AGGIORNAMENTO DI SITUAZIONE IN UCRAINA DAL 29 MAGGIO AL 6 GIUGNO 2022.

Figura 1. il saliente ucraino di Severodonetz dove si stadecidendo l’offensiva del Donbas.
  1. VALUTAZIONE

Prosegue in tutto il Donbas l’offensiva russa ed è indubbio che l’esercito ucraino si trovi in difficoltà. Finora Kiev non ha manifestato alcun cambiamento nelle tattiche di combattimento adottate durante tutta la campagna d’Ucraina, vale a dire resistenza a tempo indeterminato nei principali centri abitati e condotta di azioni di logoramento negli spazi intermedi. Le forze russe, che mantengono l’iniziativa in ogni settore, sembrano aver accettato questa tattica rispondendo con un massiccio e continuo impiego del fuoco di artiglieria, di missili e di appoggio aereo alle truppe di terra. Queste ultime, sia per motivi dottrinali, sia perché il loro esiguo numero rispetto alle esigenze della campagna vengono utilizzate con parsimonia dove le possibilità di successo appaiono maggiori. Analoga sorte non è invece riservata alle fanterie ucraine sottoposte in permanenza ad un intenso logoramento con il fuoco di artiglieria.

In questo quadro la determinazione russa a conseguire tutti gli obiettivi dell’offensiva non sembra aver subito alcuna flessione, costi quel che costi.

A tale riguardo, da più parti in occidente iniziano a trapelare le prime ammissioni di aver sottostimato o per lo meno non compreso a pieno le potenzialità e le caratteristiche dell’armata russa. La narrativa fin qui seguita dall’Occidente dipingeva un esercito russo mal equipaggiato, demotivato, corrotto, mal comandato e in generale non adeguato al compito. Con il passare dei giorni si deve constatare che questo giudizio – pur conservando alcuni e non pochi elementi di verità – è comunque viziato dalla visione della guerra e dei suoi costi che i paesi occidentali hanno rispetto a Mosca.

In sintesi l’armata russa, secondo la sua dottrina, il suo addestramento e non ultimo, le sue tradizioni persegue l’obiettivo a prescindere dai costi umani e materiali che ciò comporta. E’ una visione diametralmente opposta a quella occidentale portata a preservare le proprie forze, soprattutto la componente umana, a qualsiasi prezzo. Compreso questo e nell’ipotesi che l’Ucraina al momento non ha e non sembra poter avere in futuro la possibilità/capacità di rovesciare sul campo i rapporti di forza, riprendere l’iniziativa e condurre così una robusta controffensiva, si deve attendere un consolidamento delle conquiste territoriali russe in Donbas e la conclusione a Mosca favorevole dell’offensiva. Ciò potrebbe avvenire prima della fine di giugno con la definitiva conquista delle due province separatiste, la chiusura o la messa in sicurezza del saliente di SEVERODONETSK, la presa di possesso di una fascia litoranea di circa 70 -100 km da MARIUPOL a KHERSON e, naturalmente, il mantenimento della CRIMEA che, al di là delle dichiarazioni obbligate di Kiev, non sembra davvero essere mai stata messa in discussione.

Il raggiungimento di questi obiettivi completerebbe il secondo ciclo operativo, quello cioè successivo all’inziale attacco policentrico su KIEV, CHERNIV, KHARKIV, DONBASS e KHERSON con cui Mosca aveva iniziato le operazioni. Al termine dell’offensiva è lecito attendersi un periodo di ricondizionamento di almeno un mese durante il quale potrebbero essere condotte sporadiche azioni di combattimento, ma con il focus delle operazioni incentrato sul controllo del territorio e sul ricondizionamento di uomini, mezzi e materiali.

Vladymir Putin incontra a Sochi (Crimea) il Presidente dell’Unione Africana Macky Sall – 3 giugno 2022

Che ciò possa preludere ad un successivo, terzo ciclo operativo, non è da escludere ma al momento non si hanno elementi in tal senso. Qualora ciò avvenisse uno degli obiettivi possibili potrebbe essere ODESSA al fine di collegare i territori presi con l’attuale operazione alla provincia moldava della TRANSNISTRIA, occupata dai russi fin dal 1994. Un simile obiettivo imporrebbe comunque un sostanziale potenziamento dell’armata russa i cui segni al momento non sono visibili.

