Bello e inappropriato come una sorpresa, il cielo di fine aprile è inaspettatamente azzurro. Piccole case in fila; mattoni bruniti, ordinati e minuscoli; abbaini sempre chiusi e grandi finestre senza visi e senza vita si affacciano su strade un tempo familiari ed oggi a loro stesse estranee. Tra un kebab, una macelleria halal ed una sopravvissuta brasserie tutto qui è ancora ostinatamente ordinato. Regione dell’Houte-de-France come si chiama adesso, cuore d’Europa in parte espropriata, a tratti stupita e rancorosa, come la bella donna che è stata e che ormai non sarà più. Qui per le vie e tra le case quasi si sente ancora l’odore del carbone che spingeva le fabbriche e uccideva operai dagli occhi azzurri e dai grandi baffi, piegati sui telai e felici di un ballo o di una birra la domenica. Oggi di occhi azzurri se ne vedono pochi attorno alla grande moschea che con qualche ironia ha voluto sull’incrocio Croix. Poi però giri per rue de l’Esperance e al 23 capisci come questo posto dove è stata inventata l’Europa della produzione in massa e poi quella della guerra in massa non riesce a sfuggire il suo destino di modernità. E’ condannata a guardare avanti anche quando si trasforma nell’Europa dell’estraneità, capace di convincere ragazzotti come quelli che incrocio per strada a credere che 70 vergini in cambio della loro vita siano un buon affare. Al 23 di rue de l’Esperance, attaccato ad un bowling e di fronte al municipio di Roubaix, ci sono le vecchie piscine della città, costruite tra il 1927 ed il ’32 dall’architetto Albert Baert e fino a trent’anni fa erano aperte e poi chi le ha chiuse ha avuto un’idea. Un’idea moderna. Quelli che seguono sono alcuni degli scatti presi in uno dei musei più sorprendenti che abbia avuto la fortuna di visitare: la piscine de Roubaix.






































