PURCHE’ SI POSSA PIANGERE.

Karl Popper le chiamava “verità infalsificabili”. Cose tipo “viva la mamma”;” la terra ruota attorno al sole” o “la juve ruba gli scudetti”. Immaginate quindi quale grande sorpresa nello scoprire che il comitato organizzatore delle manifestazioni di due giorni fa per dire no ai femminicidi s’era letto Popper.

Già perché gridare ai quattro venti che non si devono uccidere le donne in quanto donne rientra giusta, giusta tra le verità non falsificabili tanto care al filosofo austro-britannico. Chi oserebbe mai dire il contrario? A ben guardare non si dovrebbe ammazzare nessuno in forza del suo essere qualcosa: uomo, vecchio, ricco o povero che sia, ma si sa, i morti, come i vivi, non sono tutti uguali.

Adesso è il momento del femminicidio, del patriarcato, della dominanza maschile e del vergognatevi tutti d’essere nati uomini. Alcuni di noi, forse i più sensibili o i più cretini si sono lasciati prendere la mano sbandierando la loro profonda vergogna d’essere uomini, ma si sa, c’è sempre qualcuno più realista del re e anche stavolta la regola non ha avuto eccezioni. Molti continueranno invece a vergognarsi di cose più banali come mentire alla moglie, rubare al supermercato, parlare in pubblico, parcheggiare nei posti per disabili e simili meschinerie. Alcuni neppure di questo.

Una qualche imbarazzata vergogna mi viene invece guardando all’illuminata sinistra progressista la quale non prova invece vergogna alcuna a cavalcare tragedie che di sociale poco hanno e di personale quasi tutto. Famiglie disadattate, ragazzi privi di qualsiasi guida, menti fragili che nessuno ha mai osservato con un minimo di curiosità e di affetto, prima che dagli occhi dello Stato sono stati ignorati da quelli di padri e madri, di fratelli e sorelle, di amici e amiche. Ora la politica con la “p” minuscola si finge interessata al fenomeno, preannunciando interventi in parlamento, nuove leggi e disposizioni più stringenti. Il tutto a mascherare una verità più banale e cruda, quella che alla società civile e soprattutto a quella incivile della politica, di questa politica, non importa nulla. Non se ne avverte la presenza, figurarsi la rilevanza. Ecco, quindi che per sentirsi viva e soprattutto per farsi sentire in un deserto di indifferenza, come pulci su un cane, la politica inizia a mordicchiare, con il solo risultato di far innervosire il cane.

Per dimostrare d’esistere le seconde e le terze linee dei partiti sono saltate con uno scatto dalla tragedia dei femminicidi all’elogio patriottardo della vittoria della Coppa Davis e sul mondiale in moto GP di Checco Bagnaia. Poveracci, deve essere una vita d’inferno la loro. Prima tutti giù a piangere sulle tragedie del mare, sull’accoglienza al migrante e sull’Europa cinica e bara che ci risponde “Ik geef niets om je immigranten “qualcosa che in olandese suona come “me ne frego dei vostri immigrati”. Poi a piangere sull’Ucraina che, poveretta, ci chiedeva un paio di cannoni per difendersi e alla quale l’illuminata sinistra suggeriva una stoica, virile e indignata resa. Poi si è pianto sugli ebrei ammazzati il 7 ottobre, almeno fino a quando non si è deciso di piangere meglio e di più sui palestinesi ammazzati il 10 e infine arriva anche un cretinetti qualsiasi di 22 anni di una così buona famiglia da riuscire ad accoltellare la sua ex-ragazza, buttarla in un dirupo e fuggire poi in Germania che si sa, accoglie simili idioti a braccia aperte. Dopo tanto convulso lacrimare finalmente Sinner &Co vincono la Coppa Davis. Cazzo, ogni tanto una buona notizia !

Asciugate le lacrime, riposte le chiavi e i fiocchi rossi per questa sinistra al kleenex, dall’esausto sacco lacrimale, è stato tutto un gonfiarsi di italici petti e di parole di paterno apprezzamento per la squadra di tennis trionfante dopo ben 47 anni. Come se da quasi mezzo secolo, ogni mattina in parlamento le sedute si fossero aperte ricordando come fossero già passati dieci, venti o trent’anni dall’ultima vittoria in coppa Davis. Una cosa del tipo “l’anno prossimo a Gerusalemme”.

