Green non è più un colore, ma una minaccia. D’altra parte ce ne accorgiamo quando diventiamo “verdi di invidia” perché “l’erba del vicino era sempre più verde” oppure quando si teme di “rimanere al verde”. Il verde è associato all’essere pallido, esangue, come il volto di un ammalato oppure di una persona anziana. Tutte brutte cose. Anche gli anni verdi, in un paese come il nostro con un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, la definizione è associata più a una R S A per vecchi non autosufficienti che ai migliori anni della nostra vita come cantava Renato Zero nel 1994, profetizzando che nessuna notte sarebbe stata infinita.

Ma anche se la nostra notte non sarà infinita, quel che appare interminabile è invece questo crepuscolo dai toni del verde-gorgonzola dove ogni sopruso, ogni idea bislacca e ogni privazione di diritti ci viene servita in salsa green.
La guacamole dei talebani alla clorofilla ha iniziato a sommergere le nostre città intrappolate nelle Zone a Traffico Lesinato. Per carità, scorrazzare dentro e fuori da periferie in stile sovietico con una Panda Euro 2 non crea problemi all’ambiente; come non genera alcun turbamento il rimanere incagliati per ore nel Grande Parcheggio Anulare o nelle congruenti Tangenziali delle altre città, alterne interne o esterne come nei problemi della geometria euclidea. L’importante è che le Zone a Traffico Lesinato preservino il centro storico dall’invasione ciabattante del popolo, quello che aspettava la domenica per andare a vedere i negozi del centro o farsi due passi per il corso.

“Rauss! Statevene a casa! Coatta e immonda orda tatuata!” Il centro è riservato a leggiadre fanciulle taglia 40 e capello natural-biondo che pedalano senza fatica su biciclette elettriche da 3.000 euro. I marciapiedi larghi come autostrade sono appannaggio di vecchie signore al quinto lifting e alla terza liposuzione che così possono agevolmente raggiungere la sala da the in legno jatobà non trattato per il consueto lapsang souchong delle cinque. Sedute su canapé in ecrù evocheranno gli anni della giovinezza quando tornavano da Parigi appena in tempo per lanciare molotov ai celerini servi del potere e sospirare , non senza qualche rimpianto, pensando alla triste diaspora familiare che ha costretto Tea – ma potrebbero essere Gaia, Diletta o qualche altra pedalatrice taglia 40 – ad affrontare i rigori dell’esilio londinese per il master in business administration o Filippo che nell’ultimo Skype da Princeton sembrava così dimagrito.

Purtroppo nelle pieghe del declinante sistema capitalista e tra i secolari condomini umbertini delle Zone a Traffico Lesinato sono rimasti intrappolati residui della scomparsa società classista, quella che aveva spinto Marx a scrivere il suo pallosissimo “Il Capitale”.
Sono le Maria, i Sor Pino, le Assunta Trapasso arrivati a Milano quando da quelle parti c’era l’ALFA Romeo e si costruiva la Lambretta. Prima, molto prima, della fashion week; del must have e dell’outfit. Povera gente fatta di operai, casalinghe, sarte, imbianchini resi “ex” dal passare del tempo e che per necessità o affetto da cinquant’anni vivono nella stessa casa ora imprigionati nella salsa guacamole del green di sinistra anzi, progressista come si dice oggi.

I difensori dell’ambiente, quelli che sopra al letto, al posto della Madonna con bambino del Ferruzzi hanno il ritratto ringhiante di Greta Thunberg, non possono tollerare che alle 9 del mattino uno di questi residuati dell’Italia industriale e produttiva si avvii ciabattante verso i ventisette bidoni della raccolta differenziata.
“ORRORE!! Quando imparerà mai l’Adalgisa che il cucchiaio di pomodoro avanzato nel barattolo “Delizia del Sole” da 35 centesimi comprato all’Eurospin va nell’umido; l’etichetta del suddetto barattolo nella carta e infine il barattolo – vuoto e denudato – tra i metalli? Quando mai si deciderà a preparare un ragù come si deve con veri Sammarzano biologici, cipolla bianca di Nepi e manzo di chianina grossetana? L’ecologica, progressista e ingioiellata signora del terzo piano forse non sospetta che l’Adalgisa tira a campare con 400 euro di pensione sociale e altri 700 di suo marito buon anima. Certo che no.

Si accontenta di strangolare lei e tutti gli altri pezzenti come lei nel groviglio di divieti, permessi, richieste, esclusioni e concessioni che rendono il centro delle nostre città così green e a portata di app. Certo ,perché se sei anziano e non hai una connessione internet, uno smartphone o un tablet non puoi nemmeno protestare per la bolletta del gas. Senza che se ne accorgessero hanno infatto tolto tutti gli esseri umani a cui si poteva parlare. Adesso c’è il call center che dopo averti fatto ascoltare tutto il secondo movimento della sinfonia nr. 41 di Mozart, rassicurandoti che la vocina che forse ascolterai, risponde dall’Italia ti inviterà a richiamare più tardi. Oltre ad essere vecchio, probabilmente povero e anche un po’ rincojonito per via dell’età, sarai anche privato dal sacrosanto diritto di tutti i vecchi a lamentarsi. La progressista signora del terzo piano così multiculturale da avere una sguattera ucraina (sguattera è il termine giusto, non colf), un filippino che gli porta a spasso il cane e un bengalese che stira le camicie alla fine riuscirà anche a farsi vendere in nuda proprietà l’appartamento dell’Adalgisa che giusto giusto consentirebbe di ampliare, ma di poco, gli attuali 250 metri quadri ormai divenuti insufficienti ad ospitare le riunioni domiciliari di yoga kundalini.

Il sospetto è che dietro le Zone a Traffico Lesinato, i green pass, l’inclusivo che esclude, il progressista che non fa progredire, la decrescita felice purché sia degli altri c’è sempre la vecchia e simpaticissima sinistra che dice di difendere il popolo ma non ne sopporta la puzza. Cacciamoli dunque via dal centro delle nostre città; richiudiamoli in qualche casermone di estrema periferia, diamogli l’illusione di ricchezza incasellandoli nella tristezza ripetitiva delle villette a schiera e nei sottoscala parrocchiali dei centri anziani. Dai, facciamo così e prepariamo ad accogliere il sol dell’avvenire. Nell’attesa accontentiamoci di questo tramonto dai colori spenti e dal profumo di oud. (continua, ma tra un po’).