MARINA –

Ha telefonato la Marina”. C’eravamo conosciuti così; per un equivoco.

Credo fosse il 1988 e non immaginavo per quale motivo la marina militare cercasse qualcuno in un battaglione di bersaglieri, per giunta a Milano. Lei, Marina senza articolo, cercava invece il mio comandante di allora per un lavoro che gli avevamo commissionato.

Una volta conosciuta ti rendevi conto che Marina era una personalità lunarmente distante da un militare. Eppure non chiudeva mai porte né mollava giudizi. In fondo era una persona curiosa.

Disegnava, colorava, dipingeva, tagliava e incollava seguendo il filo di una fantasia chiara solo a lei, ma facile da seguire per l’eleganza e la pulizia di ogni macchia di colore che colava da uno dei suoi cento pennelli.

A me aveva regalato la tempera di un carro armato verde oliva d’un realismo che rasentava la fotografia. Il carro però sparava cuoricini muovendosi su un prato arcobaleno. Da un gruppo di fiori saltellava un’ape sorridente. Confesso che allora – giovane e presuntuoso capitano – non avevo avuto il coraggio di appendermelo in ufficio, tra il ritratto di La Marmora e qualche foto guerriera. C’ho messo tempo a capire che sbagliavo. Molto meno ne impiegai a fare amicizia con questa ragazza milanese, magra come un chiodo, in grado di passare da un’espressione corrucciata da notaio lombardo a una sorriso disarmante da fata dai capelli turchini.

A quel tempo abitava all’inizio di corso Buenos Aires, non lontano da piazzale Loreto. Come molti militari avevo la sensazione che solo noi ci spostassimo nel mondo. Tutti gli altri se ne sarebbero stati a casa loro fino alla vecchiaia, magari al quarto piano di un palazzone di corso Buenos Aires, a Milano. E invece no. Marina se n’era andata a Roma o giù di lì con Aldo, il suo compagno a fare quello che sapeva fare: dipingere, inventare e insegnare alla gente a trovare quel minimo respiro d’artista che vive sepolto in ognuno di noi. C’eravamo ritrovati dopo tanti anni, forse una ventina, per quegli strani allineamenti di pianeti che rendono il futuro degli uomini sempre un’illusione.

Erano successe cose a me. Erano successe cose a lei, ma aveva ancora i suoi pennelli e l’espressione da notaio brianzolo da alternare allo sguardo da fata. Gli avevo chiesto di dipingermi una madonnina che avevo visto sul muro di una chiesetta in Africa. Stavolta non l’avevo buttata. Da anni gli occhi spalancati di quella Madonna aspettano che il sonno chiuda i miei.

Sono stata dal dottore, adesso sono a Villa San Pietro, sulla Cassia. Passi a trovarmi?”. Era iniziata così, seduti su un tavolo di legno sotto un pino romano in un ospedale, all’inizio di questa estate asfissiante. Chiacchierava di cosa sembrava potesse avere e del professore che non le stava simpatico. Ma a lei stavano simpatici in pochi.

Sono passati giorni e quello che all’inizio dell’estate sembrava s’è trasformato in realtà. “Andiamo a cena sul lago? Conosco un bel posto, ma non posso mangiare tutto. Devo stare attenta”. Il ristorante era molto carino, sulla riva. Si mangiava bene anche se un po’ troppo sofisticato. Abbiamo anche provato a parlare d’altro, ma quella “cosa” si era seduta, in silenzio, a capo tavola. Ci siamo sentiti ancora. Le cose non andavano bene, ma c’era sempre speranza e nella sua voce sentivo con piacere quella lucida determinazione che mi ha sempre fatto amare i milanesi.

Oggi l’ho incontrata di nuovo, ad Aguillara.

Guarda che bella chiesetta” – mi aveva detto una volta “Ci sono affreschi del ‘300. Un giorno andiamo a vederli.