Questo infaticabile sport di inseguimento all’emergenza di turno, alla sfiga nazionale o planetaria è un po’ patrimonio trasversale di quasi tutta la nostra classe digerente, ma esistono comunque dei campioni. Come per i keniani vivere sugli altopiani e avere una scuola a 30 chilometri dal villaggio li ha selezionati naturalmente per i 42 km e 195 metri, così per la sinistra vivere lontana da operai, contadini, studenti e da tutta quella società degli ultimi che komunisten und sozialisten avevano promesso di difendere li avrà allenati al piagnisteo professionistico.  

Lei è mai stata comunista?” chiese un incauto cronista alla neo segretaria PD Elly Schlein “ Sono nata nel 1984 e non ho fatto in tempo ad aderire al comunismo”. Fantastica risposta, come se io che sono nato nel 1961, dicessi che non sono cristiano perché appunto nato 1961 anni dopo di Cristo. Per non parlare di quelli che nati dopo la morte di Luigi Einaudi che non possono certo dirsi liberali.

A questa gente sono dunque affidati i destini del paese il che ci rimanda alle verità infalsificabili di Popper tra le quali ne emerge una su tutte: quella di essere davvero nei guai.

Scoprirsi Patriarca una mattina al bar.

considerazioni su una vicenda tragica che rischia il ridicolo

Il grande frigo dei gelati se ne stava in fondo al bar. Vuoto. Sebbene recalcitrante, l’autunno 2023 sembrava ormai essersi persuaso ad iniziare le consuete umide noie preannunciandole con una pioggerellina insignificante che a Roma chiamano “gnagnarella”.

Sul vetro del frigo un tempo trasparente e ora opaco di impronte e gocce di caffè stavano spiegazzati tre quotidiani: il Corriere dello Sport che parlava di Sinner, il Corriere di Viterbo che beatificava Jonny Deep avvistato al quartiere di San Pellegrino e il Corriere della Sera che raccontava del 103° femminicidio dall’inizio dell’anno. Non capendo nulla di tennis e felice che addirittura Martin Scorzese fosse stato ammaliato della fossile bellezza del nero tufo di Viterbo ho ripiegato sul giornalone. Di Giulia Cecchettin sapevo ormai tutto, anzi troppo. Che era neolaureata in ingegneria biomedica a Padova; che era si era lasciata con il suo ragazzo, tale Filippo, ma che erano rimasti amici; che poi quel bravo ragazzo del quale era rimasta amica l’aveva picchiata, rapita, accoltellata e infine buttata via dalle parti del lago di Barcis.

Di altri particolari non avevo bisogno; così, passando sopra al moto di leggero disgusto che sempre mi provocano notizie come queste, ho cercato qualche cosa di diverso. E l’ho trovato. Era la lettera aperta di Elena, la sorella di Giulia. Morta.

Inizio a leggere, tanto il caffè troppo caldo non mi è mai piaciuto. « I mostri sono i figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro» vado avanti e trovo «…nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto » proseguo fino a quando leggo che il femminicidio è un omicidio di stato.

A quel punto non trattengo un sorriso di nostalgia. Sono nato agli inizi degli anni ’60 quando circolavano quasi solo FIAT 500 e qualche 600 Special. La Fiat 1100 e la Lancia Fulvia erano macchine per signori e i signori erano il medico, l’avvocato e il padrone del calzaturificio sull’Adriatica. Al notaio spettava la Giulia 1300, come alla polizia. Negli anni successivi sarebbe saltata in aria la Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano (17 morti e 88 feriti), poi piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 102 feriti) e poi ancora tante altre. Per molti di quei morti si parlava allora di omicidio di stato. Leggere oggi lo stesso termine mi aveva indotto un po’ di nostalgia per un tempo in cui credevamo di avere idee e valori per cui valesse la pena combattere. Ci avrebbero pensato Berlusconi, le sculettanti tettone di Drive In e lo smartphone a farci capire che ci sbagliavamo di grosso e che l’unico valore da difendere era quello del conto in banca. Alle idee, ammesso che davvero ce ne servisse una, ci avrebbe pensato un influencer tatuato come un baleniere della ciurma del Capitano Achab.

