PROFUMI

La sa una cosa Colonnello?” Mario, l’amico e collega con cui anni fa condividevo infiniti allenamenti nell’ordinata campagna del nord della Francia, mi annunciava così i suoi pensieri. Sarà stata per la sua natura isolana, sarda e asciutta, ma le parole che seguivano suonavano sempre essenziali. “Qui la primavera brilla, ma non ha profumo”. Aveva detto dopo un attimo di sospeso silenzio. Non ci avevo mai fatto caso ma d’improvviso mi ero accorto di quanto fosse vero. Immerso in una luce abbagliante vivevo tra colori perfetti e geometrie curate. Ma senza profumi. Non c’era quello dell’erba fresca, dell’acqua di fiume, delle foglie tenere dei pioppi e neppure quello del biancospino.

(foto p.Capitini)

Oggi, in una mattina insolitamente calda di fine marzo, ripensavo a quelle parole mentre il profumo del mio paese precedeva ogni passo. Correvo piano lungo un sentiero di campagna, pulendo l’animo e la mente dall’immondizia di giorni nuovi e crudeli e il profumo del mio paese in primavera arrivava come un balsamo su ogni peso e su ogni passo. Perfezione di un mondo che vuole solo vivere e profumare, come le piccole inutili margherite a bordo strada, o le violette intraviste nell’ombra delle loro lucide foglie. O come le lucciole nelle notti d’estate o gli occhi acquosi e spaventati dei vecchi e quelli lucidi e perfetti dei bambini; come i nasi freddi e neri dei cani al guinzaglio o le zampette gommose dei gatti e di tutto quello che questa mattina, al sorgere del sole, ha detto “Io sono vivo!” E ha sorriso, profumando il mondo di vita.

(foto p.Capitini)

Sono tornato a casa, volevo studiare e capire qualcosa di questa insensata sciocchezza che cerco di raccontarvi senza mai riuscire a trovarvi un motivo che valga anche una sola lacrima. Forse però una spiegazione l’ho trovata. Forse – ma è solo una stupida idea – è invidia. L’invidia che la ragione prova per ogni meraviglia che riesce a parlare al cuore. Lei non ci riesce mai e allora uccide, ma il profumo della primavera copre anche lei.

… PER VIA SISTINA

Andersen abitava al 104/A, Nicolai Cogol al 125, secondo piano. Camminando per via Sistina, sotto le lapidi che li commemorano, oggi incontro serrande chiuse e vetrine impolverate, segni di una città che sta morendo e non solo per colpa del Covid.

Roma – piazza del popolo, particolare della fontana e della Porta Flaminia. (foto p.Capitini)

Roma muore per mancanza di genio e per la perdita di sogni. Muore soffocata dal dio dell’applauso; ammutolita dal latrare dei nuovi potenti, dal loro inconcludente digrignar di denti.

Seduti nei suoi angoli bui, odorosi di piscio e di cipolla, i secoli di questa città hanno tremato per Annibale, sono stati sgozzati dai pugnali dei lanzichenecchi; hanno pregato seguendo santi e Papi crudeli, ma non avevano ancora patito l’offesa arrogante della stupidità e dell’incompetenza erette a sistema. Passerà? Si, certo che passerà. Prima o poi questa gente impennacchiata che si adorna di titoli e di sontuosi stipendi, che affonda le mani grasse nella ricchezza di un intero paese, passerà. E di essa non rimarrà neppure un puzzo di piscio.

UN’IDEA IMPROVVISA.

Royal Enfield 500 bullet – la mia. (foto p.Capitini).

Meo, la vecchia gatta che da tempo ha deciso di coabitare con me, è uscita. Io ho finito di annaffiare. La giornata qui a Nepi, in attesa dell’ennesima ondata di caldo africano, si presenta calda si, ma asciutta. Ed è mentre dal terrazzo vedo la mia vicina portare a spasso il cane che ho l’illuminazione. “prendo la moto e vado dai miei!”. Bella idea, solo che i miei abitano a Jesi, dall’altra parte dell’Appennino. Dettaglio trascurabile.

Carico le borse, residuato bellico dell’esercito svizzero che le usava per il servizio postale, sul sedile posteriore faccio salire i miei primi appunti per il prossimo libro; do un’occhiata alla carta e via. La ruota punta verso Narni e poi Terni e da lì su per la val nerina, Sopra il Monte Maggiore, dopo 12 km di sterrato in salita si rompe il cavo della frizione. Sorrido, smonto, sfilo, riattacco e m’invento una riparazione con una catenella fatta di fascette per tubi. Poco importa. Sorrido e scendo a Cerreto del Nera dove un meccanico dagli occhi azzurri e l’espressione truce guarda la mia riparazione e ride. “Te metto ‘l’ filo dell’Ape, E che c’ho solo quelli!” – “Va benissimo!” Rispondo io. Riparto per Colfiorito. Si sale, si sale e non si incontra nessuno, ma proprio nessuno. Sono solo in un turbinio di curve, tornanti, alpeggi e boschi freschissimi. Il cavo dell’Ape tiene e mi porta fino a Camerino.

San Valentino, un paesino dove non si gira neppure con la moto….una delle dimore del vento come le definirebbe Paolo Rumiz. (fotop.Capitini)

Cerco un negozio Wind Tre perché nel frattempo la simpatica compagnia m’ha staccato il telefono. Hanno ragione, ma proprio oggi se lo dovevano ricordare. Comunque sono a Camerino e lì un punto Wind lo trovo di sicuro. E invece no. Dal 2016, dopo il terremoto, Camerino semplicemente non esiste più. Al suo posto c’è un simulacro di città deserto e angosciante. Riparto con tristezza verso Fabriano. Ormai casa dei miei è vicina e la mia motocicletta – si motocicletta, non moto, come si addice ad una vecchia signora – mi ha portato a casa, malgrado la frizione, la polvere, il caldo….malgrado tutto.

Ah, senza telefono.