Quel giorno per me è stato oggi. Una bella giornata assolata di novembre; tirava un filo di tramontana ma il lago era ancora calmo. Sulle rive i platani sembravano indecisi tra il verde dell’estate e il giallo dell’inverno. In Quatar, ai mondiali di calcio, l’Inghilterra batteva credo l’Iran. Alle 14,15 i ragazzini stavano uscendo da scuola e la mattina ero andato a comprare legna per l’inverno. Tutto questo non l’avresti più visto. E non ero pronto.

Spero e prego che lo sia stata tu.

Uno su 100 ce la fa.

Tra 19 giorni si vota e dai sondaggi, per quello che contano, dovrebbero astenersi circa il 39% degli aventi diritto. Teniamoci per buono questo numero e guardiamo a quell’altro 61% che invece a votare ci andrà.

I sondaggi di IPSOS, pubblicati sul Corriere della Sera cinque giorni fa, registrano in prima posizione Meloni e i Fratelli d’Italia con il 24%; Letta e il Partito Democratico al 23%; al terzo posto, appaiati con il 13,4% la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle.

A seguire Berlusconi con l’8%. Renzi&Calenda s.p.a. sono stimati al 5%, mentre alleanza Sinistra Italiana/Verdi arriva al 4,1%.

Gianluigi Paragone, ex lega ed ex 5 Stelle con Italexit è al 3%.

Il resto è polvere percentuale.

Torniamo dunque a quei 61 italiani che andranno a votare. Vuoi mettere che, come nel 2018, almeno il 2 % di loro voterà scheda bianca o nulla? E allora arriviamo a 60 cristianucci che, fiduciosi o sconsolati, metteranno una croce sul simbolo e nel posto che riterranno giusti.

A questo punto la cosa interessante è uscire dalle percentuali e osservare cosa ciò voglia dire in termini assoluti, vale a dire immaginando persone vere.

Quasi tutti noi almento 100 persone le conosciamo, amici e parenti inclusi. Sono quelle alte, grasse, antipatiche e gnocche, magre, calve, giovani e anziane, friulane o calabresi…insomma gli italiani quelli veri.

Ecco allora che Meloni risulterà prima perché ben 14 italiani veri su 100 avranno deciso che sarà Lei con i suoi Fratelli a dover governare. Altri 13 su 100 avrebbero preferito Letta&Speranza mentre ben 8 italiani, fiduciosi in Salvini, andranno a dare una mano a Meloni e i suoi Fratelli. Altri 8, vale a dire quelli che entrano in due macchine, rimarranno invece fedeli a “uno vale uno” e decideranno poi a quale santo votarsi.

5 italiani su 100 crederanno ancora alle promesse di Berlusconi (incredibile vero?) e si e no 3 persone su 100 guarderanno con fiducia al duo Renzi-Calenda. Rimangono ben 2 italiani per Sinistra Italiana e Verdi: uno sarà di sinistra e l’altro verde, ma quello lo si riconosce subito dal colore. Italexit avrà invece convinto 1,5 italiani su 100.

Ricordiamoci questi numeri quando fonfiandosi il petto inizieranno a sbraitare “Gli Italiani hanno detto…”, oppure “…il popolo ha deciso…”. Quando si governa perché 14 persone su 100 o addirittura con 4 su 100 è evidente che il popolo non c’entra niente ma che governi in suo nome ma con la forza di una minuscola minoranza coesa e motivata. Ed è a quello puntano tutti i partiti: alla minuscola minoranza coesa e motivata. Chi se ne importa dei 100, a noi basta convincerne, blandirne, comprarne o spaventarne meno di 15.

Qualcuno si accontenta di intortarne uno solo ogni cento di noi. 

Il Paese d’Abbastanza e l’Impero degli Undici Fusi

foto p.Capitini

In un paese non troppo lontano viveva un re, anzi un Imperatore. Aveva un brutto carattere, l’Imperatore, almeno così dicevano in molti. Parlava poco e ascoltava molto ma soprattutto guardava tutti con occhietti piccoli e fissi, del colore del ghiaccio che fonde. Sorrideva di rado e di solito non era un buon segno. L’Imperatore governava un paese immenso, così tanto immenso che quando a un capo iniziava ad albeggiare dall’altro era già ora di andare a dormire. Nell’Impero c’erano undici fusi orari tant’è che la gente lo aveva chiamato l’Impero degli Undici Fusi.