La durata della guerra non sta inoltre producendo effetti solo nella Federazione russa. Qui il consenso alla leadership di Putin appare ancora molto alto e la popolazione non sembra avvertire in modo significativo gli effetti delle sanzioni economiche. Al contrario il perdurare della guerra unito a un particolare e difficile periodo economico, sta iniziando a sollevare qualche malumore in Europa.  Contrariamente a quanto da alcuni auspicato all’inizio della campagna, la stessa durata delle ostilità inizia a indebolire anche il blocco occidentale. Oltre a ciò la situazione offre ad alcuni stati l’opportunità di percorrere una propria politica indipendente delle alleanze o delle coalizioni di appartenenza. E’ questo il caso ad esempio dell’Ungheria la cui ferma opposizione non ha permesso per giorni l’approvazione da parte dell’Unione Europea del sesto pacchetto di sanzioni (quelle riguardanti l’importazione di petrolio dalla Russia) o anche della Turchia, paese chiave dell’alleanza atlantica che continua ad opporsi all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO ma che contemporaneamente vuole giocare un ruolo decisivo sia nella incipiente crisi del grano sia nei possibili negoziati di pace.

Appare quindi ragionevole che, al di là della periodica proposizione di date da parte dei media occidantali – l’ultima dovrebbe essere prevista per il 15 luglio – la leadership russa non abbia interesse a risolvere l’offensiva in tempi brevi nella convinzione che una guerra lunga finirà presto o tardi a sfaldare il campo anti-russo e quindi prefigurerà una sorta di “vittoria strategica” del fronte antiglobalista di cui Putin si è fatto garante. La natura stessa dell’economia russa, l’innegabile capacità bellica e il fatto di essere comunque una potenza nucleare di prima fascia sembrano spingere in questa direzione. Peraltro il blocco del mercato dell’energia ha solo obbligato a reindirizzare i flussi energetici (gas e petrolio) verso altri mercati. Giova infatti ricordare che quello dell’energia da cui Mosca ricava gran parte delle sue entrate è un mercato “a somma zero”, in altri termini a fronte della chiusura ad occidente si apriranno presto altri mercati a oriente.

Nave porta rinfuse secche in navigazione

Anche la gestione della cosiddetta “crisi del grano” appare essere un’altra arma nelle mani di Putin. Attraverso di essa il leader russo può infatti premere sui regimi dell’Africa e del medio oriente alimentando la narrativa che sia proprio il blocco occidentale e non la Russia a impedire il rifornimento di grano a questi paesi e quindi ad affamarli. In tal senso è significativa la visita a Sochi (Crimea) del presidente dell’Unione Africana, il senegalese Macky Sall. Quella nell’Africa subsahariana come in quella settentrionale è infatti per la Russia una presenza costante, pervasiva e in continuo aumento, così come quella cinese.

Un corollario alla crisi del grano è dato dal minamento dei porti ucraini del Mar Nero e, in generale dalla sicurezza alla navigazione in quelle acque. Il Mar Nero è quel che si definisce un mare chiuso, una sorta di immenso lago salato vasto circa un sesto del Mediterraneo sul quale si affacciano Turchia, Bulgaria, Romania, Georgia e, naturalmente Ucraina e Russia. Le due sponde più lontane distano, da nord a sud, oltre 600 km e circa 1200 da est a ovest. Nel suo punto più profondo supera i 2000 metri. Questo mare ha un solo accesso, una doppia porta in mano da secoli prima all’Impero ottomano e quindi alla Turchia: lo stretto del Bosforo e quello dei Dardanelli. C’è anche un altro stretto sotto il controllo russo ben prima che Putin s’inventasse l’operazione militare speciale. E’ lo stretto di Kerch che lo collega all’appendice orientale del mar d’Azov, un mare vasto quanto Lazio, Umbria e Marche messe insieme e profondo meno di 10 metri. Il raccolto del 2021, l’anno precedente alla guerra, ha prodotto in Ucraina oltre 27 milioni di tonnellate di grano in grande parte destinate all’esportazione verso l’Africa e l’oriente. Per trasportarle sarebbero necessarie oltre un milione di TIR, oppure 150.000 treni merci ma solo 2000 navi.

un carico di granaglie in un porto russo.

