Ma che faccia antipatica…

E ditelo una buona volta. VI STIAMO SULLE BALLE!

Beninteso, chi più, chi meno, tutti abbiamo qualcuno che ci sta antipatico; uno che proprio non riusciamo a digerire, che ci urta i nervi. Così, a pelle. Per cui non sentitevi in colpa, siete in buona compagnia.

Nel felpato tempio della correttezza e del bon-ton elevati a religione, pensare che qualcuno ci stia antipatico è un’eresia; proclamarlo a gran voce addirittura una bestemmia.

ZITTI TUTTI, dunque. L’antipatia e il disprezzo sono ufficialmente morti. A decretarlo è stato il variopinto e illuminato mondo progressista, quello che non sapendo decidere come declinare una parola s’è inventato lo shwa, lo stesso che in nome del green chiude le città, presidia le zone verdi costringendo migliaia di pendolari a svegliarsi un’ora prima per poter arrivare al lavoro. Sono sempre loro: i Perfetti; gli Illuminati capaci di guidare noi, popolo bue, fuori dal deserto verso la terra del latte e del miele. Peccato però che i ciechi vermi dell’antipatia e del disprezzo scavino anche le vostre candide anime di panna. E lo fanno tutti i giorni; per alcuni di voi per tutto il giorno.

Ravenna . Vetrina (particolare( Foto P.Capitini)

Ecco allora che per curare la gastrite dell’anima ingurgitate dosi massicce di finta comprensione; fiale su fiale di leggi a tutela di questo o di quello; aerosol di parole come “progressista”, “inclusivo”, antifascista”, “non violento” e “tollerante”. Sgranate questo mantra edificante come un tempo il Kyrie eleison. Siete così progressisti e tolleranti che al posto di “porgete l’altra guancia” proposto da Nostro Signore voi preferirete essere massacrati di botte, purché questo non urti la sensibilità del Massacratore.

Tuttavia, nel profondo delle vostre anime al profumo di lavanda e cannella sentite che il verme si agita comunque. Odio e disprezzo non si nutrono infatti di parole e tanto meno di idee, anche se ecumeniche e inclusive. Odio e disprezzo nascono nella palude delle paure profonde; quella che da piccoli ci costringeva a tenere la luce accesa per scacciare il “paccialupo dagli occhietti rossi” da sotto il letto.

Ravenna – sottopassaggio della stazione (Particolare)…(Foto P.Capitini)

Se volete accendere la luce perché allora non provate ad ammettere serenamente che anche voi, come noi bipedi post-neanderthaliani, odiate e disprezzate. Chi? Quelli che non sono come voi. Certo, nessuno di voi, conoscitori della costituzione; difensori della carta delle Nazioni Unite e della dichiarazione dei Diritti dell’Uomo oserebbe mai proclamarlo in pubblico. Nessuno di voi, così preoccupati dell’opportunità del dire e del non dire; impegnati a salvaguardare la dignità senatoria dei Servitori dello Stato avrebbe il coraggio di dar voce al suo verme. Voi, turbati nei vostri sogni dal solo pensiero che una sgangherata parola possa causare un fremito di pudibonda vergogna alle nostre virginee Istituzioni Repubblicane, voi non penserete mai di posare a terra tutto l’armamentario delle spiegazioni e dei ragionamenti da scuola neo-kantiana di Baden e dire, anzi gridare ODIO QUESTO E QUELLO!!.

In molti tra voi odiano i militari e gli uomini in divisa in generale. Nella maggior parte dei casi non li conoscete né avete mai parlato con uno di loro ma basta l’aggettivo “militare” per associare in un arrogante 3×2 anche “fascista”, “golpista” e “violento” o, per chi preferisce “ignorante”, “ottuso” e ” parassita”. Del vostro ciglio alzato se n’era accorto già Pasolini, ma non gli avete mai dato ascolto.