Un paese cosi grande – direte voi – sarà stato così potente da non temere nulla e nessuno. E invece no. L’Imperatore, come quello che l’aveva preceduto e quello prima ancora, aveva una gran paura che il resto del mondo se la prendesse con lui. Sarà stato per via del brutto carattere, ma l’Imperatore non voleva gente vicino, soprattutto gente che non poteva controllare.

foto WEB

Ora, vicino all’Impero degli Undici Fusi c’era un paese abbastanza grande, abbastanza libero, abbastanza ricco tanto che tutti lo chiamavano il Paese di Abbastanza. La gente del Paese di Abbastanza non era poi così diversa dai sudditi dell’Impero degli Undici Fusi, anzi nei tempi passati il Paese di Abbastanza aveva fatto addirittura parte dell’Impero, ma ormai le cose erano cambiate o almeno così credevano gli abitanti del Paese di Abbastanza. Ne erano così tanto persuasi che da qualche anno avevano preso a mal tollerare i cittadini che nel Paese di Abbastanza avevano qualche legame con l’Impero degli Undici Fusi. Un sopruso oggi e uno domani era andata a finire che nel Paese dell’Abbastanza era scoppiata una specie di guerra tra cittadini che dicevano di essere i veri cittadini di Abbastanza e quelli che invece per via dei nonni e dei bisnonni avevano radici e lingue nell’Impero degli Undici Fusi. La cosa era iniziata pian piano ma sapete com’è la guerra, una fucilata tira l’altra e una cannonata tira l’altra e la cosa s’era fatta pericolosa.

Il Paese di Abbastanza non aveva un Imperatore Scorbutico ma un Presidente Simpatico. Era giovane, aveva fatto l’attore e sorrideva sempre. Restava simpatico a tutti meno che all’Imperatore scorbutico, ma si sa, non si può essere simpatici a tutti. Per via di questa antipatia e anche perché un po’ di paura l’Impero degli Undici Fusi, grande e grosso com’era, la metteva davvero, il Presidente Simpatico aveva pensato di farsi dei nuovi amici, ma non amici qualsiasi, per carità: ci volevano amici grandi e grossi che potessero anche far paura all’Imperatore scorbutico.

Matriosche – foto p.Capitini

Non dovette neppure cercare tanto perché appena ebbe detto che era alla ricerca di nuovi amici subito se ne presentarono parecchi. Il più importante e grande di questi viveva al di là dell’oceano, oltre il tramonto. Era un bel paese quello, pieno di fiumi e strade e montagne e di gente felice di tutti i colori. Avevano un sacco di soldi, la CocaCola e il cinema. La gente lo chiamava il Paese d’Oltremare. Anche il Paese d’Oltremare aveva un Presidente, certo non simpatico come quello del Paese di Abbastanza ma che faceva comunque la sua figura. Il Paese d’Oltremare aveva un sacco di amici, tutti paesi più piccoli che dicevano un gran bene del Paese d’Oltremare e che, quasi sempre, si trovavano d’accordo con quello che pensava il loro Presidente. Quando il Presidente Simpatico del Paese di Abbastanza chiese al Presidente del Paese d’Oltremare di stringere amicizia, questi aveva subito detto di si e anche tutti i suoi amici avevano anch’essi detto di si e siccome erano diventati amici inziarono a mandargli armi, cannoni, soldi e un po’ di gente che gli avrebbe spiegato come si usavano. A parte i soldi che quelli tutti sapevano come usarli.

