro di Berlino, l´Afghanistan: tutto spazzato via. Anche l’importanza dell’Europa occidentale che per cinquant’anni era stato il frutto conteso tra USA e URSS. Per lei e per garantirsi la sua fedeltà l’America aveva avviato il piano Marshall, inviato una flotta permanente nel Mediterraneo, riempito i suoi territori con oltre 100.000 soldati e speso un’enorme quantità di denaro. Aveva anche fondato un’alleanza – la N.A.T.O. – il cui unico scopo era porre il continente europeo sotto l’ombrello atomico di Washington scoraggiando così Mosca dal compiere anche il più piccolo passo in avanti rispetto alle posizioni concordate a Yalta nel febbraio del 1945.

Secondo una definizione di quegli anni la NATO serviva dunque a tenere “Gli americani dentro, i tedeschi sotto e i russi fuori. E c’è riuscita. Non solo per merito suo ma soprattutto grazie a cinquant’anni di guerra cognitiva rivolta al vecchio continente affinché non solo abbandonasse la secolare abitudine di scatenare guerre al suo interno, ma che non avesse mai più la forza di accendere fuochi mondiali come era accaduto nel 1914 e poi nel ’39.

Point-du-Hoc , Normandia (Foto P.Capitini)

Visto dalla prospettiva del 2025 si deve dire che il compito è stato assolto. Non solo non sono più state combattute guerre in Europa occidentale, ma la stessa idea di combattere è stata espunta dalle coscienze dei sui quasi 500 milioni di abitanti che hanno preferito concentrarsi sull’essere una potenza economica piuttosto che politica e tanto meno militare. A questo avrebbero pensato gli Stati Uniti. Peccato che con la fine dell’URSS e dopo la presa di coscienza che la Federazione russa, sebbene le sue 4600 testate atomiche, non sarebbe più tornata ad essere l’Unione Sovietica di Stalin l’Europa è divenuta sempre meno importante negli equilibri mondiali e sempre più pericolosa nella competizione economico-finanziaria con gli Stati Uniti.

Carro Sherman a Saint-Marie-Eglise – Normandia (Foto P.Capitini)

Per concentrare la riflessione ai soli aspetti militari e di difesa, la N.A.T.O. dei tempi del Dottor Stranamore ha perso ogni significato e, dopo aver perso la partita di aggiramento della Federazione russa con la perdurante guerra in Ucraina, stenta a trovarne uno nuovo.

In molti ambienti americani si inizia a parlare di NATO-Silente, una sorta di Alleanza à-la-carte da attivare in caso di bisogno. Per il resto ognuno per sé e dio per tutti. L’inutile e improduttivo ruolo auto-assunto di guardiano del mondo a Washington è costato molto; troppo e Donaldo insieme a Elonio non intendono continuare a pagare il conto.

D’altra parte anche Obama aveva iniziato a spingere in tal senso se pur in modi decisamente più garbati e forse per questo inascoltati. Trump, con la sua delicatezza da buttafuori di locali di terz’ordine, ha annunciato di voler ridurre del 50% le spese militari americane e contemporaneamente presenta il conto a tutti i commensali. All’Ucraina con un accordo capestro sulle risorse del paese e facendo ingollare una immeritata resa dopo tre anni di guerra; all’Europa imponendo o minacciando dazi e ordinando – non più chiedendo garbatamente– l’aumento della spesa militare al 3 o al 5% del PIL, naturalmente rivolgendo questo flusso miliardario in euro all’industria militare americana.

Stretto dei Dardanelli (Turchia) (Foto P.Capitini)

Dietro questa sguaiata retorica si intravede però un disegno politico che neppure la rozzezza di Donaldo e le fantasie marziane di Elonio possono camuffare.

La prima linea strategica intende mantenere in mano americana la stessa capacità militare dei bei tempi della guerra fredda cedendo però al “pilastro europeo” l’intera responsabilità della difesa del suo continente e delle relative spese. È ovvio che Washington conserverà la leva dell’utilizzo, se necessario, del potere bellico dell’intera Alleanza, magari in Medio oriente o nell’Indo-pacifico, chissà.