Ecco quindi che il problema della guerra e della chiusura dei porti settentrionali diventa grave visto che in assenza di un soluzione a breve termine quei 27 milioni di tonnellate rischiano di rimanere a marcire nei silos di Odessa e della altre aree di stoccaggio ucraine. Senza quel grano una buona parte del mondo povero, che l’ONU stima in oltre 450 milioni di persone, rischia la fame più di quanto normalmente non debba subire è già basterebbe per allarmarsi.  E’ inoltre da ricordare che insieme all’Ucraina anche la Russia è un produttore di grano di livello mondiale. In particolare il raccolto russo 2021 ha prodotto circa 70 milioni di tonnellate. Si sa che in tema di fitofarmaci, pesticidi e concimi chimici, la Russia non guarda tanto per il sottile ma sono pur sempre 70 milioni di tonnellate, vale a dire altre 4000 navi. A questo punto l’operazione militare speciale tra le altre distruzioni  e tragedie ha prodotto anche la chiusura dei porti ucraini, la distruzione di buona parte delle loro infrastrutture e, per la Russia, una serie di infinite sanzioni economico-commerciali delle quali si fa fatica a tenere il conto. Il risultato è che oggi si hanno oltre 100 milioni di tonnellate di grano bloccate sulla sponda nord del Mar Nero e nemmeno una delle 6000 navi che servirebbero trasportarle per il momento disposta ad attraversare gli stretti per andare a caricare. La situazione di totale insicurezza delle acque del Mar Nero ha portato inoltre al forte innalzamento dei premi assicurativi. Aumenti che sono arrivati fino al 5% del valore della nave assicurata. In termini pratici una nave che avesse deciso di arrivare a Rostov-sul-Don, piccolo porto russo sul mar d’Azov, e rimanerci una settimana, dovrebbe oggi pagare un sovrapprezzo di oltre 300.000 dollari.

Mina antinave russa spiaggiata in Romania.

Siamo dunque al secondo dei problemi: le mine navali. Per chiarezza è bene fare un distinguo tra i campi minati navali posati a protezione dei porti e le mine alla deriva. I primi si concentrano principalmente di fronte a Odessa e a Mariupol e sono stati posati dagli ucraini. Per scoraggiare i tentativi di sbarco dal mare da parte della flotta del mar Nero. I russi dal canto loro negano di aver contro-minato gli stessi accessi. Per l’apertura di corridoi di navigazione ci vorrebbero si e no una ventina di giorni per liberarli delle mine ancorate. Al riguardo è quasi impossibile condurre una simile campagna di sminamento senza il concorso dei cacciamine turchi e quindi senza l’accordo con Erdogan. Nel mar Nero tuttavia sono alla deriva anche un numero imprecisato di mine anti-nave. Chi l’ha rilasciate? Come è ovvio gli ucraini accusano i russi e viceversa salvo poi entrambi sostenere che si tratta di ordigni che hanno fortuitamente rotto l’ormeggio. Tenuto conto di quando sono stati posati i campi minati, delle correnti e dei venti appare tuttavia un po’ strano che alcune di queste mine siano ora spiaggiate in Turchia, in Georgia o in Romania. L’ipotesi che siano state rilasciate alla deriva, non ha prove ma è un fatto probabile. Anche il problema delle mine risulta dunque ancora aperto.

In conclusione la situazione appare ancora estremamente fluida e così si potrebbe mantenere per gran parte dell’estate.

2. GENERALITA’

A 100 giorni dall’inizio della guerra il fronte del Donbass settentrionale sta prendendo la svolta di una battaglia decisiva che nelle prossime settimane assorbirà gli sforzi di entrambi i contendenti. Difficile fare una previsione nel tempo, ma non è azzardato pensare che i combattimenti si protrarranno per buona parte dell’estate a condizione che entrambe le parti avranno risorse sufficienti per sostenere nel tempo una tale intensità dei combattimenti.

In tale contesto generale merita ricordare l’avvicendamento del Generale Alexander Dvornikov che aveva assunto il comando del corpo di spedizione russo in Ucraina alla vigilia dell’offensiva sul Donbass. Sulle ragioni dell’avvicendamento nel mezzo dell’offensiva non si hanno informazioni certe.

Livello tattico

Per semplificazione possiamo immaginare l’area della battaglia divisa in due settori operativi, separati tra loro ma che si influenzano reciprocamente, vale a dire:

  • a ovest SLOVIANSK-KRAMATORSK
  • a est le città gemelle di SEVERODONETSK-LYSYCHANSK.