Oggi tutti tacete il vostro disprezzo ma ricordo bene che in passato qualcuno di voi ha trovato il coraggio di dargli voce. A quel tempo, quando gridavate spavaldi “se vedi un punto nero spara a vista o è un Carabiniere o è un fascista” e quando freddavate un maresciallo con moglie, due figli e il mutuo alla fermata dell’ATAC avrei voluto picchiarvi ma oggi quasi rimpiango il tempo in cui conservavate un barlume di carnale umanità.

Reggio Emilia – Sala del Tricolore (Foto P.Capitini)

E’ morto; ma chi cazzo gliel’ha fatto fare di arruolarsi. Se stava a casa era ancora vivo” Questa l’ho sentita da voi nei giorni di Nassiria. “Ma lei sembra una persona normale, non un militare”. Questo complimento che cela un insulto invece l’ho sentito molto, molto più spesso. Sono stato un militare, anzi, lo sono ancora perché questa è la mia vita, ma non ho voglia né interesse a convincere voi, il popolo “dei giusti e degli illuminati” che siamo gente come tutti. Ordinary People direbbero i patiti del politically correct. Siete già così buoni, comprensivi e perfetti che non avete bisogno di spiegazioni.

Continuate dunque a dare addosso al povero Vannacci per il suo libro che…per opportunità, senso dello stato, disciplina, fedeltà al giuramento e altro non avrebbe mai dovuto scrivere. A me quel libro non è piaciuto e sapere che l’ha scritto un militare non me l’ha fatto diventare né peggiore, né migliore.

Voi non odiate le idee o i pensieri che vi sono contenuti (ammesso che davvero ci siano). Voi odiate l’idea che un servitore dello Stato, come vi piace chiamarci, non si sia comportato da servo. E ricordate che, come diceva Pavese, Si odiano gli altri perché si odia sé stessi.

Specchio delle mie brame.

Tenente O’Neil, quando vorrò la sua opinione gliene darò una”. Così sibilava un gelido Viggo Mortensen, istruttore capo alla scuola SEAL, all’irrequieto “Soldato Jane”; il Tenente, o meglio, le Tenenta Demi Moore. Era il 1997 e Ridley Scott di certo non immaginava in quanti, oltre venticinque anni dopo, sarebbero stati ben lieti di accettare l’offerta dell’Istruttore Capo. Tra questi tutti quelli che si sono lanciati nella condanna “senza se e senza ma” delle 373 pagine del libro di Vannacci, “Il mondo al contrario” che in questi giorni di afa tardo estiva ha ulteriormente scaldato la sonnacchiosa estate italiana.

Padova – scorcio del Centro storico (foto P.Capitini)

Non bastava infatti la benzina ormai alle quotazioni del Sagrantino di Montefalco del 2019; il calo del 20% dei turisti in riviera, i due euri per una toast smezzato; i bimbi risucchiati dallo scarico della piscina, il ciclone Nerone e il controciclone Poppea, gli italiani in Albania perché si paga meno e qualche volta non si paga affatto; il bollino rosso, il venerdì nero, la bandiera blu, l’allarme arancione e tutto il resto della cromatica scala delle ansiogene sfighe italiche. Per carità; ci voleva il libro nazifascista-militarpopulista-conservatorqualunquista- omofoboromanista (scusate il romanista, ma non trovavo altro) a urtare i tremuli sentimenti di quelli – e sono tanti – che senza neppure leggerlo si sono lanciati nella assoluta condanna di Vannacci e del suo libro. “GALEOTTO FU IL LIBRO” dunque “E CHI LO SCRISSE. E qui viene la novità. Senza aspettare che qualche Istruttore Capo in quota a questo o quel partito mi fornisse una opinione, ho pensato di farmene una mia leggendolo. Non è stato facile ma ce l’ho fatta e sapete cosa ho scoperto?