Quanta fatica sprecata a litigare fino alla faringite con Barbara, capa del collettivo femminista o a discutere se si potesse davvero stare né con lo Stato, né con le Brigate Rosse. Dilemma lacerante per me, figlio di poliziotto al quale lo Stato pagava lo stipendio che mi permetteva di frequentare un liceo dove si discuteva della legittimità di sparargli addosso. “se vedi un punto nero, spara a vista. O è un Carabiniere o è un Fascista” gridavano in tanti dai cortei rischiarati dal Sol dell’Avvenire. Per fortuna papà vestiva di blu con i pantaloni a sbuffo color carta zucchero con doppia banda cremisi della Polstrada. Non si poteva scambiarlo con un carabiniere e credo neppure con un fascista.

Adesso Elena, sorella di Giulia, la Morta, ritirava fuori l’omicidio di stato per quello che aveva fatto l’ex ragazzo della sorella. Non mi riusciva di definirlo uomo e non perché il crimine commesso fosse stato così esecrabile da non poter definire ancora uomo colui che lo aveva commesso. No, per carità. Si era già visto di peggio. Non potevo chiamarlo uomo perché a parte qualche rara eccezione si è fatto di tutto per non diventare uomini, così come per non diventare donne. Ma se non si diventa uomini e donne, non si può certo diventare mariti e mogli e quindi neppure padri e madri. Figurarsi nonno e nonna. Dai tempi degli omicidi di stato, quelli veri, si è pian piano preferito virare verso una finta e leopardata giovinezza, mimetizzata dal botox, ristretta dalle liposuzioni o dalla virilità al cialis. Ragazzi per sempre, uomini mai.

Poi capita che ogni tanto uno di questi ragazzi condannati a essere forever young sbrocca e ammazza oppure si ammazza e giù tutti a piangere mentre lo Stato, come sbertucciava De Andrè, si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità. A me hanno insegnato che un omicidio è un omicidio con buona pace se la vittima è uomo, donna, vecchio, giovane, ricco o povero. E invece adesso accanto all’omicidio, reato odioso persino a Dio che insegue Caino chiedendogli dove fosse suo fratello Abele, c’è il femminicidio. Da sostantivo s’è passati all’aggettivo. Mi aspetto il brutticidio, il ricchicidio, lo scemocidio mentre per parricidio e infanticidio mi sembra che siamo già a buon punto. Ecco allora che si deve intervenire per fermare i femminicidi mentre per gli altri delitti di sangue fate un po’ come vi pare. Prendete a sprangate in testa un vecchio, investite un impiegato sulle strisce, buttate pure dalla finestra un neonato a condizione che siano tutti maschi.

Guardo la foto di quel disgraziato che ha ammazzato Giulia. E’ giovane e mi viene in mente che in fondo la gioventù, se ricordo la mia, è un’età di merda. A parte il fatto che non ti duole praticamente nulla, che puoi mangiare un vitello e poi andare a giocare a pallone, che se dormi due ore poi sei fresco come una rosa…a parte quello che la natura ha previsto che tu sia, il resto non è un gran che. Vorresti fare cose da grandi, ma le cose da grandi non sai quali sono; non hai soldi e hai un sacco di tempo per pensare al fatto che non hai soldi. Immagini, speri, ipotizzi sul domani e intanto oggi dormi fino alle undici. E poi ti innamori. A quell’età disgraziata l’amore è come il Covid; si racconta di casi letali ma nessuno cerca di salvarsi, anzi. Ci si ammala felici, si soffre felici e si ride felici e quando l’amore finisce si soffre e basta. Penso sia il sistema che la natura ha escogitato per farci sentire che in fondo in fondo abbiamo un’anima. Poi questa età disgraziata finisce e si diventa adulti, più che altro trovi un lavoro, ti danno uno stipendio e forse ti concedono un mutuo.

Il feroce assassino di Giulia, la Morta, non arriverà a questa fase. Rimarrà in galera come è giusto e sacrocanto che sia. Ma qui arriva l’accusa che Elena, la sorella di Giulia la Morta fa a tutti noi uomini, anzi, a noi maschi. È colpa vostra se l’ex-ragazzo di mia sorella l’ha uccisa. Siete voi che avete creato una società maschilista, patriarcale, sessista e misogina che non ha insegnato al ragazzo di mia sorella, lo stesso che io conoscevo benissimo, che veniva a casa quasi tutti i pomeriggi, quello con cui andavo in discoteca…si, quello là, proprio lui, non gli avete insegnato a rispettare mia sorella.