La seconda linea è connessa alla prima. In un continente in crisi economica per gli effetti suicidi della politica energetica imposta dall’amministrazione Biden con il corollario delle sanzioni oggi arrivate al sedicesimo pacchetto; con l’industria europea che è quasi ferma anche a causa delle politiche all-green degli ultimi anni e con una classe politica ai minimi in termini di fiducia e capacità, l’aumento delle spese militari rappresenterebbe un potentissimo detonatore sociale a tutto favore di quei movimenti nazionalisti, sovranisti e conservatori così cari alla  nuova amministrazione a stelle e strisce. Insomma indebolire e impoverire l’Europa anche attraverso lo strumento della spesa militare per marginalizzarla definitivamente, concedendo a Washington mano libera nel tentativo di sedurre Mosca perché tradisca il suo matrimonio – in verità mai d’amore – con Pechino.  Vedremo come andrà a finire. Per ora ci sentiamo come la ragazza più bella della festa che invecchiando nessuno invita più a ballare.


[1] Thomas Woodrow Wilson (Staunton, 28 dicembre 1856 – Washington, 3 febbraio 1924) è stato un politico statunitense, 28º presidente degli Stati Uniti dal 1913 al 1921.

REDENTI SULLA VIA DI DAMASCO

CONVERTITI E RIPULITI.

A Khaled-Al-Assad avrebbe fatto sicuramente piacere sapere della svolta umanitaria e moderata di coloro che nell’agosto del 2015 a Palmira l’avevano ammazzato e poi decapitato di fronte al suo museo. La stessa compiaciuta soddisfazione siamo certi avrebbe riscaldato gli animi delle centinaia di persone decapitate, lapidate e persino bruciate vive dai barbuti jahidisti dello stato islamico.

Oggi in molti si affrettano a mettere in evidenza i distinguo e le eccezioni che in questi dieci anni crediamo abbiano contribuito a smacchiare dal sangue le bandiere nere dell’ISIS. Spariti dunque i tagliagole di un tempo e dimenticati gli assassini di gente inerme, è bastata una doccia, un salto dal barbiere e un cambio d’abito per trasformarli in ribelli e in miliziani anti-Assad e presto in eroici partigiani. Avere la memoria corta serve di certo a non portare rancore e a vivere l’oggi con tranquillità, ma in questo caso prepara un domani fosco per noi come per molta di quella gente che oggi manifesta per le strade delle città siriane giustamente felice per la fuga di un altro farabutto di prima classe. Qualcuno oggi, tra un brindisi e l’altro, farebbe bene a ricordare come fu lo stesso Osama Bin Laden buonanima a esortarli ad avere pazienza, ad attendere il momento propizio per portare il jahad all’interno dell’Occidente, il “nemico lontano” ora come allora, ancora troppo difficile da raggiungere.

Meglio quindi concentrarsi sul “nemico vicino” (entrambe le definizioni sono di Bin Laden) che per i barbuti ex-jahidisti coincide con qualsiasi forma di stato sia oggi presente nell’area. L’idea, per ora neppure bisbigliata, è di riportare in vita il califfato che questa volta dai monti dell’Afghanistan potrebbe arrivare fino al Mediterraneo, passando attraverso il Caucaso ex-sovietico e l’Iraq ormai balcanizzato. In questa fase è dunque meglio stare attenti a non irritare Turchia o Stati Uniti con dichiarazioni messianiche di prossimi califfati. I convertiti sulla via di Damasco non fanno che ripetere come Il mondo, cioè noi, non abbiamo nulla da temere dalla Siria. Verrebbe da aggiungere “per ora” ma se sei curdo o armeno non dovrai neppure aspettare tanto visto che i liberatori non hanno perso tempo nel dargli addosso.  Il primo a credere fino ad un certo punto all’improvvisa conversione è stato Israele il quale si è affrettato a disintegrare l’intero arsenale non più di Assad, ormai infreddolito ospite del Cremlino, ma dei nuovi liberatori. Come dire: ”prevenire è meglio che reprimere”. E di certo non sarà sfuggito a quanti ammiccano ai boia di ieri come il loro leader si sia affrettato a celebrare la fuga di Assad come un gran giorno non per la Siria, che davvero non vedeva l’ora di liberarsene, ma per la nazione islamica, vale a dire la “Hummah” dei Credenti senza distinguo di stato o di forma di governo, con buona pace di chi sogna una Siria integra e indipendente.  Lo stesso aveva fatto dalla moschea di Mossul   l’autoproclamato emiro Al Baghdadi, voce e capo dell’ISIS e che ora ci appare un Abu Mohammad al-Julani al quale è andata male. Prima di incoronare i nuovi padroni di Damasco faremo dunque bene ad usare una maggiore prudenza e a ricordare che un tempo avevamo chiamato eroici mujaheddin anti-sovietici quegli stessi talebani contro i quali avremmo combattuto dieci anni dopo.