Falconara Marittima (AN) Sottopassaggio per Villanova (Foto P.Capitini)

Le 373 pagine sono dedicate alla certosina raccolta di quello che in moltissimi non solo pensano, ma normalmente esternano in molti oscuri luoghi di questo contorto paese. Provate voi a chiedere alla signora Alfonsina all’uscita dell’alimentari di Osteria del Gatto (esiste, tranquilli, frazione di Fossato di Vico) qual è la sua posizione riguardo al queer! Vi risponderà che come anti-pressorio il marito prendeva il BVIS ma poi ha avuto l’ictus ed è morto. “Il Queer nun l’ho ‘nteso mai! Ma me sa’ ch’ el pia mi cognata, ma nun se trova multo be’ ”.

Roma – Largo dei Librari (foto P.Capitini)

Provate poi a domandate al signor Quintilio che dalle parti di Moie sta arando il campo a bordo del suo FIAT 60-65 Agri 88 (esistono entrambi, tranquilli) cosa farebbe a chi gli entra in casa, spaventa la moglie e il cane, ruba tutto e quando i Carabinieri lo prendono se ne va in affido o addirittura assolto. Provate! Resterete stupiti dalla grettezza oscurantista e anti-progressista di quell’uomo il quale all’evangelico “porgi l’altra guancia” preferirà porgergli in testa la vanga di piatto. Finisco qui con gli esempi su queste e su molte altre delle questioni richiamate del libro di Vannacci per il quale si chiede ora il rogo e la damnatio memoriae neppure fossero i Versetti Satanici di Salman Rushdie.

Roma MAXXI – Particolare (foto P.Capitini)

Tra i 7.901 comuni italiani, quelli in cui viviamo noi, compresi tra i 2,8 milioni di Roma e i 33 abitanti di Morterone, credo e spero ci sia spazio per molte opinioni che mi auguro essere diverse così come c’è spazio per antipatie e simpatie, per grandi amori e odi profondi o per i Guelfi e i Ghibellini. Tutelare le minoranze è un segno di civiltà giuridica, abbracciarne il credo, le convinzioni e gli atteggiamenti è tutt’altra cosa. Il diritto all’esistenza e alla tolleranza non implica in automatico quello alla simpatia e alla condivisione.

Civita di Bagnoregio (foto P.Capitini)

Ho infatti l’impressione che molti tra i difensori a oltranza, quelli dei senza se e senza ma, le vergini vestali della correttezza semantica e sociale, preferiscano riconoscersi in un quadro da loro stessi dipinto; un quadro che raffiguri una realtà da loro stessi immaginata in forme, dimensioni e colori piuttosto che guardarsi, come tutti, in un comune specchio, un pezzo di vetro, e accettare l’immagine nuda e cruda che esso rimanda.

Certo, vedremo allora rughe che non credevamo di avere, espressioni che non ci piacciono e l’età che non vogliamo sostenere. Vedremo anche la signora Alfonsina e il signor Quintilio che in questo Paese nessuno sembra voler vedere. Rughe, faccie buffe, pregiudizzi e passioni sono la realtà che spesso parla – quando può – anche attraverso l’astensione dal voto, il disinteresse per la politica, la sfiducia nei giornalisti, l’irrisione e il distacco. 

Gatto comune sul sagrato dell’Abbazia di Fiastra (foto P.Capitini)

Io ho letto il libro di Vannacci e non ho trovato altro che parole spesso udite camminando per strada o prendendo un caffè. Parole semplici, senza troppo approfondimento, con pochissima analisi e ancor meno studio ma non per questo poco diffuse tra la gente che vuol solo campare i suoi giorni.

Spero che in questo sgangherato e saggio paese ci sia ancora la voglia di ascoltarle e controbatterle in modo meno stupido di quello che ho sentito in questi giorni in televisione e letto sui giornali. Lo so che è faticoso, che è necessario accendere il cervello, ma proviamo a farci un’opinione che sia documentata e nostra. Se invece preferiamo altro stiamo pur certi che di Istruttori Capo pronti a darcene una è pieno il mondo.

I MOSTRI INNOCENTI.

Può la tecnologia e la distanza disumanizzare ancor di più la guerra?