Ora c’è da dire che per una vecchia faccenda che ora non ricordo l’Imperatore degli Undici Fusi e il Presidente del Paese d’Oltremare non si potevano vedere e non mancavano occasione di farsi dispetti. Erano andati avanti così per anni e nessuno in fondo se ne era preoccupato più di tanto. Però che il Paese di Abbastanza fosse diventato così amico del Paese d’Oltremare all’Imperatore scorbutico non era proprio andata giù. Come era sua abitudine aveva avvertito il Presidente Simpatico e anche tutti gli altri che quella cosa non gli piaceva per niente e che forse sarebbe stato meglio se quell’amicizia fosse stata un po’ meno stretta. Diciamo che una conoscenza educata sarebbe anche andata bene. L’aveva ripetuto un sacco di volte, ma ogni volta il Presidente del Paese d’Oltremare e tutti i suoi amici non lo prendevano sul serio e anzi gli rispondevano che loro avrebbero fatto quel che volevano e che si mettesse pure l’anima in pace.

Oltre ad essere scorbutico l’Imperatore era anche parecchio permaloso, più permaloso della media degli imperatori. Aveva anche un bell’esercito, grande e grosso. Certo non grande e grosso come quello del Presidente del Paese d’Oltremare ma comunque era pur sempre un esercito di tutto rispetto. Fu così che una sera d’inverno l’Imperatore degli Undici Fusi decise di invadere il Paese di Abbastanza. Nessuno se l’aspettava perché le guerre, in quella parte di mondo, erano passate di moda, ma si sa, l’Imperatore era uno all’antica così aveva iniziato una guerra all’antica di quelle con tanti carri armati, cannoni e aerei e bombe tirate qua e là.

Il Presidente Simpatico del Paese di Abbastanza non la prese affatto bene, anzi. E visto che anche lui in fondo era un tipo tosto iniziò a far la guerra anche lui. Il Presidente del Paese d’Oltremare e tutti i suoi amici giurarono e spergiurarono di aiutare il Paese di Abbastanza con tutto quello che sarebbe servito a fare una guerra: bombe, armi, soldi, cannoni… tutto. Ma non era bastato. Si erano anche messi d’accordo per una cosa chiamata “sanzioni” che in pratica consiste nel non comprare né vendere niente all’Impero degli Undici Fusi. L’idea era che senza più comprare o vendergli niente ben presto l’Impero sarebbe diventato povero, ma così povero da non aver più soldi per fare la guerra. Tutti applaudirono soddisfatti. A dire il vero qualcuno tra gli amici del Presidente d’Oltremare fece presente che non vendendo né comprando niente anche loro, gli amici, ci avrebbero rimesso, e anche tanto. Tuttavia non ci fu nulla da fare: era una questione di principio e si sa come vanno queste cose; quando una cosa diventa una questione di principio…

foto p.Capitini

Qualcun altro fece anche presente che tutte le fabbriche, l’elettricità e anche i fornelli degli amici del Presidente d’Oltremare funzionavano perché l’Imperatore Scorbutico mandava loro il gas. Certo, essendo scorbutico e permaloso non lo faceva gratis, voleva essere pagato, ma a onor del vero, l’Imperatore aveva sempre continuato a mandarlo senza perdere un giorno; almeno fintanto che avevano continuato a pagarglielo. Ora però c’erano le sanzioni e il gas non si poteva più prendere. Comprare gas da un imperatore scorbutico, permaloso e che faceva la guerra era davvero una cosa brutta. “Non vi preoccupate” – sentenziò felice il Presidente del Paese d’Oltremare– “Il gas ve lo mando io, certo che capirete come venendo il gas da molto lontano vi costerà qualche soldo in più”. Tutti gli amici assentirono. Alcuni sembrarono poco convinti ma assentirono lo stesso per non fare brutta figura. Il gas più caro che veniva dal Paese d’Oltremare comunque non bastava così tutti gli amici si affrettarono a comprarne altro da altri paesi brutti, sporchi e cattivi quanto e più dell’Impero degli Undici Fusi, ma come si è detto; era una questione di principio.