L’insieme dei due settori è assimilabile a un rettangolo di 50 km di profondità per 100 di ampiezza tagliato a metà dal fiume Siversk-Donetz. Le quattro città-obiettivo delle forze russe intercettano due grandi assi urbani che, con andamento nord-sud, uniscono le repubbliche separatiste di Donetz e Lugansk al resto dell’Ucraina[1].

Nel settore di SLOVIANSK, dopo che nei giorni scorsi sulla città e i suoi dintorni sembrava essersi concentrato lo sforzo principale russo, ora le unità della forza di invasione sembrano essersi ridotte in numero e aver conseguentemente ridotto anche l’intensità dei combattimenti.

La 201a divisione motorizzata, coadiuvata ad est dalla 90ª divisione corazzata, sta tutt’ora tentando l’accerchiamento della città di LYMAN. Qualora l’accerchiamento fosse completato sarebbe quasi obbligatorio per la 95ª brigata d’assalto aereo ucraina che attualmente difende LYMAN, ritirarsi verso SLOVIANSK.

È peraltro possibile che l’eventuale ritiro della citata 95ª brigata d’assalto aereo costringa anche la 57a brigata motorizzata a ripiegare dietro il fiume DONETS. A questo punto, queste due brigate con l’aggiunto della 81a brigata d’assalto aereo già dislocata a SLOVIANSK potrebbero avere buone possibilità di contenere l’attaccante appoggiando la difesa sulle alture a nord di SLOVIANSK.

Settore SEVERODONETSK – LYSYCHANSK– 

Qui la situazione è molto più critica per gli ucraini con le forze dell’esercito russo e il 2º Corpo d’Armata della Repubblica popolare di Lugansk a premere su tutti i lati.

Il problema principale per la difesa della città è di essere stata isolata dalla città gemella di LYSYCHANSK e quindi dal resto dell’Ucraina. L’unico collegamento tra le due città si limita ad un solo ponte ancora mantenuto intatto che attraversa il fiume DONETS. La città di SEVERODONETSK è tutt’ora sotto attacco su tre quarti della sua periferia da parte della 127a divisione di fanteria motorizzata rinforzata di un reggimento del Lugansk e del raggruppamento della Guardia nazionale cecena. Dal punto di vista numerico si tratterebbe di 6 o 7 gruppi tattici ai quali sono contrapposti due brigate della Guardia nazionale ucraina, una brigata territoriale e reparti del reggimento SLAVIC. Al riguardo da qualche giorno arriva un numero crescente di segnalazioni non ufficiali circa la presenza di questo reparto altrimenti detto “legione straniera”, unità formata in gran parte da volontari stranieri che combattono con l’esercito ucraino.

Obice semovente 2s7 “Pilon”, cal. 203 mm

A nord, per circa 40 km tra OZERNE e LYSYCHANSK, tre brigate ucraine – la 79a d’assalto aereo, la 128a di montagna e la 58a brigata motorizzata – mantengono ancora il possesso delle alture difendendosi contro la 90a divisione corazzata e quattro o cinque brigate russe in grado di emanare una decina scarsa di gruppi tattici oltre il fiume DONETS.

Se la zona nord, lungo il Donets è per ora piuttosto tranquilla dopo il grave fallimento del tentativo di attraversamento del fiume a BILOHORVIKA, numerosi combattimenti si svolgono invece sulla linea del fronte tra TOSHKIVKA, a 5 km a sud di LYSYCHANSK, fino a HORLIVKA. Quasi tutti i villaggi da Toshkivka a Soledar sono oggetto di attacchi russi e contrattacchi ucraini.

Dando per scontato il prosieguo dello sforzo offensivo russo, nelle prossime ore il comando ucraino si troverà a decidere se tentare un contrattacco di alleggerimento, ordinare la resistenza a oltranza in città oppure tentare il ripiegamento dei circa 6-8.000 combattenti residui di SEVERODONETSK verso LYSYCHANSK. Tuttavia, dopo la presa della cittadina di POPASNA avvenuta il 7 maggio scorso, è il destino dell’intero saliente a essere divenuto molto precario.In particolare, le stesse voci, danno la presenza consistente di volontari britannici, francesi e belgi che insieme ai volontari anti-russi della Georgia avrebbero dovuto attaccare nella zona industriale i ceceni di Kadyrov e poi avanzare verso la città. A partire da questa mattina, 3 giugno 2022, giungono notizie di pesanti combattimenti nel centro della città. Questa è chiaramente la battaglia più importante del momento. Se gli ucraini la perdono, l’asse T1302 che collega LYSYCHANSK a BAKHMUT (50 km a sud-ovest di LISYCHANSK) sarà minacciato e tutte le forze ucraine della zona rischieranno di essere circondate.