“ La vita qui è durissima. Nella trincea il tanfo della morte regna ovunque. I ratti ci danno il tormento mentre i pidocchi ci divorano la pelle. Viviamo nel fango che ci inghiotte, ci serra le gambe. Un vento glaciale ci gela le ossa senza darci tregua. Essere pronti! Pronti in ogni momento. Pronti all’assalto. Pronti a morire. Uccidere! Questa è la parola d’ordine della nostra storia…a presto mia adorata”.

Museo di Piana delle Orme, LT (foto P.Capitini)

Quello che avete appena letto è uno stralcio di una delle migliaia di lettere con le quali durante la prima guerra mondiale gli uomini delle trincee tentavano di raccontare al mondo della pace quale fosse il loro: quello della guerra. Cento anni fa l’Occidente scopriva così l’orrore della guerra industriale, ma lo faceva con i paradigmi culturali del secolo precedente. Negli occhi dei giovani che nell’agosto del ’14 marciavano sorridenti verso la frontiera franco-belga non c’erano il fango, né il filo spinato; i gas asfissianti o l’artiglieria. In quel mese d’euforia vivevano, o forse solo si illudevano, di vivere ancora la pericolosa avventura di una guerra d’estate, colorata e breve; la guerra giusta decisa dalla Patria contro un nemico brutale e sconosciuto. Il risveglio traghettò l’Europa intera in nuovi territori, poveri e incerti, dove uomini sulfurei e affascinanti, anch’essi abortiti dalle trincee, si sarebbero dimostrati capaci di terminare il massacro iniziato vent’anni prima.

Mentre scriveva alla sua Edith, sepolto in qualche buco a Verdun, il soldato Pierre D’Augustin era certamente inconsapevole di quanto quel mondo alieno di sangue e fango l’avrebbe trasformato per sempre in qualcosa d’altro. Cento anni fa era stata proprio la guerra tecnologica, il massacro industriale a partorire la nuova umanità, pronta o forse rassegnata ad accettare la guerra di annientamento. In quel tempo era stata la metallurgia delle nuove leghe iper-resistenti, la chimica degli esplosivi e dei gas, la meccanica dei camion e degli aerei a modernizzare l’atavico bisogno di uccidere. E oggi? Quali sono i riferimenti culturali profondi con i quali proviamo a decodificare le guerre di oggi, compresa quella russo-ucraina di questi giorni.

Museo storico dell’Aeronautica militare – Vigna di Valle, Bracciano (Roma) . (Foto P.Capitini)

Nei vent’anni compresi tra il collasso politico e militare dell’Unione Sovietica, l’anarchia predatoria di Eltisin e la successiva pacificazione imposta da Putin il mondo si era convinto non solo della fine della storia, ma anche della guerra relegata a qualche operazione di polizia contro qualche malintenzionato signore della guerra o qualche stato canaglia. La guerra, quella vera, poteva essere forse derubricata ad incidente. Tutti al tempo credevamo possibile la separazione tra lo spazio della guerra e quello della pace. La dottrina NATO della Air-Land-Battle e dello shock and awe dominavano il primo; la CNN e l’inizio di internet il secondo. Entrambi gli spazi si tenevano ben a distanza come nel 1916 era stato per Edith e Pierre.

Museo di Piana delle Orme – Latina. Camionetta FIAT -SPA AS37 (foto P.Capitini)

Sul campo di battaglia “i magnifici cinque” vale a dire il carro Abrams, il cingolato per fanteria Bradley, il lanciarazzi multiplo, l’elicottero Apache e il cacciabombardiere A 10; dominavano lo spazio della guerra. Tuttavia, pur nell’enorme divario tecnologico e nell’incomparabile potenza distruttiva che li separava dalle armi di cento anni prima, si era comunque mantenuto un legame tenace con quei campi di battaglia. Che fosse una mitragliatrice minimi o una schwarzlose, un biplano Bleriot o un A10 dietro ciascuna di esse c’era comunque un soldato, un uomo che non poteva fare a meno di guardare in faccia il volto insanguinato della battaglia. Stime del dipartimento della difesa americano stimano che una percentuale variabile dal 14 al 16% tra gli ex-combattenti in Afghanistan e in Iraq siano stati colpiti da sindrome post-traumatica, segno di quanto quella visione abbia lasciato solchi profondi nelle loro anime.

