EUR – Roma. 9 gennaio 2021

Li incrocio fuori dai bar, nel quartiere romano dell’EUR.

Costretti dal covid nelle brevi file dell’asporto, sembrano essere l’unica presenza biologica in questo deserto di marmo bianco e di cielo grigio.

Giovani uomini armati di cellulare. Le tempie rasate; le sopracciglia disegnate, la barba falsamente incolta, l’inquietante fusione tra giovani nazisti e dive americane degli anni ’50. Ne vedo parecchi mentre mi perdo per i rettilinei di quest’idea di città.

Amo l’EUR : i suoi palazzi dagli ingressi camuffati tra colonne infinite; le finestre ripetute come grani di un ordinato rosario, il bianco e il grigio. In questo luogo lo spazio ha inghiottito il tempo, sputandone fuori lische di quotidiano. Tali e quali ai replicanti che vedo fuori dai bar.

Non sentono il bisogno di trasformarsi in gente, tanto meno in popolo. “UN POPOLO DI POETI, DI ARTISTI, DI EROI…”. A leggerla oggi quella frase perenne sul palazzo della Civiltà Italiana appare profetizzare la venuta di una razza aliena che mai arrivò. Prima che dagli alieni il palazzo è invece stato occupato dalla maison Fendi. Una guardia giurata vestita di nero, garbatamente, me lo ricorda. Le privatizzazioni che ci avrebbero resi più liberi e più ricchi per ora mi tengono fuori.

Giro sui tacchi e me ne vado verso un bar proletario e non troppo griffato dove altri replicanti parlano, ridono, imprecano.

Nessuno sembra voler essere proprio lì.

Nel luogo esatto in cui si trova; con le persone che gli sono accanto; nel tempo che gli è dato.

Guardano al presente come si guarda a un giocattolo rotto, vivendo nel racconto e nel sogno, non più nell’azione. Eppure oggi qui piove una pioggia leggera e presente, c’è un cielo bianco; nell’aria odore di diesel mal bruciato, cartacce non raccolte unte di pizza al taglio.

Una bella ragazza dagli occhi limpidi e dai fianchi perfetti attraversa la strada.

E’ oggi. E’ qui e queste sono le mie foto.

Parigi, aprile 2015

Parigi ti cattura sempre l’occhio. La sua strana magia ti schiaffeggia improvvisa con una mano monumentale, ma subito ti consola con particolari minuti, quasi infantili: un colore, un fiore, il fregio su un ponte o lo sbadiglio di un gatto.

Elegante e sudata ad ogni passo ti ricorda come una città possa essere seducente e allora negli angoli dove ristagna il puzzo dell’urina, Parigi mette un mercatino di fiori o ti fa arrivare le note di un pianoforte nel vociare indistinto di una stazione.

Qui ragazze bionde dai volti bellissimi e dagli occhi di lupo si mischiano a neri monumentali e sfaccendati o a magrebini dall’aria truce. Inutile carne senza nome. Li ritrovi nei musei, fissi sui Samsung a gettare un’occhiata fugace al capolavoro di turno; uno sfondo per l’immancabile selfie.

Le pietre pazienti di questa come di tutte le altre città nel loro tempo dilatato si permettono il lusso aristocratico di ignorare la nostra cadùca biologia che brulica ai suoi piedi.

Mentre cammino lungo il Canal Saint Martin o il Boulevard de Sebastopol guardo tutti quei visi. Inutili come il mio. Occhi vuoti e bocche che parlano di amori, rabbie e speranze. Tutto si confonde nella rapida parabola di qualche respiro, ma Parigi ostinata ti mette davanti la bellezza, l’insolito, il genio di pochi e la sapienza artigiana di molti.

Parigi ha fiducia che prima o poi qualcuno se ne accorgerà.