Con eccezione dei due settori già indicati nel resto del teatro d’operazioni la situazione appare ancora molto fluida. Da più parti si assiste a continui attacchi limitati, puntate offensive o contrattacchi locali condotti a livello di battaglione (5-700 uomini) o compagnia (100- 200 uomini). Gli obiettivi sono sempre limitati e si materializzano con la conquista di qualche chilometro, di una posizione favorevole per il tiro di artiglieria o di qualche villaggio trasformato in un caposaldo. Niente di tutto ciò prelude a un successo operativo. Più nel dettaglio i combattimenti si concentrano nelle zone di seguito indicate.

Regione di KHARKIV. Dopo il sostanziale fallimento del grande contrattacco ucraino dei giorni scorsi ora russi e ucraini si contendono il possesso delle piccole città e dei villaggi lungo il confine russo-ucraino. Il compito per i russi è mantenere il controllo della autostrada E105 che collega BELGOROD, grande base arretrata dell’operazione in territorio russo, alla città ucraina di KHARKIV distante appena 70 km. Di assoluta rilevanza per i russi è inoltre il controllo dell’asse logistico meridionale che collega BELGOROD a IZIUM, via VOLTCHANSK, e KUPIANSK.

Per i russi che operano in quest’area oltre che assicurare la disponibilità dei due assi stradali, si tratta anche di riportare le proprie unità a ridosso di KHARKIV (10 -15 km) per proseguire il bombardamento della città da parte delle artiglierie e di impedire altresì l’infiltrazione nella fascia confinaria, ma anche in territorio russo, di forze speciali e partigiane ucraine in grado di condurre sabotaggi e altre azioni di disturbo (osservazione terrestre, colpi di mano, imboscate, demolizioni…)

Nella fascia di terreno tra Kharkiv e il confine russo-ucraino operano diversi reggimenti e milizie delle province separatiste e 5-6 gruppi tattici russi, sostenuti da artiglieria schierata anche oltre il confine. Per parte ucraina sono state individuate la 72ª brigata meccanizzata, due brigate territoriali e una brigata della Guardia Nazionale.

Zona di IZIUM. La città e le sue adiacenze che nei mesi precedenti erano state fortemente coinvolte nei combattimenti, sembrerebbero vivere un momento di calma. Una spiegazione potrebbe essere che la maggior parte delle unità russe prima impiegate in quest’area sono state ridislocate a sud per alimentare lo sforzo su SEVERODONETSK. Voci non confermate riportano tuttavia che i reparti della 38a e della 64a brigata motorizzata “GUARDIE” hanno subito perdite consistenti nei combattimenti nei boschi che circondano IZIUM e per questo sono state ritirate dalla linea del fronte.

Zona di SLOVIANSK. Qui le forze russe continuano a premere intorno alla sacca di resistenza ucraina a nord della città. A ovest la 2ª Divisione motorizzata russa sta affrontando la 81ª Brigata d’assalto aereo dalla regione forestale di Dovenhke-Krasnopillya. Tale regione intercetta la autostrada M03 che collega IZIUM a SLOVIANSK e per questo l’eventuale caduta in mano russa taglierebbe ogni collegamento tattico-logistico tra le due.

A nord e a est, la 201a divisione motorizzata e la 90a divisione corazzata russe, a seguito della caduta di LYMAN riportata il 26 maggio scorso, hanno assunto il controllo dell’intera zona a nord del fiume DONETS. Il prossimo obiettivo russo potrebbe essere probabilmente Raihorodok oltre il DONETS e 2 km a nord-est di SLOVIANSK. Sarà presto difficile per le brigate ucraine – la 81a e la 57a motorizzata resistere a lungo nella sacca creatasi a nord di SLOVIANSK. 

Settore di ZAPORAJJIA. Questo settore è attualmente il più calmo. La densità delle forze contrapposte appare insufficiente per l’avvio di operazioni significative e le attività di combattimento si limitano ad azioni minori a livello di compagnia e a duelli di artiglieria. I russi sembrano concentrarsi nell’organizzazione della difesa della zona occupata, probabilmente in previsione di un’offensiva ucraina in quel settore.