Distolgo lo sguardo dal giornale, mi giro e incontro gli occhi di Pino, il barista, marito e padre di due figli. Chissà se lo sa di essere complice di un assassino. Non glielo chiedo. E visto che non posso chiederlo a lui e neppure a Nando, contadino che si lavora un poderetto lungo la strada degli orti che porta a Ronciglione, Nando che nel frattempo è entrato maledicendo il tempo e i reumatismi, allora lo chiedo a me. Ti senti un complice per omissione di un assassino? Sei parte di una società patriarcale neppure fossimo a Papua Nuova Guinea o in un clan scozzese ai tempi di Guglielmo il plantageneto? No. Non mi sento colpevole e neppure responsabile e non mi piace che si spinga per farmici sentire. Io mi ritengo un uomo, uno come tanti, con scelte di cui andar fiero e molte altre di cui dispiacermi, ma sono responsabile di quel che faccio e dico, non di quel che dice o fa qualcun altro.

Non sono perciò responsabile del dolore che oggi Elena, la sorella di Giulia, la Morta è costretta a sopportare. Non sono responsabile delle decisioni del suo ex-ragazzo. Lei e lui e le loro disgraziate famiglie non possono scappare da questo peso, non c’è strada, non c’è aiuto; non c’è comprensione. Disgraziato vuol dire colui che non ha più grazia, che non ha equilibrio e forza.

Arriverà il momento in cui anche il loro dolore ritroverà la sua grazia, cioè la sua forza perché il dolore, come la gioia, è una pietra che ciascuno è chiamato a portare da solo. Con grazia.

Zona a Traffico Lesinato – Prima parte.

Green non è più un colore, ma una minaccia. D’altra parte ce ne accorgiamo quando diventiamo “verdi di invidia” perché “l’erba del vicino era sempre più verde” oppure quando si teme di “rimanere al verde”. Il verde è associato all’essere pallido, esangue, come il volto di un ammalato oppure di una persona anziana. Tutte brutte cose. Anche gli anni verdi, in un paese come il nostro con un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, la definizione è associata più a una R S A per vecchi non autosufficienti che ai migliori anni della nostra vita come cantava Renato Zero nel 1994, profetizzando che nessuna notte sarebbe stata infinita.

Falconara M.ma (AN) – Via Flaminia (Foto P.Capitini)

Ma anche se la nostra notte non sarà infinita, quel che appare interminabile è invece questo crepuscolo dai toni del verde-gorgonzola dove ogni sopruso, ogni idea bislacca e ogni privazione di diritti ci viene servita in salsa green.

La guacamole dei talebani alla clorofilla ha iniziato a sommergere le nostre città intrappolate nelle Zone a Traffico Lesinato. Per carità, scorrazzare dentro e fuori da periferie in stile sovietico con una Panda Euro 2 non crea problemi all’ambiente; come non genera alcun turbamento il rimanere incagliati per ore nel Grande Parcheggio Anulare o nelle congruenti Tangenziali delle altre città, alterne interne o esterne come nei problemi della geometria euclidea. L’importante è che le Zone a Traffico Lesinato preservino il centro storico dall’invasione ciabattante del popolo, quello che aspettava la domenica per andare a vedere i negozi del centro o farsi due passi per il corso.

Roma, nei pressi del Centro Sperimentale di Cinematografia (Foto P.Capitini)

Rauss! Statevene a casa! Coatta e immonda orda tatuata!” Il centro è riservato a leggiadre fanciulle taglia 40 e capello natural-biondo che pedalano senza fatica su biciclette elettriche da 3.000 euro. I marciapiedi larghi come autostrade sono appannaggio di vecchie signore al quinto lifting e alla terza liposuzione che così possono agevolmente raggiungere la sala da the in legno jatobà non trattato per il consueto lapsang souchong delle cinque. Sedute su canapé in ecrù evocheranno gli anni della giovinezza quando tornavano da Parigi appena in tempo per lanciare molotov ai celerini servi del potere e sospirare , non senza qualche rimpianto, pensando alla triste diaspora familiare che ha costretto Tea – ma potrebbero essere Gaia, Diletta o qualche altra pedalatrice taglia 40 – ad affrontare i rigori dell’esilio londinese per il master in business administration o Filippo che nell’ultimo Skype da Princeton sembrava così dimagrito.