Intanto la guerra dell’Imperatore al Paese di Abbastanza andava avanti. Tutti erano sicuri che il Presidente Simpatico avrebbe vinto, anzi trionfato e continuavano a mandargli armi e cannoni, e più ne mandavano più la guerra andava avanti. Anche l’Imperatore e il suo esercito andavano avanti, piano piano, un chilometro alla volta e i soldati del Paese di Abbastanza, per quanto coraggiosi, si ritiravano un chilometro alla volta.

foto p.Capitini

Si andò avanti così per giorni e giorni e poi per mesi con i soldati dell’Imperatore che spingevano e morivano e quelli del Presidente Simpatico che si ritiravano e morivano anche loro. Anche le sanzioni del Presidente d’Oltreoceano e dei suoi amici continuarono giorno dopo giorno sempre convinti che questo avrebbe fermato l’Imperatore.

Venne poi un giorno, poteva essere un martedì mattina o forse un mercoledì, che i soldati del Presidente Simpatico, visto che malgrado l’impegno, il coraggio e le armi nuove e bellissime che gli aveva fornito il Presidente d’Oltroceano non riuscivano a vincere, decisero che non volevano più morire. Lo decisero prima in pochi, poi sempre di più e infine tutto l’esercito del Presidente Simpatico decise che ne aveva avuto abbastanza e che da quel momento in poi non avrebbero più combattuto e se ne sarebbero tornati a casa loro.

La decisione di quel martedì mattina sorprese tutti, ma accade sempre così con la guerra di usura, dagli oggi e dagli domani dopo un po’ di tempo non rimane più nulla da usurare. La fine della guerra sorprese il Presidente d’Oltreoceano, tutti i suoi amici e anche il Presidente del Paese d’Abbastanza anche se lui un po’ meno. L’unico che non fu sorpreso fu l’Imperatore. Da mesi infatti aveva pensato e fatto proprio quello. Indebolire goccia a goccia l’esercito del Paese di Abbastanza. Insomma un martedì mattina o forse un mercoledì ci si accorse che l’Imperatore scorbutico aveva vinto. Non era diventato più povero, non aveva perso nessuna battaglia e neppure il suo popolo l’aveva buttato giù così come avevano pensato e a un certo punto solo sperato il Presidente di Oltreoceano e tutti i suoi amici. L’imperatore aveva semplicemente vinto.

E adesso? Dipinto come un mostro senza alcun sentimento, al di là del confine che separava il Paese di Abbastanza da quelli degli amici del Presidente d’Oltreoceano tutti pensarono che a questo punto l’Imperatore si sarebbe vendicato, avrebbe ucciso, deportato, incendiato e altre cose che normalmente fanno gli Imperatori. E invece no. L’imperatore si fermò sulla riva del grande fiume che da nord a sud divideva il Paese di Abbastanza. Si fermò; i carri armati spensero i motori, i cannoni abbassarono le canne e anche i soldati si sedettero sotto un albero a fumare. D’improvviso il silenzio che per tanti mesi era fuggito da quei posti tornò ad abitarne i prati e le macerie. “che strano” – pensò l’Imperatore scorbutico – “in fondo il primo segno della pace è il silenzio. Qualcuno ricordò allora all’Imperatore che non si può fare la pace da soli e che si deve fare con il nemico. Vennero dunque mandati messi e ambasciatori verso il Paese di Abbastanza per trovare il Presidente Simpatico e iniziare a negoziare.

foto p.Capitini

Cerca, cerca però il Presidente Simpatico non si trovava. Da quando il suo esercito aveva deciso di smettere di combattere e metà del paese era finito in mano all’Imperatore era scomparso. C’era chi diceva fosse volato via con un elicottero verso il Paese d’Oltreoceano, chi invece giurava che si fosse sparato. Resta il fatto che in tutto il Paese di Abbastanza non si trovava un solo presidente con cui parlare. All’imperatore venne in mente una soluzione semplice che aveva sempre funzionato in passato. “Facciamo delle elezioni così avremo un nuovo presidente”. A dire il vero la gente del Paese di Abbastanza non si fidava troppo di elezioni organizzate dall’Imperatore scorbutico, ma d’altra parte era lui che aveva vinto e una dei vantaggi di vincere rispetto a perdere è che puoi fare quello che ti pare. Vennero quindi indette nuove elezioni libere. Fu una cosa seria tanto che fu lo stesso Imperatore scorbutico, proprio lui, a scegliere uno per uno i tre candidati. Vinse il numero due che venne subito proclamato Presidente del Paese di Abbastanza e siccome era amico del cugino dell’Imperatore e non voleva dispiacerlo, firmò tutto quello che c’era da firmare, consegnò tutto ciò che c’era da consegnare e giurò tutto quello che c’era da giurare. La banda suonò e la bandiera salì sul pennone.