Nel settore di KHERSON, l’80ª brigata d’assalto aereo e diverse milizie ucraine si sono impadronite di DAVYDIV BRID, un importante nodo stradale a est del fiume Inhulets indispensabile per il rifornimento delle due brigate russe a nord della tascabile

Più a sud, tra Kherson e Davydiv Brid la 14ª brigata meccanizzata ha attaccato anche Snihourivka, forse per respingere la 34ª brigata russa. Le città di Kherson e Mykolayev sono tuttavia ancora saldamente in mano russa la prima e ucraina la seconda.

La zona di MYKOLAIV e la città stessa, da circa 5-6 giorni, sono sotto il costante bombardamento da parte dell’artiglieria pesante campale russa equipaggiata con semoventi 2S7 Pion/ Malka da 203 mm.

3. FOCUS SUGLI ESERCITI RUSSO E UCRAINO

Gli eserciti russo e ucraino si sono notevolmente ridotti in volume rispetto al 1991, ma hanno avuto la saggezza di conservare i armi, mezzi da combattimento e materiali. I volumi e la qualità della componente umana dei loro eserciti è crollata rapidamente dalla caduta dell’universo sovietico fin al primo decennio degli anni 2000 e in particolare in Russia a partire dal 2008 a seguito delle guerre cecene e in Georgia e, per quanto riguarda l’Ucraina dopo il fallimento della guerra separatista in Donbas del 2014.

L’esercito russo impegnato in Ucraina nel febbraio 2022 assomiglia molto in volume, attrezzature e metodi al Gruppo di Forze Sovietiche in Germania (GFSA). Tuttavia rispetto agli ultimi anni della guerra fredda ci sono alcune, significative differenze.  La prima che il GFSA era la punta di diamante dell’insieme molto più imponente dell’Armata Rossa mentre oggi il «Gruppo di Forze Russe in Ucraina» (GFRU) dispone di nove armate più le due delle repubbliche separatiste del Donbass. Ciascuno di queste armate è tuttavia più piccola di quelle del 1989. Si tratta di 15-20.000 uomini ciascuno, l’equivalente di una sola grande divisione o corpo corazzato del 1945, e soprattutto costituiscono tutta la lancia mentre la GFSA era solo la punta.

Veicolo trasporto truppa e combattimento BTR russo in operazioni in Ucraina

Un’altra differenza era che l’esercito sovietico era meglio organizzato. Le unità di manovra del GFRU sono le brigate autonome o i reggimenti delle divisioni blindate e motorizzate. Tuttavia anche dopo aver deciso per la sostanziale professionalizzazione del loro esercito, i russi non hanno mai avuto abbastanza volontari per coprire tutte le posizioni negli organici trovandosi così costretti a mantenere numerosi incarichi e reparti con i coscritti della leva che però non possono essere impiegati fuori dai confini della Federazione russa a meno che non venga dichiarata la guerra. Per volontà dello stesso Putin non è il caso dell’Ucraina dove la guerra è stata edulcorata in una definizione quasi di polizia: operazione militare speciale. L’operazione di cosmesi ha però prodotto effetti pratici. Ogni brigata o reggimento impiegato in Ucraina è stato obbligato a riorganizzarsi dopo aver subito una riduzione tra il 20 e il 40% degli effettivi, quelli assegnati ai coscritti della leva. Concretamente, si chiedeva alla forza di invasione di costituire gruppi tattici[2].  Nel febbraio 2022 se ne contavano 128.

L’esercito ucraino è invece leggermente diverso sebbene in larga parte comparabile con quello russo.  A livello organico è formato da 38 brigate di diverse tipologie (corazzate, meccanizzate, motorizzate, da montagna, da assalto aereo e aviotrasportate). A seconda della loro tipologia i battaglioni che compongono queste brigate contano da 300 a 400 uomini. L’artiglieria ucraina è molto meno voluminosa di quella dell’esercito russo. I veicoli sono gli stessi dei russi, le compagnie ucraine, per quanto ne sappiamo hanno senza dubbio le stesse caratteristiche.

A differenza dei russi, tuttavia, questi battaglioni di manovra sono più amalgamati e coesi non avendo subito la perdita della componente di leva come è accaduto per quelli russi. Uno sforzo considerevole è stato fatto anche con l’aiuto dei paesi anglosassoni per costituire un corpo di sottufficiali più solido di quello russo e stabilire metodi di comando diversi, meno incentrati sull’applicazione rigorosa di ordini e di schemi e più sul funzionamento decentrato per missioni. Con un forte sforzo di formazione dei riservisti, inviati sistematicamente sul fronte del Donbass, e molti più quadri che hanno partecipato ai combattimenti del 2014-2015. Sottufficiali migliori e più preparati e comandanti con esperienza diretta di combattimento hanno fatto inizialmente la differenza con le unità russe senza dimenticare l’innegabile motivazione a combattere da parte ucraina.