Scicli – chiesa di San Matteo – particolare (foto P.Capitini)

Purtroppo nelle pieghe del declinante sistema capitalista e tra i secolari condomini umbertini delle Zone a Traffico Lesinato sono rimasti intrappolati residui della scomparsa società classista, quella che aveva spinto Marx a scrivere il suo pallosissimo “Il Capitale”.

Sono le Maria, i Sor Pino, le Assunta Trapasso arrivati a Milano quando da quelle parti c’era l’ALFA Romeo e si costruiva la Lambretta. Prima, molto prima, della fashion week; del must have e dell’outfit. Povera gente fatta di operai, casalinghe, sarte, imbianchini resi “ex” dal passare del tempo e che per necessità o affetto da cinquant’anni vivono nella stessa casa ora imprigionati nella salsa guacamole del green di sinistra anzi, progressista come si dice oggi.

Roma – autobus 590 (foto P.Capitini).

I difensori dell’ambiente, quelli che sopra al letto, al posto della Madonna con bambino del Ferruzzi hanno il ritratto ringhiante di Greta Thunberg, non possono tollerare che alle 9 del mattino uno di questi residuati dell’Italia industriale e produttiva si avvii ciabattante verso i ventisette bidoni della raccolta differenziata.

“ORRORE!! Quando imparerà mai l’Adalgisa che il cucchiaio di pomodoro avanzato nel barattolo “Delizia del Sole” da 35 centesimi comprato all’Eurospin va nell’umido; l’etichetta del suddetto barattolo nella carta e infine il barattolo – vuoto e denudato – tra i metalli? Quando mai si deciderà a preparare un ragù come si deve con veri Sammarzano biologici, cipolla bianca di Nepi e manzo di chianina grossetana? L’ecologica, progressista e ingioiellata signora del terzo piano forse non sospetta che l’Adalgisa tira a campare con 400 euro di pensione sociale e altri 700 di suo marito buon anima. Certo che no.

Roma EUR. (Foto P.Capitini)

Si accontenta di strangolare lei e tutti gli altri pezzenti come lei nel groviglio di divieti, permessi, richieste, esclusioni e concessioni che rendono il centro delle nostre città così green e a portata di app. Certo ,perché se sei anziano e non hai una connessione internet, uno smartphone o un tablet non puoi nemmeno protestare per la bolletta del gas. Senza che se ne accorgessero hanno infatto tolto tutti gli esseri umani a cui si poteva parlare. Adesso c’è il call center che dopo averti fatto ascoltare tutto il secondo movimento della sinfonia nr. 41 di Mozart, rassicurandoti che la vocina che forse ascolterai, risponde dall’Italia ti inviterà a richiamare più tardi. Oltre ad essere vecchio, probabilmente povero e anche un po’ rincojonito per via dell’età, sarai anche privato dal sacrosanto diritto di tutti i vecchi a lamentarsi. La progressista signora del terzo piano così multiculturale da avere una sguattera ucraina (sguattera è il termine giusto, non colf), un filippino che gli porta a spasso il cane e un bengalese che stira le camicie alla fine riuscirà anche a farsi vendere in nuda proprietà l’appartamento dell’Adalgisa che giusto giusto consentirebbe di ampliare, ma di poco, gli attuali 250 metri quadri ormai divenuti insufficienti ad ospitare le riunioni domiciliari di yoga kundalini.

Roma, scalinata di Trinità dei Monti – Mendicante (foto P.Capitini).

Il sospetto è che dietro le Zone a Traffico Lesinato, i green pass, l’inclusivo che esclude, il progressista che non fa progredire, la decrescita felice purché sia degli altri c’è sempre la vecchia e simpaticissima sinistra che dice di difendere il popolo ma non ne sopporta la puzza. Cacciamoli dunque via dal centro delle nostre città; richiudiamoli in qualche casermone di estrema periferia, diamogli l’illusione di ricchezza incasellandoli nella tristezza ripetitiva delle villette a schiera e nei sottoscala parrocchiali dei centri anziani. Dai, facciamo così e prepariamo ad accogliere il sol dell’avvenire. Nell’attesa accontentiamoci di questo tramonto dai colori spenti e dal profumo di oud. (continua, ma tra un po’).