Tra le cose che il nuovo presidente aveva giurato c’era che mai e poi mai avrebbe chiesto niente al Presidente d’Oltreoceano e ai suoi amici. Non avrebbe accettato neppure regali. Questo offese moltissimo il Presidente d’Oltreoceano che si mise a urlare, minacciare, intimidire e schierò un grande esercito proprio attaccato al confine dell’Impero degli Undici Fusi. L’Imperatore non la prese bene e i due ripresero a litigare come avevano sempre fatto, solo che adesso l’imperatore poteva dire al Presidente che aveva vinto e che quindi tutta quella storia di mandare armi, cannoni, soldi e gente al Presidente Simpatico non aveva funzionato. E non aveva funzionato nemmeno non vendergli né comprargli più nulla visto che nel frattempo l’Imperatore aveva trovato altri regni e imperi a cui vendere tutto quello che aveva. L’imperatore aveva infatti ferro, legno, carbone, oro in gran quantità ma ancor più aveva petrolio e gas e, si sa, quando hai oro, petrolio e gas si trova sempre qualcuno disposto a comprarli. A qualcuno venne in mente che anche i paesi amici del Presidente di Oltremare avevano bisogno di gas visto che in tutti quei mesi in cui sbraitavano e condannavano non erano riusciti a riempire le scorte e l’inverno appariva lungo e freddo. Qualcun altro propose al Presidente di Oltremare che forse era il caso che si iniziasse a parlare con l’Imperatore scorbutico proprio perché l’inverno si annunciava freddo e nevoso, ma il Presidente non volle sentir ragioni. Un paio di persone fecero però notare che faceva presto lui a parlare così. Lui il gas e il petrolio ne aveva quanto ne voleva, anzi lo vendeva addirittura ai suoi amici. A dire il vero lo vendeva anche più caro di quello dell’Imperatore. Pian piano tutti gli amici presero a litigare tra loro. Chi voleva il gas, chi non lo voleva, chi aspettava il petrolio e chi invece aspettava di capire che cosa si sarebbe deciso. Molti anni prima, in un tempo di pace e abbondanza, tutti i paesi amici del Presidente di Oltremare si erano riuniti in una specie di alleanza chiamata Unione, promettendo di aiutarsi e sostenersi a vicenda. La cosa bene o male aveva funzionato per oltre vent’anni, ma poi prima una grande crisi economica, poi un virus dal nome di detersivo e infine la guerra dell’Imperatore avevano iniziato a far scricchiolare questa bella amicizia. L’Imperatore ne approfittò e telefonò uno ad uno a tutti i capi e i re di quei paesi “Si lo so, mi avete chiamato criminale, macellaio, assassino e tante cose brutte, ma ormai la guerra è finita ed è tempo di guardare avanti” – diceva a questo o a quel ministro – “Visto che voi siete senza gas, volete che ve lo chiuda una volta per tutte o preferite che ve lo mandi alla metà del prezzo del Presidente d’Oltremare?

Era una bella domanda. C’era da scegliere tra far contento il Presidente d’Oltremare e morirsi di freddo oppure farlo arrabbiare e accendere forni, termosifoni e fabbriche. Ripresero tutti a litigare anche su quello e alla fine decisero che avrebbero fatto come si faceva una volta: ognuno come gli pare, ma questa è un’altra favola.