L’esercito ucraino di manovra può inoltre contare anche su una rete di diverse decine di brigate dell’esercito territoriale, della Guardia nazionale del ministero dell’Interno, tra cui la quarta brigata di reazione rapida (corazzata) e di un certo numero di milizie (Azov, DUK, Donbass, ecc.). Un insieme eterogeneo di battaglioni di fanteria leggera, di valore molto diseguale, capaci però di completare l’azione delle unità di manovra più pesanti e di mantenere la difesa di zone abitate.

Le forze ucraine sono organizzate da comandamenti regionali e impiegate secondo una tattica che deve essere necessariamente difensiva. Memori delle esperienze patite nella prima parte della guerra del Donbass (2014 -2015) gli ucraini sono riluttanti ad accettare il combattimento in terreno aperto, temendo infatti la maggiore potenza del fuoco russo e i loro elicotteri d’attacco e preferiscono combattere nei terreni fortemente urbanizzati, fortificati, nelle foreste e soprattutto nei centri urbani.


[1] NOTE. Si tratta della strada statale T1302 che da Severodonetsk e Lysychansk va verso sud – ovest e della autostrada P66.

[2] Un gruppo tattico è formato da 700 a 900 uomini. È di fatto la riunione sotto un unico comando di un battaglione di manovra (carri e fanteria) e di un gruppo di artiglieria (semovente o a traino meccanico), oltre a reparti di supporto (genio, trasmissioni, logistica…). Un gruppo tattico è in grado di eseguire in modo autonomo atti tattici della battaglia, sia offensivi che difensivi. Un gruppo tattico può ricevere rinforzi di forze e di fuoco dal livello superiore per l’assolvimento di particolari compiti. Il battaglione di manovra che funge da base a un gruppo tattico comprende generalmente una o due compagnie di carri, due o tre compagnie di fanteria motorizzata su veicoli della gamma BMP (cingolati) o BTR (a ruote) e una compagnia con 4 o 5 veicoli anticarro. Il design dei veicoli e l’organizzazione delle unità sono stati progettati in epoca sovietica per combinare una buona capacità di superare ogni resistenza incontrata e la velocità operativa, cioè la possibilità di avanzare da 10 a 20 km/giorno all’interno del territorio nemico.

I carri da battaglia ex-sovietici sono più leggeri di una ventina di tonnellate rispetto agli equivalenti occidentali. La vita all’interno di un T-72 o di un T-80 è quindi difficile e molto pericolosa con i proiettili posizionati direttamente sotto i piedi del tiratore e del capocarro. I veicoli da combattimento di fanteria BMP 2 o 3 così come i BTR 82 non sono migliori in termini di ergonomia. Anche a causa delle piccole dimensioni dei motori e del limitato numero di veicoli di supporto, peraltro non protetti, il gruppo tattico non ha molta autonomia logistica.

Caterina Bonvicini – L’EQUILIBRIO DEGLI SQUALI

“L’equilibrio degli squali” è il racconto suggerito da Irene. Protagonista è una donna che vive a Torino e ripercorre parte della sua vita e delle sue scelte attraverso i ricordi di un padre amato e assente e di una madre suicidatasi anni prima. Perché è vero che gli squali sono creature fragili come gli uomini che hanno vita solo nel movimento.

Caterina Bonvicini – L’EQUILIBRIO DEGLI SQUALI – Garzanti (e Mondadori nella collana Oscar)

Emmanuele Carrére – LIMONOV

Il titolo è stato suggerito da Rosa, una di quegli angeli del soccorso ai quali durante il Covid volevamo erigere un monumento e che ho avuto la fortuna di conoscere durante il terremoto di Haiti di dodici anni fa.

Il libro di Carrére è dedicato ad un personaggio che se non fosse già russo sarebbe stato benissimo nella galleria umana di Jack London. Limonov infatti non è un personaggio inventato. Esiste davvero: «è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio» si legge nelle prime pagine di questo libro. E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato «che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale».

Emmanuele Carrére – LIMONOV – edizioni ADELPHI