Saint Marie Eglise -Normandia (FR) Museo dello sbarco (foto P.Capitini)

Dal febbraio 2022 mentre nei campi di Ucraina si combatte una guerra d’altri tempi, nei cieli di quella terra e nel buio dello spazio extra-atmosferico si muovono nuove armi. Si tratta del primo affacciarsi del nuovo spazio della guerra, quello definito del multidomain; uno spazio che ha definitivamente inghiottito lo spazio della pace, partorendone uno nuovo, quello della competizione permanente. La guerra non sarà più una faccenda militare, ma una condizione costante dei rapporti tra stati e coalizioni di stati. Un combattimento aperto a nuovi campi di battaglia- nuovi domini appunto- sovrapposti o integrati a quelli terrestre, aereo e marittimo. Sono i domini dello spazio extra-atmosferico popolato dai satelliti e quello cybernetico su cui transita la vita economica, politica e di relazione dell’intero pianeta. Su un campo di battaglia così allargato iniziano a comparire nuove categorie di armi e nuove truppe. Tra i primi si stanno definitivamente affermando i velivoli senza pilota, i cosiddetti droni; tra i secondi giovani hacker e le nebulose possibilità offerte dall’intelligenza artificiale. Era il 1984 quando il regista James Cameron immaginava Terminator, un cyborg guidato da un’intelligenza artificiale e ostile a caccia di umani in un allora lontano 2029.

MIRAGE francese sulla base aerea di ABECHE, Ciad (Foto P.Capitini)

Ora, nel 2023, droni armati di missili, pilotati da qualcuno seduto a qualche centinaia o migliaia di chilometri ripropone la stessa caccia. L’idea di una guerra che costi sangue e vite solo al nemico si riaffaccia ancora una volta. Combattere senza dolore, distruggere senza dover provare emozioni. Questo sembra essere la novità rispetto alla guerra di Pierre e della sua fidanzata Edith, dei marines sulla spiaggia di Iwo Jima ma anche dei legionari romani nella selva di Teutoburgo: la separazione del dolore e della emozione dall’atto di combattere.

Nella guerra da remoto che sembrerebbe essere il nuovo scenario l’atto dell’uccidere non è più una questione tra uomini, ma una faccenda tra uomo e qualcuno derubricato a bersaglio o a “target” come si usa dire in un ulteriore tentativo di edulcorazione. Tuttavia, quando si interrompe il legame umano tra soldati che si fronteggiano correndo i medesimi rischi, si interrompe anche uno dei possibili interruttori che da sempre hanno consentito alle guerre di avere una qualche sorta di mitigazione. Parlo dell’orrore, della repulsione a commettere violenze oltre un determinato limite che si intende come accettabile. Parlo di quella sensazione che impedisce di uccidere il soldato che esce dalla sua buca con le mani in alto. Questo sentimento deriva unicamente dall’aver condiviso tra combattenti le stesse sensazioni ed emozioni del proprio nemico, di considerarlo quindi umano e non un semplice bersaglio o uno punteggio da video-game. E’ ancora nella profetica capacità del cinema di intravedere il futuro che troviamo una perfetta sintesi di questo pericolo. In Apocalypse Now sono le parole pronunciate dal colonnello Kurtz davanti a un ammutolito capitano Willard a chiarire perfettamente il significato del condividere lo stesso campo di battaglia: ”..Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi…ma non ha il diritto di giudicarmi”.

La nuova guerra combattuta a distanza, lontano da quell’orrore che consente comunque di sentirsi soldati e non assassini, potrebbe essere la nuova frontiera superata la quale si entrerà in un paese di mostri innocenti.