Questa è la Somme, uno di quei fiumi francesi il cui nome non dice niente a nessuno ad eccezione di qualche appassionato di storia per via del massacro del 1916 noto come “battaglia della Somme. Quello che propongo della Somme non è un campo di battaglia, ma l’estuario di questo grande fiume. Una pianura contesa tra mare e terra tra i villaggi di le Crotoy e Saint –Valery-sur-Somme. E’ il mare di Piccardia dove ovunque si avvertono gli echi del passato normanno. Da questa baia nel 1066 partì Guglielmo alla conquista dell’Inghilterra e sempre qui gli inglesi trascinarono Giovanna d’Arco in catene. E’ una Francia meno conosciuta ma comunque di grande fascino soprattutto per il senso di precarietà tenace ed ordinata che trasmettono questi paesini, perennemente sospesi tra l’immobile terra e l’oceano irrequieto che due volte al giorno la sfiora con la carezza delle sue imponenti maree.
Sul grande viale di cemento che l’attraversa c’è una statua in bronzo mezza nascosta. Raffigura una ragazza un po’ in carne con in testa una corona repubblicana che si appoggia ad un cannone. E’ la Defense, il monumento che i parigini si sono dedicati per la loro resistenza durante la guerra franco prussiana del 1870 e che da il nome a questo quartiere modernissimo e affascinante e l’Europa produce questo: la capacità di reinventarsi e di pensare ad un futuro diverso, che non replichi necessariamente un passato confortevole. C’è però qualcosa che gli europei si portano dietro da sempre; il senso della loro appartenenza ad una famiglia, poi ad una tribù infine ad un popolo e ad una nazione. Un europeo capisce istintivamente qual è il suo gruppo e quale è il gruppo a lui estraneo e a questi contrasti abbiamo sempre dedicato monumenti e costruito politiche. La storia degli ultimi settanta anni ha voluto convincerci che queste differenze non esistono e quand’anche esistano sono qualcosa di brutto. E ci abbiamo anche provato, da bravi scolaretti, ad imparare la lezione dandogli il nome di apertura, di integrazione di globalizzazione e di ogni altra …zione possibile, ma in fondo siamo sempre rimasti quelli che erigono monumenti per la vittoria sul nemico. E il nemico è sempre uno straniero. Milioni di persone che abbiamo accolto in nome di quei sentimenti si stanno rendendo conto che semplicemente non saranno mai come noi, o almeno non lo saranno nell’arco della loro vita. Non avranno mai un cancelliere della repubblica, un principe ereditario, il comandante dell’esercito, insomma non gestiranno mai il territorio che li ha accolti ed a qualcuno questa mancanza di prospettiva genera disperazione e rabbia. Non è un fenomeno esterno, non è un virus o un batterio sociale che ci aggredisce dalla Siria o dall’Afghanistan, certo esistono anche quelli, ma quello di Nizza ieri, di Parigi e Bruxelles quest’inverno sono neoplasie della nostra società. Siamo noi stessi che le generiamo e siamo destinati a conviverci con l’unico conforto che, malgrado tutto, siamo ancora in grado di immaginare, di sognare e, cosa non comune, di realizzare i nostri sogni senza distruggere necessariamente quelli degli altri.
La vedi da lontano, la montagna di Sant’Oreste. Sembra che il Padreterno l’abbia appoggiata là, in mezzo alla piana del Tevere, in attesa di trovargli un posto più adatto. Roma è 40 chilometri più a sud, ma da quassù è un’idea lontana. E’ un luogo solitario, Sant’Oreste; una tana d’eremiti; un posto insomma per gente di montagna. Tuttavia, come spesso accade dalle nostre parti, non tutto è come sembra. La montagna nasconde infatti un cuore misterioso che oggi è possibile visitare grazie all’intelligenza organizzativa e alla passione dell’Associazione Bunker Soratte che da alcuni anni si dedica al ripristino e alla valorizzazione di questo luogo. Già, perché sotto gli ulivi e gli eremi millenari, il Soratte nasconde chilometri e chilometri di gallerie e di bunker. Migliaia di tonnellate di cemento e ferro per realizzare, già a partire dal 1937, la sede protetta del governo fascista. Non si sa mai! Neppure sei anni dopo, il 13 settembre 1943, il rifugio segreto di Mussolini sarebbe diventato il comando del feldmaresciallo Kesselring, un bavarese dal viso buono e dalla risata serena che, dopo l’8 settembre, comandava l’intero esercito tedesco in Italia. Dalle sue gallerie partivano gli ordini destinati al fronte di Cassino e alle divisioni tedesche che accerchiavano gli americani ad Anzio. Questo per dieci mesi. Poi la guerra era passata diretta al nord e Kesselring si era spostato, non prima però di aver incendiato il “suo” bunker. Nel 1947, appena due anni dopo quella calda, era iniziata una nuova guerra, stavolta fredda. Qualcuno si ricordò allora del Soratte e dei suoi bunker. Era il posto ideale per proteggere il presidente della nuova repubblica e il governo dagli effetti di una bomba atomica su Roma. Passarono gli anni, tanti e con essi anche la bomba all’idrogeno, il patto di Varsavia, la cortina di ferro passarono. Nel 1989 migliaia di piccole Trabant color pastello avevano deciso che con i blocchi e il socialismo reale si poteva anche finirla lì e di bunker e guerra furono in pochi a voler sentire ancora parlare. Oggi per chi ha curiosità storiche o anche vuol vivere un emozione, consiglio un giro al Bunker. Troverete tutte le informazioni sul sito dell’Associazione Bunker Soratte.
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