Il leggero cigolio del carrello porta-documenti annunciava un pomeriggio noioso. Lungo i venti metri scarsi del corridoio si affacciavano l’ufficio matricola, la maggiorità, l’ufficio cassa, quello posta&viaggi e infine il mio; l’ultimo. Il carrello percorreva quei metri come fossero il miglio verde.

Era quello l’ufficio del comandante di reggimento. Appena fuori dalla porta una placca in ottone lucidissima ammoniva chiunque dal considerarlo un luogo come un altro. “In questo ufficio è custodita la Bandiera di Guerra dell’8°reggimento bersaglieri”. Per chi non fosse stato avvezzo alle tradizioni militari ciò significava che prima di parlare, salutare o anche solo sorridere ci si doveva rivolgere alla teca in cui era contenuta; mettersi sull’attenti e salutare quella reliquia laica dei sacrifici passati e del dovere presente. Il carrello porta-documenti smise di cigolare proprio fuori dalla porta. Un secondo dopo una mano bussò.

“Comanda’ ci sarebbero da fare le note” disse il maresciallo con il tono di chi mostra un menù di pesce consigliandoti il branzino da 40 euro al chilo. “… e sarebbero urgenti!” Aggiunse prima di salutare la bandiera e tornarsene da dove era venuto. L’urgenza aveva definitivamente ammazzato il condizionale. Guardai il carrello parcheggiato a lato della scrivania. La pila infinita di cartelle color arancio sbiadito aveva già deciso quale sarebbe stato il mio pomeriggio con opzione sulla prima serata.

Se oltre a non sapere del dovere di saluto alla Bandiera non siete mai entrati in una caserma, vi sfuggirà anche il significato di “fare le note”. Premetto che la musica non c’entra niente e neppure una ipotetica lista delle cose da fare. Nell’italiano un po’ sgangherato dei soldati “note” era il termine usato al posto del più burocratico “scheda valutativa”.
In altre parole si trattava di giudicare i propri dipendenti e, per giunta, di farlo per iscritto. Frontespizio più sei pagine di voci analitiche dovevano bastare per descrivere un uomo con il quale avevi lavorato, pranzato a mensa, condiviso il freddo del Poligono “B” di Capo Teulada, fatto a metà con una Marlboro in crisi di erezione e anche, perché no, “schiaffato dentro”, per qualche cazzata che appena ricordavi. (schiaffar dentro non ha niente di brutalmente sessuale, ma si riferisce all’infliggere una sanzione disciplinare a un militare. Un sinonimo è “stai punito”. Il che per il soggetto non contempla l’assunzione di una particolare postura o atteggiamento ma solo di considerarsi oggetto di riprovazione. Più blando è “stai vergognato”. Insomma nell’esercito l’importante è stare!).

Già; fare le note era una sorta di giudizio universale cui ogni militare, volente o nolente, doveva sottoporsi per un sacco di motivi. Ad esempio perché doveva avanzare di grado, oppure era trasferito da qualche parte ed era bene che il nuovo comandante e tutto l’esercito sapessero quale cacumenale testa di cazzo stavano ricevendo o ancora perché era passato un anno dall’ultima volta che qualcuno lo aveva giudicato. Un anno. Un anno solo. Dopo aver diligentemente compilato tutte le voci si arrivava alla summa. Il giudizio finale.
“Come lo giudico questo cristianuccio? ” Era questa la domanda finale che rimaneva appesa alla punta della penna una volta risalito il calvario di dei pagine di caselle. Le qualifiche, come ammoniva l’articolo 1026 del codice, dovevano essere scelte tra una di queste cinque: ECCELLENTE, SUPERIORE ALLA MEDIA, NELLA MEDIA, INFERIORE ALLA MEDIA, INSUFFICIENTE. Giudizi del tipo ECCELLENTE ma tendente alla pigrizia dopo pranzo non sono ammessi ed ecco che salta fuori la nostra anima cattolica.

Vivere in un Paese di tradizione cattolica ogni tanto mostra infatti imprevedibili conseguenze. Le note erano una di queste conseguenze. Come avresti giudicato Il tuo capitano, pieno di buona volontà e inesperienza? Che non riusciva a tenere in ordine neppure i propri calzini, ma che era amato dai suoi bersaglieri. Sarebbe stato ECCELLENTE? Come in un racconto di Dickens ecco allora apparire i fantasmi di Rommel, Annibale, Giulio Cesare, Giovanni dalle Bande Nere e persino di Nelson. Sembravano dirti “Ma che, davvero, davvero il capitano Mario Cipullo (nome di fantasia) è come noi?” Il paragone certo non reggeva e forse nel mondo anglosassone Cipullo avrebbe beccato un oggettivo NELLA MEDIA perché in fondo chi di noi non è un NELLA MEDIA?

Ma nell’esercito laico di una nazione di tradizione cattolica; nel paese del parlare a nuora perché suocera intenda, un NELLA MEDIA significava una cosa sola: INCAPACE. Il capitano Cipullo magari non avrebbe conquistato le Gallie, ma non meritava certo quel marchio d’infamia. Era stata gente come lui che in fondo ci aveva fatto vincere la Prima guerra mondiale. E poi, neppure io, al quale lo Stato chiedeva di giudicare, avevo mai conquistato le Gallie. Perché dunque infierire. Avrei scritto il mio ECCELLENTE e sarei passato al prossimo fascicolo che solo in caso di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e da motivi abietti sarebbe stato giudicato NELLA MEDIA.

Chi compilava e anche chi veniva compilato sapeva benissimo di questo rituale di compassionevole indulgenza, ma in fondo, a saper leggere bene tra le righe, si riusciva sempre a capire con chi si aveva a che fare, senza però insultarlo. Ti serviva un buon logista che però aveva il carisma di una torta Saint Honoré? Oppure ti occorreva una replica di John Wayne o una mente organizzativa superlativa che non nutrisse soverchie ambizioni? Nelle note li avresti trovati.
Tutti gli anni e per quarant’anni qualcuno mi ha giudicato e a sua volta è stato da me giudicato. Questo non fa certo di me una persona migliore o speciale, ma almeno non ho potuto sottrarmi al giudizio di quella parte di Stato che quotidianamente mi impiegava.

Dopo tutto darmi in mano un carro armato, qualche proiettile, un fucile o una bomba a mano esigeva una qualche contropartita in termini di affidabilità. Ricordo che prima di arruolarmi avevano preteso tre o quattro giorni di test psicologici e attitudinali per decretare che non fossi palesemente uno psicopatico. Li avevo passati presso la scuola di fanteria di Cesano di Roma. Era l’estate del 1980 e faceva un gran caldo. Ero stato giudicato IDONEO alla frequenza dell’Accademia militare il che non voleva necessariamente dire che fossi normale, ma almeno sufficientemente cretino da sopportarla.
Mi chiedo allora per quale motivo l’idea di sottoporre anche i magistrati a una valutazione da parte di loro colleghi e superiori generi tutto questo scandalo. Non sono forse anch’essi un pezzo dello Stato? Anzi un Potere? Non possono anche loro far danno ad altri cittadini? Non è possibile che l’agire di qualcuno tra loro possa essere dettato da qualche disturbo comportamentale o pulsione caratteriale mai accertata? In fondo per entrare nelle forze di polizia o nell’esercito devi dimostrare di non essere matto; idem se vuoi ottenere un porto d’armi per andare al poligono. Per la magistratura basta un concorso.